Ricettacolo - Il concorso
Serpenti d’invidia
In 16 Agosto 2017 da Redazione Seven BlogIl racconto secondo classificato di Ricettacolo – L’Invidia
di Carlotta Moscardi
Basta sempre un attimo soltanto per capovolgere in peggio una giornata. Come mia madre che mi chiama per annunciarmi che quella sera a cena aveva invitato anche mia sorella e mio cognato. A casa mia. Senza chiedermelo. Nel senso che la frase «non ti crea problemi se ho detto loro di venire, vero?» non la considero come una vera richiesta del mio parere a riguardo. È una formula di rito, a cui non posso replicare con un «Col cavolo! Sì che mi crea problemi!», perché scatenerei polemiche senza fine, contro il quale davvero non ho voglia di replicare.
In fondo l’ha invitata per festeggiare la sua promozione. La sua ennesima promozione! Perché Giulia è così brava, Giulia è così in gamba, Giulia è così ambiziosa, Giulia è così realizzata, col suo meraviglioso lavoro, il suo meraviglioso marito e la sua meravigliosa casa. Mica come me! Vero, mamma? Io ho solo un vivaio, vivo solo in una porzione di casa colonica e sono irrimediabilmente single. Decisamente non sono brava come Giulia.
Mentre apro il frigo, sento una sensazione di rabbia, disprezzo e autocommiserazione strisciare sulla pelle come viscidi serpenti, e stringermi la gola, i polmoni e il cuore. Un respiro profondo. Due. Tre.
Ma più cerco di calmarmi, più i boa constrictor che mi attanagliano serrano la presa e io mi trovo a stringere lo sportello del frigo tanto da avere le nocche bianche. Se non fossi così piccola e mingherlina, probabilmente potrei romperlo, quello stupido sportello!
Guardo il contenuto del frigo. Avevo pensato di cucinare una cosa semplice, come una pasta, ma ora questo progetto non va più bene. Adesso dobbiamo festeggiare la mia perfetta sorella, e ci vuole qualcosa di migliore, perché Giulia è sempre la migliore.
Cosa posso inventarmi ora? Scruto il frigo in cerca dell’illuminazione, o almeno del barlume di un’idea. Ci sono i gamberi che avevo comprato questa mattina e ho un sacco di zucchine, potrei fare una pasta con quelli.
No, aspetta. Troppo facile, troppo semplice, troppo poco sofisticato, come me. Perché non scordiamoci mai che Giulia è anche tanto sofisticata ed elegante, mangia nei ristoranti migliori e ha girato mezzo mondo. Quanto meno, a me non permette mai nessuno di scordarmelo.
E alla fine l’idea arriva! Prendo otto gamberi e li sguscio. Lo faccio con una certa violenza e cattiveria, come se vedessi mia sorella in quei poveri crostacei innocenti, poi prendo le teste e i gusci e li metto in una pentola con un filo d’olio e li lascio soffriggere. Prendo il vino bianco che avevo in frigo, un bicchiere lo verso nei gamberi perché sfumi, un altro me lo bevo, quasi d’un fiato, nella speranza che quei serpenti di sdegno e frustrazione allentino la presa su di me. Ma non succede. Rimango lì, attanagliata e prigioniera di quelle sensazioni. Allora tocca a un po’ di prezzemolo, che trito con tutta la rabbia che provo, lo getto nella pentola insieme a un pizzico di pepe, e annego tutto nell’acqua bollente, a occhio un litro e mezzo, e lascio andare a fiamma viva.
Mi aggiro col coltello in mano, rosa dentro da quella sensazione di inadeguatezza e rabbia. Affetto uno scalogno e lo metto a rosolare con un filo d’olio in un’altra pentola. Respira. Dentro, fuori. Inspirare ed espirare. Me lo ripe09to mentre affetto grossolanamente otto zucchine. Ogni zac zac del coltello, è un movimento dei polmoni, dentro fuori. Ma non mi sento meglio. Perciò li metto con lo scalogno, aggiungo un pizzico di sale, e le lascio insaporire un momento.
