INVIDIA . Lector In Invidia
E sotto al vestito?
In 28 Settembre 2017 da Attilia Patri DPDal 7 settembre al 3 ottobre, quattro settimane, quattro città – New York, Londra, Milano, Parigi – a fare da scenografia al lusso che sfila sulle passerelle, a fare da altare al capriccio elevato ad Arte di fili, aghi, carte sottili e bianche tracciate e tagliate, metri a nastro attorcigliati, cerniere che non devono fallire nella loro corsa, stoffe srotolate da incidere su tavoli rivestiti di mollettoni, forbici affilate e chirurgicamente precise, ferri da stiro attenti a non lasciare segni e ombre, scope che allontanano dal pavimento lembi colorati di avanzi, sfilacciati, di idee, di dubbi, di scelte che, solo alla fine, si saprà se saranno state quelle azzeccate; tribunali e giudici di ciò che andrà o non andrà riposto negli armadi nella prossima stagione; pale di ventilatori che fanno circolare e distribuire lontano aria nuova e fresca o rivisitata. Il gotha della moda passa di lì. New York, Londra, Milano, Parigi come lame di pattini sulle quali riuscire a reggersi e a proiettare nel mondo la propria idea di capriccio Primavera-Estate 2018. Proiettare nel mondo il lavoro di mesi e di tanti nei vari livelli.
Milano, la terza, dal 20 al 25 settembre ha sciorinato la sua fashion week attraverso 159 collezioni, 63 sfilate, 20 eventi in calendario, 94 presentazioni, nuove aperture, maxi schermi e performance di vip.
Milano che ha guardato alla concorrenza con un unico obiettivo centrale: riprendersi il mercato pre-crisi cercando di investire nella ripresa, o quelli che si ipotizza possano essere segnali di ripresa. Milano che pensa in grande, in XL ed “energia” è stata la parola d’ordine tra passeggiate di modelle per i casting, catering al lavoro, allestitori impegnatissimi negli ultimi ritocchi.
Milano che è apparsa come svegliata da una letargia e ha cercato di perdere la sua patina elitaria con eventi aperti a tutti e presentazioni anche di collezioni più alla portata per conquistare un pubblico più ampio.
Milano che, insieme ai ristoratori, avrebbe voluto che la Settimana della Moda durasse due settimane, ha saputo dilatare il tempo della sua personale vetrina da sabato 16 a martedì 26 con richiamo di addetti ai lavori e semplici curiosi.
Milano che, pur parlando la lingua internazionale del settore, prima di tutto si è sentita in dovere di coinvolgere l’intera città in quella che è stata una vera e propria festa della creatività italiana con un progetto di sette installazioni in luoghi suggestivi, il Progetto Milano XL, esteso tra Galleria Vittorio Emanuele, Palazzo della Rinascente, Palazzo della Ragioneria, Piazza San Carlo, Piazza della Croce Rossa, via Montenapoleone, Piazza d’Armi. Sette installazioni che hanno portato in scena una filiera di bellezza e ricchezza universalmente unica accorpando tutti gli aspetti della moda e dell’accessorio – dai tessuti, ai pellami, agli occhiali – in una operazione quasi più identitaria che promozionale del saper fare italiano e del Made in Italy come etichetta assoluta.
Il Progetto XL è stato un tentativo coordinato delle istituzioni di convincere cittadini e nazione che la moda è tutto fuorché vanità, che tutti dovrebbero sentirsi parte di un processo che, invece, viene vissuto come estraneo, esclusivo e che – sotto sotto, e a dispetto dei 700mila operatori che con gli stracci e i belletti mantengono la famiglia – trovano riprovevole e frivolo.
Ci vuole un cambio di mentalità: «Siamo la seconda potenza manifatturiera d’Europa ma tendiamo a dimenticare che dietro alle mani, nelle mani stesse ci sono intelligenza, eleganza, cultura, e che tutte queste componenti vanno valorizzate portandole all’attenzione di tutti e trasformandole in leva strategica», precisa Ivan Scalfarotto, sottosegretario al Commercio Internazionale e attrazione investimenti. Sulla bilancia attiva dei pagamenti, che l’anno scorso era di 52 miliardi, la moda è pesata per 25 dimostrando di saper dare forma e sostanza alla parola export ma, per ragioni storiche ed etiche, al settore non sempre viene riservata la giusta attenzione percependone il lato solo ludico e dimenticando che la “frivolezza” impiega 600mila persone e attiva una filiera di 70mila imprese «unica al mondo: creatività ce n’è anche altrove ma la filiera completa, dalla creazione del tessuto alla comunicazione dell’abito è solo nostra».
