Ricettacolo - Il concorso
Sfrolla Cannella Puttana
In 5 Luglio 2017 da Redazione Seven BlogIl racconto-ricetta vincitore di Ricettacolo – La Gola
di Luca Bonisoli
Fava e mela
coll’acqua allega.
(Proverbio toscano)
La citazione qui sopra serve da entratina di benvenuto. Un boccone di quel che più ti s’addice, fava o mela, scegli tu, ché l’acqua viene dopo. Perché questa è la storia di un acchiappo tentato con l’arte della cucina. Una ricetta dolce, secca, pungente e pepata come il Cinnamomum zeylanicum.
Avevo invitato finalmente a casa una rossa riccia con gli occhi verdi che non mi aveva mai filato troppo, tale Greta. Al lavoro continuavo a girarle intorno come un moscone d’estate ma non combinavo nulla. Frasi oblique, sorrisi candidi, allusioni appena sfiorate. Una sega.
Poi un giorno Tonino “cazz’e fierr”, il nostro sceriffo alla reception, mentre stava rientrando abusivamente dal mercato con una cassetta di Golden Delicious venne fermato dalla signora in questione.
«Che belle, Tonino. Adoro le mele», disse lei.
«Signo’, vuole gradire?».
«Grazie, ma preferisco quelle rosse», rispose con un sorriso.
E a quel punto, cazzo, intervenni. «Anch’io», dissi con un sorriso deficiente.
Il succitato “cazz’e fierr” mi guardò compatendomi, ma per insondabili ragioni Greta mi sorrise:
«Davvero?», «Sì, e le uso per fare un dolce, una sorta di Sfrolla Cannella», feci.
«Sfrolla?».
«Puttana».
Greta spalancò i suoi occhi verdi e mi sentii perduto. «Una torta. Di mele. Una pastafrolla brisée, ma non proprio. Senz’acqua», recuperai.
«E perché puttana?».
«Va con tutto».
Rise enigmatica. Ma non girò sui suoi tacchi piuttosto sottili e scomodi. E mi giocai il tutto per tutto.
«Vuoi assaggiarla?».
Yeah. Disse di sì. Appuntamento a casa mia, venerdì sera ore otto. Cazzo. Se la cucina è arte, la pasticceria è matematica. Tutti gli ingredienti devono essere selezionati uno a uno, dosati al grammo e lavorati con precisione e metodo giapponese. Le mele. Dove si trovano le Annurca a Milano? E, soprattutto, la varietà Caporale? Al mercato, ovviamente. Perché devono essere croccanti, dolci, leggermente acidule e succose; raccolte acerbe e lasciate “arrossare” sui melai di paglia per quindici giorni al sole, girate dalle mani sensuali delle donne campane. Violentate dalla pellicola in PVC e dalle celle frigorifere delle grandi distribuzioni no grazie. Tonino “cazz’e fierr” mi disse in quale bancarella di suoi compaesani andare, e le trovai.
Il burro. Centrifugato, dannazione. Non quelle ciofeche bianche come la neve. Da latte appena munto, a crema dolce non fermentata. Quindi andai in cerca di un Beppino Occelli, e lo trovai di un bel color paglia chiarissimo.
La farina. Deve essere debole per non far partire il glutine e rendere la pasta tutto tranne che frolla.
Anzi, Sfrolla. Cercai una Spadoni W140, doppio zero e la trovai. Perfetto. Lo zucchero. Scelgo lo saccharum officinarum, ovvero lo zucchero di canna. Perché la mela si sposa con questo dolcificante e perché la ricetta è puttana e un sottoprodotto della canna da zucchero è la bagassa. Amo la coerenza. Trovai questo zucchero sotto casa, e scelsi quello a grana fine.
Il miele. Qui si cerca quello di fiori d’arancio. Perché tutte le puttane sognano di sposarsi prima o poi. E poi perché ho un amico che si chiama quasi come me che è apicoltore e fa un miele d’arancio perfetto. Scelsi quindi un Bonizzoni d’agrumi raccolto in Sicilia, che ha un profumo di zagara.
La cannella. Ovviamente in cerca del Cinnamomum zeylanicum, un tronchetto di cannella da grattugiare introvabile. Sempre Tonino mi disse che in una bancarella del mercato aveva conosciuto una coppia di giovani cingalesi. Li trovai, e incredibile a dirsi ce l’avevano. Costoso come lo zafferano ne presi due pezzetti, ma non me ne pentii.
