Ricettacolo - Il concorso
Ada
In 13 Settembre 2017 da Redazione Seven BlogIl racconto secondo classificato di Ricettacolo – L’Ira
di Cinzia Sosio
Quando Efrem ha sbattuto la bestia con la testa mozzata sul piano della cucina, un rivolo di sangue è colato lungo lo sportello della lavastoviglie per finire sul pavimento di cotto fiorentino, allargandosi in una macchia scura. Mi ha guardato negli occhi con aria di sfida, poi si è girato e se ne è andato senza una parola.
Non volevo toccare l’animale e con un cucchiaio di legno l’ho spinto dentro il lavello, poi ho cercato qualcosa per pulire la macchia sul pavimento. Sul bracciolo del divano, il maglione di Efrem, quello azzurro di cachemire che indossa quando vuol far risaltare il colore degli occhi, mi è sembrato l’ideale.
Ripulita la superficie ho deciso di uscire: camminare aiuta a superare la negatività del momento, come ripete spesso il mio analista. Infatti, dopo un paio d’ore, con una nuova borsa Bridge e un paio di scarpe della stessa tonalità di blu, sono tornata a casa molto più rilassata.
Ma l’animale era ancora lì, nel lavello. Efrem invece, semi addormentato, si stava godendo il sole del tardo pomeriggio sulla chaise longue a bordo piscina, dopo aver riposto l’attrezzatura da caccia nel capanno.
Ho indossato i guanti da giardinaggio e iniziato a strappare penne e piume, tutte quante, una ad una, immaginando di strapparle a lui.
Da sola non avrei potuto fare altro quindi, vista la criticità della situazione, ho ritenuto opportuno chiamare Allegra, la mia amica patologa, nonostante fosse in vacanza in montagna. In collegamento skype da Cortina d’Ampezzo, Grand Hotel Des Alpes, seguendo le sue istruzioni e coadiuvata da un generoso mojito che mi ha fatto vincere la titubanza iniziale, ho proceduto con mano ferma e determinazione all’intervento: apertura del volatile e asportazione delle interiora. L’ho ridotto poi in piccoli pezzi che lavati e asciugati ho avvolto in un canovaccio e riposto in frigo, prima di concedermi una notte di meritato riposo.
Per un paio di giorni ho ignorato il fagotto che mi si presentava davanti ogni volta che aprivo il frigorifero ma sapevo che Efrem mi aspettava al varco. Avrei potuto regalare quella carne a qualcuno, magari ai vicini, ma sarebbe stato come rinunciare alla sfida. Non sia mai: avrei cucinato! Il fatto che gli unici volatili giunti alla nostra tavola fino a quel momento provenissero direttamente dalla rosticceria del paese un poco mi preoccupava, ma in fondo in fondo, pensavo, che ci vorrà mai a cuocere una faraona?
Ho sfogliato un vecchio libro di ricette alla ricerca di qualcosa di non troppo elaborato ma scorrendo i vari ingredienti mi sono resa conto che la mia dispensa era piuttosto sguarnita e questo ha fatto salire ulteriormente il mio grado d’irritazione per tutta questa faccenda.
Scritta a mano sulla terza di copertina, probabilmente da nonna Ada vista la grafia curata e un tantino retrò, c’era una ricetta per il pollo. Ingredienti e procedimento decisamente alla mia portata, sarebbe andata benissimo anche per il mio volatile, così ho deciso di provarci.
Ho preso un sacchetto di quelli per congelare e ci ho messo un po’ del battuto di erbe aromatiche che mi ha regalato la vicina, olio extra vergine d’oliva che avevo acquistato direttamente dal fattore giù al paese, pepe macinato al momento, succo e scorza di limone, un paio di cucchiai di miele e i benedetti pezzi di faraona. Ho strozzato il sacchetto con un pezzetto di nastro adesivo non trovando gli appositi legacci. Ho massaggiato per un po’, devo ammettere con un certo nervosismo, i pezzi di carne.
Poi sono scesa in cantina, ero abbastanza sicura di aver acquistato delle patate in un’epoca non troppo remota. Infatti la ho trovate, appena appena raggrinzite e con qualche germoglio che faceva capolino dalla cesta. Non proprio in condizioni ottimali, ma nemmeno io lo ero.
Tornata in cucina, mentre la faraona marinava dentro il sacchetto, ho sbucciato e tagliato a tocchetti piuttosto piccoli le patate, pur sapendo che questo non avrebbe giovato alla mia manicure.
Dopo di che ho messo tutto dentro una casseruola che ho coperto con la stagnola e infornato a 150 gradi. A quel punto ci voleva un bagno rigenerante.
Finito il bagno, circa quarantacinque minuti dopo, ho sbirciato nel forno e visto che la carne sembrava ammorbidita e l’osso della coscia cominciava a staccarsi dalla carne, ho alzato la temperatura del forno a 200 gradi, ho tolto la stagnola e aggiunto le spezie del “barattolo giallo” come nonna Ada specificava nella ricetta.
Avevo ancora una mezzoretta per apparecchiare al meglio la tavola: tovaglia di fiandra e servizio buono.
Quando Efrem si è affacciato alla porta di cucina guidato dal profumo ho visto nel suo sguardo stupore e curiosità. Senza una parola ci siamo seduti, lui ha versato il vino e io ho riempito i piatti. Mi ha perfino sorriso mentre addentava il primo boccone, la pelle della faraona era dorata e croccante. Non si è più fermato: un boccone dopo l’altro mentre io ancora piluccavo un panino al sesamo. Solo quando ha alzato lo sguardo dal piatto ormai vuoto per riempirlo nuovamente, mi ha guardato dicendo: «Ma come, non hai ancora assaggiato? È squisita, veramente… non ti credevo capace…».
Su questo devo darti ragione, carissimo, nemmeno io mi credevo capace. Eppure vedi, di fronte a situazioni estreme si trova il modo di reagire, pensavo tra me, mentre lo vedevo impallidire sempre di più, le mani contratte all’altezza dello stomaco, ormai scivolato sul pavimento di cotto fiorentino.
Domani vado a trovare nonna Ada, è un po’che non ci vediamo, abbiamo tante cose da dirci.
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