Le storie superbe . SUPERBIA
Due dita di liquido ambrato
In 18 Marzo 2018 da Chiara MenardoOsservava il colore caldo della freddezza nel precipuo autunno…
Fa schifo!, pensa. Riproviamo… Tactactactactac, tasto premuto e il foglio sullo schermo del computer torna immacolato. Chiude gli occhi, gonfia il petto e respira. «Lascia che il flusso della coscienza sgorghi senza mediazioni dal tuo io più profondo alla pagina. Però, bella questa, devo tenerla a mente…».
È così evidente come tutto ciò che ha sempre tenuto sepolto in profondità dentro di sé sia venuto finalmente a galla: la letteratura ha cambiato anche la forma dei suoi pensieri. È così lampante!
L’incommensurabile ricordo dell’ottobre brinato nei colori di sangue e di uva matura ormeggiava il suo essere a sensazioni tattili e uditive, mentre osservava dal finestrino dell’autovettura il desolato cimitero di scheletri della tecnologia dell’igiene e della conservazione che si stendeva innanzi, sterminatamente delimitato da reticolati di ruggine e brina.
Soddisfatto, tira un sospiro e aspira una boccata dalla sigaretta appoggiata al portacenere sbeccato. «Eccola…». Si alza, va a farsi un caffè.
Ermanno ha il viso allungato e sottile, i capelli neri tenuti dritti da manate generose di gel, gli occhi scuri e la barbetta appuntita. Un orecchino a forma di teschio e il tatuaggio di una tigre sulla mano sinistra, è finalmente un uomo consapevole: è uno scrittore di talento, lui, anche se ancora non lo sa nessuno. Il dettaglio in fin dei conti è trascurabile, è solo questione di tempo, visto che Ermanno non ha ancora scritto né pubblicato nulla.
«Con questo, spacco! Vado da Fazio, come è vero che sono Erm. Pubblico e critica ai miei piedi, porco di un Giuda!». Mette la moka sul gas, schiarisce la voce e inizia la lista: Fazio le fa sempre.
Quando andrà a Che Tempo che Fa a presentare il suo libro dovrà essere elegante ma casual, chic e trasandato nello stesso tempo, non come quei tipi tutti leccati che si vedono in giro, con le sopracciglia ad ali di gabbiano che neanche sua cugina.
Camicia: scura o chiara? Un bel viola! Ah, no, viola no, in televisione porta sfiga. Magari rossa come quella di Cremonini, e una sciarpa scura intorno al collo. Niente giacca, gilè sì: le maniche arrotolate fino sotto il gomito, giusto due giri di polsino. Pantaloni stretti e sneakers – o scarpe allacciate con i buchini davanti? -, calzini dello stesso colore della camicia.
A posto, irresistibile, il look di base c’è, deve solo definire alcuni dettagli secondari: sulla poltroncina bianca dai braccioli alti farà la sua porca figura, come Fabio Volo prima che si riempisse di rughe e gli si gonfiasse la faccia.
Capelli? Lunghi con la coda o più corti? La barba inizia a farla crescere da adesso: così, quando avrà finito il romanzo e lo avrà mandato alle case editrici, sarà lunga fino circa a metà del petto e potrà tagliarla come quel coso posticcio che mettevano i faraoni per far vedere che erano faraoni. Chissà se faceva prudere il mento con quel caldo che c’era in Egitto, e poi le mosche che ci facevano il nido dentro e magari erano pure di peli di capra pensa che puzza, e le pulci e i vermi… ma che schifo!
Alt! Sta divagando.
È che deve pianificare tutto, Ermanno: lo sa, lui, che una buona pianificazione è indispensabile per arrivare al successo.
«Dunque», ricapitola a bassa voce mentre mette due cucchiaini di zucchero nella tazzina, quella rosa confetto con gli occhi strabici e il naso che spunta. La detesta ma non osa romperla, se no sua madre chi la sente? «Due mesi per finire il romanzo: se scrivo dieci pagine al giorno per cinque giorni a settimana quattro settimane in un mese sono quattrocento pagine».
Si blocca un secondo, sgrana gli occhi.
«E chi lo compra un libro da quattrocento pagine? Chi li legge ‘sti mattoni? Ma al massimo cento, centocinquanta. Quindi un mese basta e avanza, poi gli dovrò dare una riletta e correggere un po’, togliere e mettere. Ci sarà ben qualche piccolo errore. Vado dal Tony in tipografia per la copertina, magari mi fa un prezzaccio per stampa e grafica, stampo un po’ di copie e le mando a Mondadori, Rizzoli e a quelli che hanno stampato Harry Potter, che hanno fiuto. Nessuno lo voleva pubblicare, e poi guarda un po’ che successo! Massimo un mese per avere l’ok e si parte con la televisione».
