INVIDIA . Lector In Invidia
Tu scendi dalle stelle, ma non è Natale
In 21 Dicembre 2017 da Attilia Patri DPDicembre e luminarie. Dicembre e vetrine. Dicembre e attese. Dicembre e menù delle feste. Dicembre e bilanci.
Dicembre e l’Istat che dice le stesse cose di Eurostat. Istat ed Eurostat alle prese con la pubblicazione dei risultati dell’analisi della popolazione italiana filtrata attraverso una serie di indicatori economici, quei requisiti minimi che consentono la demarcazione tra una vita dignitosa, magari con sacrifici, ma dove si riesce a far fronte e le “gravi privazioni materiali ed esclusione sociale”, la definizione istituzionale di povertà. Il di qua e il di là del setaccio dei requisiti vaglianti costituiscono due mondi separati, paralleli e opposti; come sulla lavagna di tanti anni fa: riga in mezzo, i buoni da una parte e i cattivi dall’altra.
A rischio povertà ed esclusione è il 30% della popolazione, vale a dire quasi 1 su 3 equamente distribuiti da Nord a Sud, isole comprese, e non mi addentro in altri dati numerici tanto la situazione è sotto gli occhi di tutti: basta guardarsi attorno. In Europa siamo il Paese che ha, in valori assoluti, il più alto numero di poveri, di persone che hanno difficoltà a tirare avanti, a pagare l’affitto regolarmente, ad affrontare spese impreviste o ad avere una casa sempre adeguatamente riscaldata e, l’Italia, si conferma come un Paese che non favorisce le famiglie numerose pur facendo delle nuove nascite e della spinta alla natalità un “Credo” fermo.
Poco importa se la valutazione economica generale del Paese è migliorata: i poveri storici e i nuovi che a loro si sono aggiunti, stanno a indicare che l’intero sistema stenta a uscire completamente da una crisi che, nel giro di una decina d’anni, ha affamato parecchie famiglie. La ripresa italiana, così ultimamente decantata, non è stata inclusiva, non ha migliorato la situazione economica della parte più debole della popolazione e ha creato un aumento di disuguaglianze che, se da un lato ha elevato il benessere di chi agiato era già, dall’altro ha aumentato le difficoltà di chi ha sempre avuto una situazione economica instabile vuoi per il lavoro precario o sottopagato, per i periodi di disoccupazione, per i contratti a termine, per le nuove situazioni familiari conseguenti ad una separazione con moglie e figli a carico, più la casa per forza di cose abbandonata ed uno stipendio, magari anche decoroso, ma che diventa coperta troppo corta per far fronte alle esigenze, neanche troppo presuntuose, di tutti.
La ripresa ha allargato la forbice e nel nuovo spazio non ha creato nuova ricchezza o tranquillità, ha solo aumentato l’area della fascia debole già traballante. Oltre dieci milioni i nuovi poveri. Oltre dieci milioni le situazioni di sofferenza sociale che restano difficili da affrontare e con le quali dobbiamo fare i conti per strada, o mentre si esce dal supermercato con le borse della spesa piene, oppure quando si esce da messa la domenica con il vestito stirato, il vestito buono per lo struscio dopo l’andate in pace, o mentre si consuma qualcosa al bar e ci si sente gli occhi addosso di qualcuno con la mano tesa o quando si incontra una persona che dorme allungata sulle sedie d’attesa di un pronto soccorso qualunque, di una cittadina di provincia qualunque, in inverno, di notte, e basta guardarla con le sue borse di plastica legate sotto le sedie, osservare il suo bagaglio, il suo tutto, per capire che non ha accompagnato nessuno e l’unica attesa è quella dell’arrivo di un nuovo giorno con un tetto sopra la testa.
Dicembre e le “buone feste a te e famiglia”, dicembre e l’esame di coscienza tra un anno che termina e i propositi per quello nuovo che arriva, dicembre e la tradizione, dicembre e i canti natalizi che scaldano le gole con parole antiche di chi aspetta in chiesa la nascita del Bambinello, dicembre e il “Tu scendi dalle stelle” che accoglie il Salvatore fatto carne.
“Tu scendi dalle stelle” a Cossato, Biella. Non si sa da dove arrivasse il clochard quarantenne; certo non dalle stelle e neanche da una casa o da un rifugio confortevole se, per ripararsi dal sotto zero di questo periodo, aveva affittato, pagando regolare cauzione e mensilità anticipata alla proprietaria, un garage condominiale per trascorrervi le notti e tentare di non morire di freddo. Si sa solo che aveva utilizzato l’arma della bugia per coprire una dignità andata a male, per mascherare uno stato di bisogno estremo, difficile da raccontare e mettere a nudo, per strappare un consenso altrimenti negato, chiedendo il locale con finalità di deposito per attrezzi. Certo non pensava di dare così fastidio agli inquilini degli appartamenti soprastanti che, prontamente, dal calduccio delle loro case, hanno chiamato i carabinieri che lo hanno cacciato con i suoi stracci trascinati da braccia magre e abbassate. Il suo posto non poteva essere lì.
