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Avanti Mars!
In 29 Gennaio 2018 da Fabio MuzzioGene Roddenberry, anni fa, scrisse “Space, the Final Frontier…“. E l’uomo non era ancora andato sulla Luna.
La nuova frontiera è il leitmotiv che permea la serie tv in versione docufiction Mars, nata dal romanzo How we’ll live on Mars di Stephen Petranek. La produzione è targata National Geographic ed è prodotta, tra gli altri, da Ron Howard: in 6 episodi della prima stagione nel 2016 (la seconda sarà in onda nel 2018) si racconta un sogno, il bisogno di andare finalmente oltre.
Il 2019 è l’anniversario de «Questo è un piccolo passo per un uomo, ma un grande balzo per l’umanità» di Neil Armstrong e di un sostanziale successivo immobilismo, che ha visto tagli all’esplorazione e la scelta di puntare sulle Shuttle e la stazione orbitante, con i proclami più o meno di tutte le attuali grandi potenze. Queste tematiche sono toccate e ben spiegate nell’originale alternanza di questa produzione: ai contributi reali e attuali degli scienziati del 2016 si intrecciano le vicende dell’equipaggio, che vive l’azione 17 anni dopo.
Mars si inserisce in una serie di contributi che da diversi anni ci stanno preparando, talvolta in maniera anche tragica se non apocalittica, a un progetto forse rimandato per troppo tempo. L’impressione è che la cinematografia e la produzione televisiva oltre a quella libraria stiano ingenerando una convinzione nell’opinione pubblica affinché questa richiesta – come dire – arrivi come sollecitazione dal basso.
Dal mio punto di vista Mars ha un grande pregio: la normalità. Normalità dell’equipaggio, ovviamente ben preparato ma formato da uomini e donne provvisti sì di coraggio e con un sogno ma che non hanno bisogno di strafare: soffrono, hanno paura, non demordono, si confrontano e si scontrano, talvolta finiscono con perdere un delicato equilibrio psicologico, come dire sono già eroici così. La ricostruzione, che racconta l’arrivo sul Pianeta rosso nel 2033 e i quattro anni di presenza (non vogliamo svelare troppo), che alla prima missione ne fa seguire altre per proseguire la colonizzazione, ci riportano non solo al realismo ma anche al rischio che pure un evento di tale portata possa, con il passare dei mesi, finire quasi nel dimenticatoio della normalità.
Se devo estrarre un’analisi emotiva interessante posso segnalarvi l’evoluzione delle due gemelle: Hana e Joon Seung, la prima in missione con l’astronave Daedalus e poi operativa sulla base spaziale e la seconda che rimane a terra con un ruolo sempre più importante. Ci si leggono un po’ gli stati d’animo dell’intreccio tra chi ha voluto nella vita una meta da raggiungere e la distanza che nasce da questa meta, che si misura in molti mesi e con il rischio di non vedersi più o di rimanere per sempre su un altro pianeta.
La ricostruzione di ciò che sarà la vita “sommersa” su Marte, claustrofobica e piena di incognite, l’importanza del nostro elemento vitale, l’acqua, i rischi della superficie, inospitale e praticamente sconosciuta, la spasmodica ricerca della vita, che non è quella degli omini verdi dei primi del Novecento ma è sufficiente trovarla anche attraverso un microscopio per sapere di non essere soli e aggiungere così un tassello alla conoscenza e all’evoluzione.
Seppur si tratti dell’ennesimo contributo a una narrazione che tenta di spingere a uscire da una situazione stagnante dal punto di vista della conquista spaziale (proclami a stelle e strisce, cinesi, russi o emiratini a parte) ci sta dicendo che occorre il contributo privato, quindi qualsiasi progetto sarà a scopo di lucro e che la partecipazione deve essere davvero globale, tanto che l’equipaggio iniziale allo statunitense capo e vice capo aggiunge uno spagnolo, una francese, un nigeriano e una russa.
Ci pone di fronte anche a una riflessione sui nostri tempi: una società, dove la ricchezza è sempre più concentrata, nella quale l’individualismo si coniuga con la chiusura, se va bene, in piccole nicchie malgrado sia l’era della piena connessione e della globalizzazione ma nella quale, complici il terrore del terrorismo e le guerre sempre più diffuse, dovremmo trovare un interesse in comune per fare sì un grande balzo e “arrivare dove nessun uomo è mai giunto prima”.
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