Il caffè esplode dal beccuccio della caffettiera, Ermanno rientra in sé: due bestemmie, spegne il gas, va al lavello a prendere la spugna per asciugare subito che se sua madre trova il gas sporco poi rompe, lui non ha proprio voglia di star lì a sentire le giaculatorie su che razza di deficiente sia suo figlio, dopo tutto quello che ha fatto per lui.
Versa il caffè nella tazzina, mescola, beve scottandosi la lingua. Un altro paio di bestemmie creative e torna al lavoro: deve proseguire la scalata verso il successo che è fatta di duro lavoro, di tempo e mozziconi di sigaretta.
… sterminatamente delimitato da reticolati di ruggine e brina.
A capo.
Rocco. «No, il nome dopo, creo la suspense…». Tactactactactac sulla freccina e Rocco sparisce a ritroso, una lettera dopo l’altra.
L’uomo osservava dalle lenti oscurate, mediate dal finestrino sfumato del suo Porche Cayenne S E -Hybrid da 333 cavalli verde peridoto metallizzato quel campo di sterminati e obliati rottami, gli sportelli dei frigoriferi un tempo rinchiusi su messi di cibi per i pasti di famiglie felici ora spalancati come coperchi di bare da cui poteva da un momento all’altro uscire un Dracula post-industriale per andare a cercare la giovane vergine bionda con la quale placare la sua sete eterna.
«Figataaaa!». Ermanno irrompe in un grido, soffocato in tempo prima di svegliare sua madre che in camera da letto sta russando davanti a Ti lascio una canzone e se si sveglia poi strilla perché lui fuma in cucina e impuzza il divano nuovo. Si alza dalla sedia, va alla credenza e tira fuori un bicchierino di quelli che davano in regalo con il Jack Daniel’s. Ha finito il Jack Daniel’s, ma al Lidl ha preso una bottiglia di bourbon, sull’etichetta c’è scritto che è canadese: svita il tappo, ne versa un po’.
Due dita di liquido ambrato… Chiamano sempre il whisky “liquido ambrato”, magari serve anche per il bourbon, ma poi vedi che nei film bevono tè, mica whisky, se no dopo due prove sono sbronzi come capre e se la scena va male tante volte finiscono in ospedale, pensa Ermanno. Johhny Depp magari no, lui è abituato, ma te lo vedi Tom Hanks che fa Forrest Gump in coma da whisky? Che poi magari è alcolizzato pure lui ma non lo dicono. O si fa di coca. Hai capito, il Tom Hanks? Quindi se mi venisse da scrivere che Rocco prende una tazza di tè dovrò scrivere che si versa una tazza di liquido ambrato fumante? Sì, che poi sembra che si sia scaldato del Chivas! – sghignazza piano alla sua stessa battuta – Ma tanto Rocco mica lo beve il tè, è da signorine, lui è ricco da fare schifo, non uno da tè e biscottini!
Alza il bicchiere, manda giù d’un fiato il bourbon; tossisce, il liquido ambrato gli esce dal naso, la gola brucia e gratta, un dolore simile a quando da bambino si sbucciava le ginocchia sull’asfalto cadendo dalla bicicletta, gli occhi si riempiono di lacrime. Dopo qualche lieve convulsione, la tosse si calma fino a cessare del tutto. Ermanno rizza le orecchie: la Clerici continua a starnazzare, la madre a russare, nessun movimento, va tutto bene.
Gli fa schifo il bourbon, ma è questione di disciplina: tutti i fighi bevono whisky, e poi tanto whisky e bourbon sono la stessa cosa, come il Barbera e il Nebbiolo, solo che li chiamano in maniera diversa così fanno più soldi, perché le multinazionali fanno così, è tutto un modo per far soldi. Ci penserà, potrebbe essere la trama del suo prossimo libro.
Vorrebbe andare a prendere un bicchiere d’acqua, ma sta perdendo tempo: Ermanno ha ancora nove pagine e tre quarti da scrivere prima di poter dormire. Schiarisce gola e pensieri, torna sul pezzo.
… cercare la giovane vergine bionda con la quale placare la sua sete eterna…
«Eh. La sete eterna. La vergine: so io che ci farei con la vergine. Dunque…».
