Coccodrilli ad Artem . IRA
Giuseppe Mazzini
In 10 Marzo 2017 da Il Viaggiatore«Ebbi a lottare con il più grande dei soldati, Napoleone. Giunsi a mettere d’accordo tra loro imperatori, re e papi. Nessuno mi dette maggiori fastidi di un brigante italiano: magro, pallido, cencioso, ma eloquente come la tempesta, ardente come un apostolo, astuto come un ladro, disinvolto come un commediante, infaticabile come un innamorato, il quale ha nome: Giuseppe Mazzini». Klemens von Matternich nelle sue Memorie lo ricorda così. E di certo l’ha conosciuto da vicino – i nemici in certi casi te li trovi a cena; in tutti gli altri a letto -, e abbiamo intuito che sì, fosse proprio un diplomatico fastidiosetto, un uomo di legge che sapeva bene quando poteva abusare del suo potere, un fomentatore di ideali senza successo, e se poi erano gli altri a morire, tutta gloria dei cieli per loro. Lo abbiamo conosciuto come uno dei tre pilastri fondamentali dell’unità d’Italia, in quel Risorgimento dagli equilibri poco chiari. Ma del resto, da allora li sono mai stati?
Il vero coccodrillo è scritto in un romanzo. Ci congediamo da lui così, immaginandolo Giorgio Brown, a Pisa nell’abitazione di Pellegrino Rosselli, in quel 10 marzo 1872, a un soffio dal nuovo arresto. Lui, Giuseppe Mazzini, aveva 67 anni.
Il coccordillo romanzato:
«E poi penso alla Storia d’Italia, quell’intreccio rivoluzionario del 1848, penso che in quello stesso ottobre una quindicenne qualunque di nome Eligia ha dovuto dire addio alla sua casa, al suo paese, alla sua famiglia. E anche a se stessa. Era inconsapevole che l’uomo con l’anello simile a un sigillo, che odorava di rose rosse appassite e che era il suo nuovo “padrone” fosse uno dei tre protagonisti della successiva unità d’Italia. Perché Eligia questi intrecci li ha vissuti per-sentito-dire, li ha vissuti pensando a un Lui che era troppo idealizzato per essere vero. Ma ha ragione, il suo nome è sopravvissuto alla sua morte, e per i posteri non è difficile capirne l’identità».
(Debora Borgognoni, 2016, Tu non spegnere le luci, pag. 128)
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