Le uova. Bastano due tuorli che devono essere estratti alla coque. Non gialli o sbiaditi, ma rossi o arancioni. Qui andai sul sicuro: il mio amico Claudio tiene le galline. Me ne sono fatte dare due dal guscio bianco.
I limoni. Se avessi potuto avrei scelto i limoni di Menton. Ma sono introvabili da queste parti. Mi sono accontentato di un limone di Sorrento, dal succo molto acido, che essendo femminiello in fin dei conti trova casa in questo dolce.
Ed ecco che il giovedì sera inizio a preparare. Sì perché questa è una Sfrolla che va gustata il giorno dopo, fredda, riposata. E bisogna mantenere la concentrazione, non pensare alla rossa, ai suoi occhi e al suo culo. Focus. Sulla Sfrolla Cannella Puttana.
Iniziamo. Lavarsi con un sapone di Marsiglia senza profumi è importante perché l’impasto va lavorato a mano. Non siamo dilettanti. Non su questo, almeno. Tre mele, sbucciate, tolto il torsolo, tagliate a dadi di due centimetri. Si mettono in una padella larga antiaderente assieme al succo del limone filtrato, e a sessanta grammi di zucchero di canna, a un cucchiaio da cucina di miele d’agrumi, un bicchiere d’acqua fredda e a una grattugiata di cannella. Si fanno andare col coperchio a fuoco basso finché la mela non sarà diventata ambrata, quasi trasparente. Poi si lascia raffreddare. Lo sciroppo che rimane sul fondo va raccolto e conservato in frigorifero. Non ne rimane mai più di una tazzina da caffè ed è buonissimo.
Si preparano le due uova alla coque immergendole in acqua che bolle per tre minuti esatti, poi le si toglie. Una volta aperte sulla punta e tolto il primo strato di albume bianco con un cucchiaino si estrae il tuorlo caldo e lo si mette da parte. In una terrina centocinquanta grammi di burro lasciato a temperatura ambiente vanno lavorati a mano assieme a ottanta grammi di zucchero di canna finché non si ottiene in poco tempo una densa crema che va lasciata riposare un paio di minuti in frigorifero. Successivamente si setacciano trecentocinquanta grammi di farina e si aggiunge il lievito secco per dolci senza quel disgustoso aroma artificiale di vaniglia, dannazione.
Ora c’è la parte più importante, ovvero la lavorazione manuale che sfrolla, sbrisa, spallottola, sfarina e puttanizza la pastafrolla. Tolta la crema di burro e zucchero dal frigo si aggiunge la miscela di farina e lievito, e i tuorli d’uovo preparati. E si miscela il tutto con le mani in modo da non compattare la pasta, e lasciarla frantumata, frammentata. Come la ghiaia, i sassolini bianchi dei vialetti. Veloce, rapido, deciso e leggero con le mani. La Sfrolla non deve avere il tempo di rendersi conto di essere stata fatta e deve rimanere disunita nella terrina. Puttana, appunto. Poi, velocemente, si mette uno strato di un centimetro sul fondo della tortiera rivestita da carta forno, e sopra si distribuisce la preparazione di mele, si appiattisce il tutto e si copre facendo piovere i sassolini di Sfrolla fino a coprire il tutto, senza battere, schiacciare, livellare niente. La geometria è importante, i grani di Sfrolla devono asciugarsi al caldo del forno.
Dentro, a 175°, per quaranta minuti in posizione centrale non ventilata. Il profumo che si spande in cucina ragazzi è qualcosa di paradisiaco. Quel giovedì andai a dormire abbastanza presto, dopo aver tolto la torta e averla lasciata raffreddare su una alzatina grigliata con la sua carta ancora sotto. La mattina dopo l’avrei trasferita nella tortiera in vetro e lasciata coperta da una campana di rete a maglia sottile. Non per le mosche, ma perché sono paranoico.
Quel venerdì al lavoro mi rideva anche il culo. Felicissimo per la serata che si preannunciava mi diressi alla pausa caffè vestito nel mio miglior paio di chinos bianchi e camicia azzurra scravattata. Ma Greta non era lì. Presi allora il caffè con lentezza, aspettandola. Chiacchiere inutili sul calcio di cui non mi fregava nulla con colleghi vaporosi, orecchie distratte alle ciacole delle ragazze. Greta è in malattia, sentii. E cazzo.