Strofina la base del naso con due dita, strizza gli occhi. Il bourbon gli ha scaldato la pancia e reso il cervello leggero. Guarda il foglio, la tentazione di cancellare tutto lo assale, si ferma un attimo prima di premere il tasto con la freccina. «Cazzo faccio? Cazzo scrivo adesso? Concentrati!». Che ci fa con la sete della vergine bionda nel frigorifero?
Un attimo:
All’improvviso uno schiocco turbò il silenzio artificiale dell’abitacolo. L’uomo inizialmente non fece alcun movimento, una statua immobile con gli occhi velati dai Ray-Ban scuri. Con la lentezza misurata dei forti, ruotò il collo flemmatico fino a inquadrare un vialetto.
Tactactactac, vialetto no, non va bene, è dialettale?
… sentiero colmo di detriti metallici ed erbe selvagge, contraddizione periferica tra il degrado della modernità consumante e il superiore potere di riconquista della nostra madre terra, fino a fissare la figura snella ed eterea che fluttuava in mezzo ai rottami dirigendosi verso il cancello di rete brinata, verso il verde peridoto del Porche Cayenne S E -Hybrid.
«Yeah!». Ermanno esulta in silenzio, portandosi una mano chiusa a pugno verso il fianco. «Vai così che vai bene: con-cen-tra-zio-ne!».
La figura, fasciata in un paio di jeans e una camicetta bianca che lasciava intravvedere le tette… – tactactactactac, freccina – forme filiformi di sensuale pienezza sotto la tela leggera, nell’estetica contraddittorietà dei pesanti scarponi neri, calpestava senza esitazione i fili d’erba e i bulloni sparsi sul terreno, scavalcava un pezzo – tactactactac freccina – una porzione di tubo che intralciava il suo passo con l’agilità di una pantera nera, sinuoso felino pallido e biondo dagli occhi blu malva e le labbra grandi e rosse come ciliegie mature.
«Se continuo così tra un po’ corro in bagno», mormora Ermanno visualizzando la bionda con la bocca colorata di rosso e le grandi tette che viene verso di lui, seduto immobile sul Porche Cayenne S E-Hybrid che la fissa dai Ray-Ban a goccia.
L’uomo portò, con suprema lentezza, la mano verso l’alzacristalli elettronico. Il vetro si abbassò con un fruscio di seta. La Donna arrestò il suo incedere a qualche centimetro dalla vettura possente che trasudava potenza da ogni centimetro, come l’uomo dagli occhi di ghiaccio seduto al volante.
«È tardi e ho freddo. È tanto che ti aspetto», sussurrò la pantera con voce roca e suadente.
«Hai atteso quanto era giusto. Adesso sali, la tua attesa è finita».
La donna fece il giro passando davanti alla macchina, mentre l’uomo alzava il finestrino per non far entrare l’umidità nebbiosa della sera d’autunno intrisa dell’odore di smog e di acqua stagnante dell’ammuffita periferia di Milano.
Nelle descrizioni sono un drago, pensa Ermanno.
La portiera dell’auto dal lato del passeggero si apre e la macchina quasi non si muove nel momento in cui la figura sinuosa – tactactactac freccina – fluida come l’acqua di una cascata si siede sul sedile nero di pelle morbida e lucente. Lo scatto secco della porta che chiude il mondo fuori dall’abitacolo in radica e profumo di sandalo e di Denim Musk.
«Andiamo», disse la voce di velluto dell’uomo.
«Dove mi porti?», chiese la…
«La che?». Momento di vuoto. Tactactactactac, freccina.
«Dove mi porti?».
«A compiere il nostro destino, piccola».
L’uomo fece girare la chiave nel cruscotto, fuori un rombo di trecentotrentatré cavalli vapore squarciò il silenzio della nebbia calante, all’interno nulla più che un ronzio come le fusa di un gatto.
Un’agile manovra, schizzi di pozzanghere intorno, i fari squarciarono l’atmosfera lattiginosa di latte condensato e di smog e l’auto partì.
L’abitacolo era caldo e confortevole, la donna allungò una mano a sf…
«È mezzanotte, mi spieghi che ci fai ancora alzato? Hai di nuovo fumato, apri quella finestra, è tutto pieno di puzza! E hai anche bevuto! Quella bottiglia serve per quando arrivano ospiti, mica per te, lo sai che piace a zio Giuseppe!».