“Tu scendi dalle stelle, o Re del cielo” a Carmagnola, Torino. Un sacerdote che, con il Re del cielo, dovrebbe essere più in confidenza almeno per contratto, per anni di indottrinamento in seminario, per voti presi coricato sul freddo pavimento di navata a simbolo di devozione e obbedienza assoluta a un Dio superiore. Un sacerdote che, insediato da poco in una nuova sede parrocchiale, ha pensato bene di obbedire non alla propria coscienza di prete, ma alla protesta dei suoi devoti fedeli che mal tolleravano due senzatetto che da anni, con la protezione del sacerdote precedente, conscio dell’emergenza, avevano fatto dei locali dell’ex sagrestia il loro rifugio. Ha obbedito non a un Dio che pretende l’osservazione di comandamenti ma al fastidio dei frequentatori della chiesa, quelli così praticanti e osservanti del Vangelo con tutti i suoi annessi e connessi, quelli pronti con la busta delle offerte in mano per il prete che passa a benedire le loro case dopo la Pasqua di Resurrezione, quelli che pensano di levare i propri peccati con i gesti collettivi del mea culpa pubblico durante la messa, quelli della coscienza scesa a patti con il nulla, chiamando le forze dell’ordine per il definitivo allontanamento dalla vista dei due elementi di disturbo; storia di carità cristiana studiata a memoria ma non applicata in esempi concreti. Il loro posto non poteva essere lì.
“Tu scendi dalle stelle, o Re del cielo, e vieni in una grotta al freddo e al gelo” a Como. La grotta al freddo e al gelo erano i portici della città vecchia, il centro storico, quello circondato dalle antiche mura che contengono il “salotto buono” della città, quello da esibire ai turisti in visita e ai clienti indaffarati lungo le vie dello shopping. I portici erano casa e riparo di mendicanti e, si sa, i mendicanti tendono mani, ti sbattono in faccia la loro faccia e ti costringono a leggere le diverse situazioni, ti ricordano che, a volte, ci vuole poco per transitare da tante possibilità a zero possibilità; i mendicanti figli di una certa realtà offendono la vista di occhi in cerca di edonismo e spensieratezza quindicinale: almeno sotto le feste, che diamine! I portici e il loro povero contenuto, ad un certo punto, al sindaco e alla sua corte, devono essere apparsi come un campanello d’allarme, come un biglietto da visita stridente in mezzo a tante manifestazioni tipiche del periodo e che suonavano così bene con quel nome: “Città dei balocchi”. Devono essere apparsi come un fastidio; un fastidio “a tempo”, dal 15 dicembre al 10 gennaio, e così si è provveduto a stilare, e far rispettare, un’ordinanza per “la tutela della visibilità e del decoro del centro urbano” perché si sa, la povertà offende chi non la vive: divieto di accattonaggio, multe per chi non rispetta quanto richiesto, proibito qualunque aiuto di tipo alimentare anche da parte delle associazioni di volontariato che, da anni, si impegnavano a garantire qualche pasto caldo, o altro, e forze dell’ordine chiamate a gran voce, e loro malgrado, per far rispettare il tutto e per allontanare chi del disagio ne indossa i connotati e la rappresentazione ogni giorno. Il loro posto, per volontà dell’istituzione, non poteva più essere lì.
Questi alcuni esempi di Natale alla rovescia, di coscienze offuscate, di ipocrisia di cristiani per i quali i sacramenti rappresentano solo l’occasione di un vestito nuovo, di reietti da nascondere quando il vero problema alla base è la povertà mai forse seriamente affrontato perché si pensa sia sempre e solo un affare che capita agli altri. Questi alcuni dei ritratti e delle modalità del moderno Erode che, con le sue azioni, non può far altro che aggiungere solo odio e umiliazione in animi già troppo feriti dalla vita.
Questo l’altro Natale, quello depauperato dei vecchi significati, quello di messe di mezzanotte in attesa che il Bambinello venga deposto nella mangiatoia del presepe, quello della rappresentazione teatrale di commozione a beneficio del compagno vicino di banco con inginocchiatoio mentre, a casa, il riscaldamento è termostaticamente regolato per creare perfezione ambientale. Lacrime su statuette, occhi asciutti e ciechi su freddo e gelo che mordono carni di corpi reali che non potevano più stare lì.
Se il report dell’Istat su “Condizioni di vita, reddito e carico fiscale delle famiglie”, con i suoi dati, è una fotografia delle sfide che il prossimo Governo non potrà non affrontare, la cronaca della settimana, con le sue storie di un Natale al contrario, è la fotografia di una intolleranza e di una disumanità che non dovrebbero appartenere a nessun uomo e donna di buona volontà e non importa se non si è cattolici, se si è atei: la coscienza è ancora un valore trasversale.
Una piccola riflessione per questi giorni di festa, di gioia, un piccolo pensiero punzecchiante: e se, stando allo stato di cose, i prossimi ad essere cacciati fossimo noi?
P.S. non toccate ferro, che vi vedo. Buon Natale!
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