Alla fine, li affogo col brodo di gamberi filtrato, che nel frattempo si è ristretto, un po’ come il mio cuore, quel tanto che basta per coprire le zucchine, e lascio cuocere. Se fosse necessario, ne aggiungerò altro in seguito.
Più tardi, la sensazione non mi ha abbandonata, mi accorgo di muovermi per la casa con la mascella serrata e una certa espressione di disgusto sul viso, che dovrò togliermi non appena arriveranno tutti, perché dovrò sorridere, perché stiamo festeggiando.
Grandi sorrisi e grandi applausi per la splendida Giulia, che con la sua luce sfavillante illumina noi poveri mortali. Perciò, mentre passo col frullatore a immersione le zucchine, fino a ridurle in una vellutata non troppo liquida, mi esercito a sorridere e a sembrare naturale.
Più sorrido, più quei serpenti mi stringono la gola. Alla fine, pochi minuti prima che arrivino, così che non si freddino troppo, avvolgo i gamberi in degli spaghettini di riso, che avevo precedentemente messo in ammollo in acqua per ammorbidirli. Li arrotolo intorno, e ho l’istinto di stringere, come se si trattasse del collo di mia sorella. Alla fine li friggo in olio bollente.
Come previsto mia sorella e il marito arrivano puntuali come un orologio svizzero, perché ovviamente la perfetta Giulia non è mai in ritardo.
Ci salutiamo, baci, abbracci. Loro hanno portato il vino e io lo metto in fresco, anche se è già fresco, perché potete immaginare che mia sorella faccia una gaffe come portare a una cena del vino bianco caldo? Arriva anche mia madre, che tesse le lodi di sua figlia, di Giulia ovviamente, fin da quando apro la porta. E allora mi congratulo anche io, con tutte le lodi di rito. Non venisse loro il dubbio che io sia gelosa di mia sorella. Complimenti Giulia, sei stata eccezionale, te la sei proprio meritata. E lei sorride. E ringrazia. E sembra quasi una Madonna che brilla di modestia mentre lo fa. Ma io vedo anche la soddisfazione, e la vittoria nei suoi occhi, mentre dall’alto del suo piedistallo ci irradia della sua perfezione. E gongola. La stronza gongola. Questo non lo penso io, me lo suggerisce uno dei malefici serpenti che mi stritolano la gola e il cuore, e io mi trovo un poco d’accordo con lui.
Alla fine ci sediamo a tavola e io servo la vellutata di zucchine calda, accompagnata dai gamberi croccanti. Facciamo un brindisi con l’eccellente vino portato da Giulia e poi iniziamo a mangiare. C’è quell’attimo di silenzio che apre ogni pasto, in cui si assaggia, si assapora, si sente il morso della fame che si placa un poco. Io ne approfitto per ignorarli un istante, per scordarmi solo per un momento di quanto Giulia sia meravigliosa e quanto io sia fortunata a essere la sua sorellina. Poi Marco rompe il silenzio.
«Santo cielo, Chiara, ma è buonissimo!».
Lo osservo, è sincero e ha gli occhi illuminati di piacere.
Poi li volge verso Giulia e ironico aggiunge: «Dovresti imparare a cucinare da tua sorella. Quando hai tentato di cucinare una cosa simile, la vellutata era salata da far orrore, e i gamberi sembravano ciabatte di gomma, impossibili da masticare».
E mia madre ride. E rincara, raccontando quanto Giulia sia negata ai fornelli e quanti disastri abbia combinato nel corso degli anni tentando di cucinare anche cose semplici. E mentre parlano, vedo la perfetta Giulia cadere rovinosamente dal suo piedistallo e schiantarsi a terra, con noi miseri mortali. E allora i serpenti che mi soffocano cadono. Crollano a terra uno dopo l’altro e io sono libera, di respirare, di ridere.
Ed è proprio mentre faccio una di quelle risate che mi pareva impossibile fino a un minuto prima, che vedo quei serpenti, risalire la pelle di Giulia e catturarla stretta stretta.
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