«Scusate, avete detto che è a casa?». Mi infilai.
«Sì, ha chiamato stamattina», rispose la sua collega preferita, quella piccola. Presi il telefono, entrai nell’applicazione verde – come stai? Una spunta. Due spunte. Grigie. Mi misi ad aspettare. Nessuna doppia spunta blu. Maledizione. Tornai in ufficio emulo di Bartolomeo Colleoni, ovvero con un poliorchidismo pronunciato. Quella sera, dopo un pomeriggio a fissare la doppia spunta grigia, tornai a casa, sudato. Fanculo al Valdobbiadene Riserva da sorseggiare assieme alla Sfrolla Cannella Puttana. Lo lasciai sul tavolo. Tolsi la camicia e la lanciai sul divano, via i pantaloni bianchi per terra. Scarpe buttate dove capitava. In mutanda tattica nera e calzino mi sdraiai sul divano e accesi la tele. La spensi. La riaccesi, e cercai pace. Il profumo della Sfrolla era ovunque in casa. Mi alzai e decisi di fare l’unica
cosa sensata. Ritagliai da un foglio bianco una forma fallica, un bel cazzo, il classico pisellone che si disegna sui muri. Presi due cucchiai di zucchero di canna, gli aggiunsi una grattata di cannella rara e costosissima, e li misi nel macinino. Dopo qualche secondo avevo dell’ottimo velo beige pepato e piccante. Appoggiai il cazzo di carta sul dolce e spolverai abbondantemente con il setaccio. Tolsi la carta e mi venne da ridere: era perfetto. Vabbe’. Mi ributtai sul divano, Mtv strimpellava motivetti country, erano le sette di sera. E mi appisolai.
Ding dong. Il citofono suonò. Andai rincoglionito dal sonno a vedere. Erano le otto. «Sì?».
«Ciao, sono io, Greta».
Rimasi di legno. Mi guardai, ero lercio in mutande e calzino sporco di velo beige appiccicoso, coi capelli in piedi e l’occhio pallato. «Sali pure».
Cercai di sistemare il sistemabile, aprii la doccia e mi infilai sotto l’acqua ancora fredda. Mi lavai in otto secondi netti compreso risciacquo. Avevo calcolato che ci volevano circa ventitré secondi dal cancello al portone, e almeno un minuto tra ascensore e tutto il resto. Uscii dalla doccia e corsi in camera, mi misi un paio di jeans senza mutande e la prima camicia che riuscii a staccare dalle grucce. Non feci in tempo ad allacciare nemmeno un bottone quando la porta di casa si aprì.
«Permesso?».
Era divina. Rossa in rosso, con una collana di giada come i suoi occhi. Un abito né corto né lungo, alta nelle sue scarpe, bellissima. Balbettai qualcosa. Mi sentivo totalmente idiota. Uscii dalla camera col sorriso più cretino del mio repertorio (vasto). La patta era aperta, e il repertorio coi baffi faceva capolino. Per terra mutande e calzini. Il Valdobbiadene caldo. Greta bellissima con un sorrisino imbarazzato. Ma, peggio di tutto, la torta col pisellone campeggiava sul tavolo.
Andò a finire che due anni dopo ci sposammo, perché quella sera la Sfrolla riuscì dove io avevo miseramente fallito.
VINCITORE
Luca Bonisoli
TITOLO
Sfrolla Cannella Puttana
La motivazione della Giuria è la seguente:
Consapevole che la lussuria è una gola più spinta – o che la gola è una lussuria più generica – il lettore si lascia trasportare in una storia di ordinaria umanità da terzo millennio italiano. L’uomo corteggia la donna più per lo sfizio del suo unico aspetto fisico descritto, la donna è piuttosto restia e addirittura imprevedibile ma cede al magico happy end, e il collante è una ricetta che ha più personalità dei due esseri umani che ne narrano le gioie. E poi ha un nome e un cognome: Sfrolla Cannella Puttana. L’ironia dà un respiro non scontato, il ritmo è un battito incalzante, la ricetta è a prova di chef.
Biografia dell’Autore in un Tweet:
Classe 1967, architetto, rugbista, gourmet e scrittore dedicato agli amanti delle distopie, di cui Bad Panda (2014) ne è testimonianza.
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