Le storie superbe . SUPERBIA
Operazione plenilunio – III
In 16 Ottobre 2016 da Gianfranco Monaca(… continua dalla PARTE I e dalla PARTE II)
I religiosi superortodossi rimproveravano a Jeoshua – il nome completo era Jeoshua-ben-Josef, ma lui si firmava Jeoshua-ben-David, un po’ per scherzo e un po’ per megalomania sublimata – la sua mancanza di patriottismo: per lui andavano tutti bene, samaritani, pagani, pubblicani, prostitute, portatori di malattie ereditarie infamanti, adultere e pubblici peccatori. La loro irritazione era al colmo soprattutto perché il suo linguaggio – peraltro molto trasparente e chiaramente percepito da tutti – si mimetizzava nell’azione scenica. Il suo teatro rappresentava la vita di ogni giorno, gli spettatori vi si riconoscevano e riconoscevano i maggiorenti, i bacchettoni e gli alti ufficiali, e li accoglievano con bordate di fischi quando le loro controfigure comparivano caricaturate sulla scena, ma – quel che è peggio – anche quando, in carne ed ossa, attraversavano le piazze e il mercato. «Bisogna che il teatro rappresenti la vita, – diceva spesso Jeoshua – se non si vuole che la vita si riduca a un continuo spettacolo teatrale. Noi dobbiamo mascherarci per poter smascherare voi». E ancora: «Se volete che noi smettiamo di fare teatro nelle piazze, incominciate voi a farla finita con le sceneggiate e le commedie nei vostri sacri palazzi!». E non sapevano che cosa rispondergli.
Il disprezzo per le corrette tradizioni arrivava al colmo quando, dopo gli spettacoli, l’intera troupe si metteva a tavola in osteria con ogni sorta di gente, e avallava con il proprio silenzio ogni genere di discorsi irriverenti verso le autorità costituite. E mangiavano e bevevano senza complimenti, e si lasciavano strofinare da ogni genere di donne.
Il capo carovana, poi, andava al tempio, ma con quel suo tono apparentemente ingenuo e disarmato, in realtà saccente e provocatorio, seminava il discredito per la sacralità di quel luogo e delle cerimonie che vi si celebrano. Era il suo tasto privilegiato, quello di individuare nella religione di Stato il nodo di tutte le ipocrisie e il principio corruttore delle coscienze: ma non era un ateo dichiarato, anzi, dava prova di una raffinata spiritualità e la gente riconosceva in lui senza esitazione lo spirito degli antichi profeti.
«Sono tre le trappole in cui la gente onesta si fa catturare: la religione, la politica, il lavoro. O meglio, la trappola è una sola, e queste sono le tre molle che la fanno scattare. La trappola è maledettamente ben studiata, perché l’esca è perfetta: tutti desiderano Dio, tutti sentono il bisogno di organizzarsi con gli altri per vivere insieme, tutti si sentono crescere tra le mani il desiderio di realizzare qualche cosa che sia apprezzato e di scambiarlo con qualcun altro… È su questi tre sacrosanti bisogni che piombano i dogmi, le leggi, il denaro; e la gente viene catturata dalle chiese e dal ritualismo, dagli stati e dai sistemi di potere, dalle banche e dall’interesse composto… La trappola si chiama “la nostra civiltà superiore” oppure “la patria” e quando la gente ci sta dentro impazzisce ed è pronta ad ammazzare e a farsi ammazzare senza alcuna ragione al mondo…».
Parlava come un anarchico e pregava come un mistico.
Ed era proprio questa sua ambiguità il peggiore dei capi d’accusa nei suoi confronti. Un ateo che critica la religione è normale, recita la propria parte, fa il proprio mestiere, ma se lo fa un credente che va anche in chiesa, al tempio o alla moschea, è la confusione totale, è la bestemmia. Diventa un rinnegato, un eretico, un demonio, un lupo rapace. Un animale impuro. Per i superortodossi, impuri sono gli animali che hanno l’unghia fessa ma non ruminano, qualcuno ha inventato il proverbio “non sono né carne né pesce”; la buona società che vive di idee chiare ha paura di quelli che “tengono il piede in due staffe”, i “voltagabbana”, non li può mai arruolare e inquadrare nei suoi schemi, nei suoi partiti, nei suoi eserciti. Sono destabilizzanti, imprevedibili, inaffidabili, atipici, anarchici, renitenti e disertori. Tutte le civiltà e tutti i regimi li hanno isolati e dileggiati, scherniti e perseguitati: hanno inventato le cliniche psichiatriche per poterli classificare, screditare e contenere come pazzi, omosessuali o allucinati. Eppure non sono mai riusciti a disfarsi di Tersite e Dioniso – lo scemo e l’ubriaco – Bacco, Pulcinella, Arlecchino e tutti i loro Satiri e Sileni.
Jeoshua era uno di questi maledetti, tragici Pulcinella; e aveva capito benissimo, ormai, che la pazienza della buona società dei religiosi, degli atei devoti e dei boiachimolla era agli sgoccioli, e stavano per presentargli il conto tutti insieme.
Nei circoli del dissenso radicale quel gruppo di saltimbanchi non piaceva a nessuno. Innanzi tutto perché non si confrontava con loro, introducendo per ciò stesso – dicevano – una spaccatura nel fronte della resistenza popolare. La simpatia con cui la gente li accoglieva era una prova in più della loro posizione qualunquista e accomodante. Non facevano mistero, poi, di amicizie altolocate nella piramide del potere oppressore: Jeoshua non aveva nemmeno cercato di mimetizzare la sua disponibilità verso un ufficiale dell’esercito, rendendogli visita a domicilio, così come aveva fatto con il direttore del centro culturale della città, che lo aveva chiamato per la grave malattia della figlia. Quando si trattava di bambini malati, portava nelle loro case veloci spettacolini buffi, con parrucche e nasi finti, e spesso li rianimava talmente da guarirli (cosa che ai medici, progressisti o no, dava terribilmente sui nervi).
Se lo chiamavano andava ad animare le feste familiari nei cortili così come nelle case perbene, e dovunque, con quella compagnia di guitti, lasciava il segno profondo di una permanente simpatia, faceva gustare a tutti la sensazione che la pace è possibile, se soltanto la si voglia, senza esecuzioni mirate e senza disseminare i bar e le strade di brandelli di carne umana.
Si sa, poi, che questo genere di interventi porta soldi per l’autofinanziamento, e questa era la vera ragione per cui quello strano gruppo non tagliava i ponti con le classi dirigenti, mantenendo i piedi in due scarpe nonostante certe tirate omiletiche sulla ricchezza e sulla povertà. Un pacifismo rinunciatario che faceva effetto sui giovani e li scoraggiava dall’entrare sia nell’esercito che nell’ala militare della resistenza.
Come tutti i gruppi nonviolenti, questo contribuiva a creare un alibi per quanti vogliono appartenere all’area del dissenso, senza correre i rischi della clandestinità armata, tant’è che due o tre di loro avevano abbandonato i compagni combattenti per questa nuova aggregazione.
Gente inutile, dunque dannosa.
Le trattative per la liberazione di Bar Abbas, che si trovavano a un punto morto, ripresero attivamente. I superortodossi e il dissenso armato si accordarono, si sarebbero liberati entrambi di una spina nel fianco. Jeoshua sarebbe stato presentato come il vero mandante delle stragi e la mente occulta che astutamente aveva sempre giocato contro ogni piano di pace. Finalmente i servizi segreti erano riusciti a svelare l’intrigo e a produrre prove inoppugnabili per il tribunale. Bisognava far presto.
(… continua…)
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