Ermanno sobbalza all’indietro sulla sedia: per un attimo, vede il suo movimento come al di fuori da sé stesso: come uno di quei gatti che passano davanti agli specchi e poi saltano indietro sulle quattro zampe, con la stessa forma degli archi delle chiese, gonfi e terrorizzati: lo fanno morire dal ridere nei video su Youtube.
«Cazzo, mamma, sto lavorando! Vattene a letto e non rompere».
«Ma lavorando che, deficiente! Hai preso otto in un tema in seconda media e pensi di essere Totti che vende migliaia di libri, cretino! Senti che puzza di cicca, e domattina mi devi portare alla visita dal dottore per l’incontinenza e al supermercato, guarda che ti sveglio alle sei e mezza!».
La donna corpulenta con il pigiama a roselline rosa e i capelli arruffati si volta. Una porta si chiude, il rumore di uno sciacquone tirato. Un ultimo strillo, la sua versione della buonanotte. «Spegni quel coso e vai a dormire, ti ho detto!». Ermanno rilassa le mani che fino ad allora aveva strette in un pugno.
Quando andrò da Fazio la vedrà, chi non è uno scrittore. E non le faccio nemmeno la dedica sulla prima pagina del libro, ecco!
… iorare la lana pettinata misto cachmir – tactactactac freccina – cachemir – tactactactac tactactac tactactactactactac tac freccina – la stoffa morbida dei pantaloni dell’uomo.
Lui le afferrò la mano, la strinse, la portò alle labbra, inspirò il lieve profumo della sua pelle, la allontanò da sé.
«Dove sei stato, tutto questo tempo?», chiese la donna.
«Dove dovevo essere. Non qui. Eppure adesso ci sono, è giunto il momento: finalmente saprai, finalmente ti avrò».
Lei sospirò, socchiudendo gli occhi e le labbra mentre un brivido le percorreva la schiena bianca sotto la tela leggera. Non riuscì a capire, la nivea pantera, se era un brivido di piacere, aspettativa o paura.
Ermanno sbadiglia: quel bourbon poteva evitarlo, gli ronza un poco il cervello. Eppure sta venendo bene, ha solo più otto pagine e tre quarti da scrivere stanotte.
Guarda l’orologio alla parete: l’una e ventitré, ha iniziato a scrivere alle nove e mezza.
Si alza per sgranchirsi le gambe. Già che è in piedi, va un attimo in bagno, e già che è lì si lava anche i denti. Già che si è lavato va un momento in camera sua, prende il pigiama sotto il cuscino, si spoglia e lo infila.
Guarda il quadro non finito appoggiato alla finestra e la chitarra coperta di polvere che spunta dal pizzo della tenda. Dietro la sedia con i vestiti usati, buttato in un angolo, il pallone da calcio ormai sgonfio che ha tenuto, prendendolo di nascosto dallo spogliatoio del centro sportivo della parrocchia quando con la squadra di amici sponsorizzata dal gommista all’angolo, era arrivato quarto al torneo di San Casimiro, anni fa. Aveva pensato di diventare calciatore professionista, non è poi male con le scarpette ai piedi, ma le squadre di calcio tirano su solo ragazzini e lui ormai è un po’ vecchio, a trentasei anni.
Sul letto, il tema di seconda media: quell’otto grande in rosso, con un cerchio intorno e la sigla della professoressa Robetti proprio sotto.
Scartabellando per cercare il volantino della pizzeria a domicilio, quella sera verso le sette, Ermanno lo ha trovato al fondo di un cassetto: si è seduto a rileggere la sua vecchia calligrafia da bambino e qualcosa è scattato in lui, un’epifania: la letteratura, il suo destino.
Mettere a posto le pesche al supermercato? Ma chi, lui? No.
Fazio e Che Tempo che Fa, la promozione del libro, Rocco e la donna bionda dalle grandi tette, le firme sulle pagine dei suoi libri e le feste per intellettuali e attori e calciatori dove scorrono fiumi di liquidi ambrati, dove bellissime modelle della tv sono pronte a farsi baciare e infilare le mani sotto le gonne corte, avvinghiate a lui contro un muro. Perché lui sarà lo scrittore famoso. Ermanno si appoggia sul letto. Cinque minuti, il tempo di snebbiare il cervello dal bourbon e dalle lettere che lo stanno affollando: solo un attimo.
«Sono le sei e mezza, non hai neanche spento il computer, hai consumato energia tutta la notte, è tutto aperto, cretino! Alzati, Ermanno, il caffè è pronto, dobbiamo arrivare alla USL prima che apra».
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