La Camera della Moda, che soffre la concorrenza di Parigi sempre più all’avanguardia nell’aspetto scenografico nonostante poi produca la quasi totalità della sua moda di alta gamma in Italia, non può che guardare con entusiasmo l’assist dei partner sostenitori e presenti di Progetto Milano XL, progetto che si ripeterà e diventerà un appuntamento semestrale con buona pace del traffico in tilt, strade chiuse, zone blindatissime, taxi liberi introvabili, code ai ristoranti, esaltazione di fan in attesa del divo di turno che presenzierà in prima fila alle sfilate più importanti e di occhi roteanti in cerca dell’incontro fortuito con bellezze di tutto rispetto.
Milano che è stata anche moda etica con raccolta di fondi a favore della ricerca sull’Aids attraverso l’amfAR Galà che, ormai alla nona edizione, ha attirato star internazionali e personalità da tutto il mondo compreso l’occhio vigile di Anna Wintour temutissimo direttore di Vogue e, in generale, gare di prime donne come è giusto che sia visto che parliamo di sfilate e non di ben più mesti funerali. Milano che è stata anche opportunità e ha lanciato un contest per stilisti emergenti che si sono affacciati nel gioco della ribalta.
La Settimana di Milano si è interrogata, di fronte a un abito, su chi, dove e in quali condizioni ha lavorato chi lo ha prodotto. Cosa si nasconde veramente dietro a ciò che si indossa? La risposta è scaturita con l’iniziativa dei Green Carpet Fashion Awards, i primi Oscar della Moda sostenibile, con lo scopo di arrivare a una certificazione di tutta la filiera che risulti chiara e trasparente per il consumatore, paragonabile a quella che, oggi, viene data agli alimenti che finiscono nei nostri piatti. L’evento, organizzato al Teatro alla Scala, è stato un momento che ha privilegiato storie di attività manifatturiere singolari e autentiche e ha creato l’occasione di dare giusti riconoscimenti e visibilità a chi si è impegnato a creare una moda sostenibile ed etica dando vita ad un settore che ha sostenuto il Paese nel momento della crisi.
Tra glamour, calici, e vanità ci si è, sostanzialmente, messi in gioco.
La moda, in fondo, è tutto un gioco con grandi poste in alto dove, a volte, in un pomeriggio, con una sfilata e con la scelta dei capi o delle modelle da mandare in passerella si butta sul tappeto il tutto per tutto, il destino in pasto ai grandi compratori internazionali di un lavoro costato sacrifici, tempo, investimenti.
Rimane un gioco con poste man mano a scendere tra compratori nazionali e clienti finali. Un gioco che attraversa tutti gli strati sociali quando la seduzione della tendenza e il solletico del dettaglio ultimo suggerito, volenti o nolenti, vengono percepiti attraverso vetrine, riviste, cartelloni. La moda si fa gioco nell’armadio di casa, si fa tattica e rinnovamento, si fa investimento anche minimo su piccoli particolari che non fanno acquisto di una nuova collezione ma abilitano a nuova collezione quello che già si ha.
Inutile essere invidiosi di un mondo a sé, di cartellini di prezzi non sempre alla portata, di luccichii che hanno bisogno di impalcature adeguate, e che non sempre possediamo, per essere portati con naturalezza. Inutile denigrare un ambiente diverso e lontano dal nostro considerandolo fatto di nulla o solo di fumo, e abitato, per alcuni, solo da oche giulive che tanto oche a noi non sembrano dal momento che in tante hanno a corredo materia grigia di un certo spessore e carriere scolastiche di tutto rispetto che di certo le avranno sostenute nel giocare la strategia della carta della bellezza e dell’avvenenza in un contesto dove al nulla, o quasi, non si riserva attenzione neanche per un’intera stagione.
Alcuni prodotti dell’Alta Moda esclusiva sono Arte, senza se e senza ma, al pari di un’opera pittorica, di un componimento musicale, di una scenografia teatrale, di una scultura, di un’opera architettonica. Possiamo non permetterceli ma è inutile rinnegarli perché sarebbe come rinnegare – tanto per dire – Picasso solo perché non possiamo permetterci neanche una bozza di studio da appendere nel salotto buono o Bernini perché non abbiamo la possibilità di far mettere nemmeno due colonne nel cortile di casa per farci la rete da calcio per i bambini.
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