DiarioXY . LUSSURIA
Aspettatemi, arrivo
In 1 Aprile 2017 da Chiara MenardoVado.
Adesso tiro su i calzoni e vado.
Vado e vengo. Vado.
Ma prima, un caffè, sì.
Con lo zucchero. Un cucchiaino, raso.
Ho fatto la rima. Sono più scemo di prima.
Ha.
Ha ha.
Ha.
Devo andare, dai, non mi tenete per i calzoni.
Se vado, poi li vedo, sono andati, partiti, aspettano me.
Perché?
Adesso vado, gli spiego che non posso, e nemmeno so cosa non posso fare.
O non posso non fare.
O posso fare.
In ogni caso, vado, poi vedo.
Sono miope, che vuoi che veda? Niente, non vedo niente, quindi a che serve che vada?
Sto.
No, dai, vado. Sì che vado, ecco, ora mi tiro su i calzoni e metto il gilet.
Adesso vado, sì.
Forse.
Ancora un attimo, un momento, un istante, il tempo di un tè. Un caffè. Un pisolo lungo e rumoreggiante, che ho sonno.
Mi stendo, e rumoreggio.
Come una camicia, un lenzuolo, un calzino: steso.
Ma, mi domando: se il calzino è steso, sta verticale.
Se sto steso io, sto orizzontale.
Non c’è alcun senso, non c’è costrutto.
Potrei fare la rima, ma è meglio di no. Che più scemo di prima non si può.
Ha.
Ha ha.
Ha.
Vladimiro ed Estragone chi?
Sotto un salice, certo, ma chi?
E che?
Aspetta un momento.
Mi hanno chiesto una cosa, già già. Cosa?
Ma boh, bah, beh, che ne so?
Meglio sapere e capire o non sapere e non capire, mi domando?
Meglio non sapere e capire.
Meglio non capire e sapere.
Meglio un panino.
Ma grande.
Un panino grande è un non senso.
Un panone. Meglio un panone. Con il cacio. E il maccheroni sotto il cacio, che vanno bene con tutto. Anche sul panone.
Ha.
Ha ha.
Ha.
Hai mai visto due con quei nomi che aspettano da qualche parte un tizio che deve dare una risposta ma che non conosce la domanda?
Che ci vado a fare?
Mi avvio. Per Dio, mi avvio.
Ho consultato la famiglia, gli amici, i parenti, i corrispondenti, i registri, il conto e la banca.
Stanno tutti bene, vi salutano tanto, auguri e buone cose, anche a te e famiglia, grazie, è stato bello, teniamoci in contatto.
Ciao.
Ciao.
Basta, mi avvio.
Sotto il salice, dietro la collina.
Sono allergico ai salici.
Ricordati l’inalatore, l’anstistaminico, il collirio, il fazzoletto, i cerotti e le garze, il chinino, il curaro e il laccio emostatico.
Sono previdente, salutavo sempre.
Ciao.
Apro la porta e cerco un salice, una collina, due tizi dai nomi strani che mi hanno chiesto qualcosa che non ricordo. Ma mi sono consultato e stanno tutti bene, mandate una cartolina e telefonate appena arrivate, se no mi preoccupo.
Di cosa?
Boh.
Di cosa ci si preoccupa quando uno dice chiamami se no mi preoccupo?
Mi preoccupo se non mi chiami, allora sì che penso che sei morto, ferito, raffreddato, a mangiare un pudding alle mele con la crema.
Se mi chiami allora perché mi devo preoccupare?
Dammi quella bottiglia che con tutto questo pensare ho la bocca secca.
Ma non ho detto una parola.
E allora?
Ho le fauci secche perché sono allergico ai salici, che domande.
Domande.
Mi hanno fatto una domanda, ma quale? Se non la ricordo, non era importante.
Se non era importante, perché devo andare a starnutire sotto quel salice che mi fa starnutire?
Ecciù. Salute. Grazie.
Mi sta gonfiando il naso, diventa rosso come un papavero in mezzo a un campo di grano. Dannato salice. Sono allergico ai salici.
Ma non ci sono salici, qui.
Sono là, sopra quei due che aspettano.
Magari gli mando qualcuno a dirgli che arrivo, prima o poi arrivo.
Ma ora no.
Ora faccio il calzino: mi stendo.
Tanto, già puzzo, sono a posto.
Ha.
Ha ha.
Ha.
Il libro…
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Titolo: Aspettando Gogot (originale: En ettandant Godot – Waiting for Godot)
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Autore: Samuel Beckett
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Editore italiano: Einaudi, 1968 (originale: Éditions de Minuit, Paris 1952 – Faber and Faber, London 1956)
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Prima edizione: 1952
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