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Giornata mondiale delle Tapas
In 15 Giugno 2017 da Il Viaggiatore¡Quien no ha visto Sevilla, no ha visto maravilla! Lo dicono i sevillanos con quel motto autocelebrativo che pare di essere a Roma, o a Napoli. Ma qui siamo in un mondo unico, con ben pochi paragoni da fare. L’Andalucia incanta, seduce e ti strega. È la giornata mondiale delle tapas e ci tenevo a passare di qui per aggiungere un pezzetto di conoscenza del vostro mondo, una piccola sfaccettatura per una volta deliziosa e rilassante.
Sono seduto al bar Estrella, in Calle Estrella, una viuzza angusta che taglia il cerchio del centro storico di Sevilla e che ospita tanti turisti, come me (magari arrivano da più vicino) e qualche sevillano. In questo bar si gustano le tapas migliori di tutta l’Andalucia, narra la leggenda. Tanto rumore, tanta allegria in questa sera calda e invitante. Il menù offre una quantità di tapas incredibile e con i più svariati ingredienti.
Ho cercato di documentarmi sulle origini e l’unica certezza delle mie fonti è che sia stato un re, Alfonso, a rendere le tapas una succulenta tradizione trasformata addirittura in legge. Non sappiamo se questa risalga al X, al XII o al XIII secolo. Persino due abitanti poco fa lo spiegavano ai turisti: si sono messi a discutere su due “Alfonso” e hanno proseguito malgrado lo sguardo stupito dei ragazzi che li ascoltavano. Di certo si sa che tapa sta per tappo e che, appunto l’origine del nome è tutta in quel termine che significa “tappare”.
Il caldo è amico delle mosche e degli insetti ed è facile che, attirati dall’odore di vino, rischino di finirti nel bicchiere. E l’oste che fa, ti cambia il vino che ti ha versato? Direi di no e allora ci mette sopra un tappo. Sì, ma quale? E qui si apre un’altra discussione, che tengo per me altrimenti tornano i due signori di prima e da Alfonso si mettono a litigare se sopra il bicchiere ci appoggiavano una fetta di pane, di salame, di prosciutto o chissà cos’altro. Anzi, qualcuno dice che lo facessero di proposito, perché il vino era di bassa qualità e con un salume si notava di meno.
Preferisco stare qui appoggiato al bancone a godermi le chiacchiere, il rumore e un paio di ragazze spagnole che confabulano poco più in là (sarò alieno ma mica troppo). Temo che questo vino andaluso mi stia dando un po’ alla testa e ne risente la scrittura e le confidenze da pseudo playboy stellare che mi verranno segnalate in redazione. Proprio questo mio linguaggio sciolto potrebbe essere l’altra motivazione per cui sono nate le tapas: accompagnarsi al vino e quindi aggiungere all’alcol del cibo al fine di evitare l’ebbrezza pressoché immediata da parte dei clienti delle tabernas (e forse i troppi sorrisi alle ragazze, come sto facendo io). Quella che è diventata una tradizione conosciuta nel mondo che prevede compagnia, una buona bevuta e cibo da associarci (se la chiamate apericena vi prendo, vi metto sull’astronave e vi porto su una luna di Saturno e vi lascio lì per una settimana…).
Sarà meglio che mi calmi e scelga al più presto dal menù due o tre tapas. Quella al jamón deve essere favolosa, sicuramente avrò perso qualche lettore vegetariano o vegano, ma, orsù!, non siate così trancianti, del resto nel mio mondo il cibo è sintetico. Voglio provare la tapa con il bacalao, quello che voi chiamate merluzzo, almeno la sangria che ho nello stomaco ridurrà il rischio di scrivere troppo. Una tapa e un sorso, una tapa e un sorso e pure un sorriso strozzato perché sono arrivati i fidanzati delle due spagnole e mi hanno guardato male. Ho fatto finta di nulla e proseguita con un’altra tapa e un altro sorso. Sarà che il cibo incide sul ritardo dell’ubriacatura ma devo dire che con me ha funzionato poco. Ci vuole calma, piedi ben appoggiati allo sgabello e attendere che passi un po’ malgrado il mio spagnolo, diventato fluentissimo, potrebbe mettermi nei guai.
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