ACCIDIA . Monológos
Prendimi come sono, chiunque io sia
In 22 Novembre 2021 da Debora BorgognoniChi sono io? Io… è difficile descrivermi. Cioè, siamo tutti difficili da descrivere ma io sono davvero difficile, perché ho questa piccola cosa. È una piccola cosa, niente di più, non è una grande cosa, be’, un po’ sì, dipende da come la vuoi considerare. Non è piccolissima, ma non è grandissima. È una cosa, tutto qui, ma… ma come ve lo posso spiegare?
Oh, volete sapere chi sono? Ecco chi sono. Ero al supermercato anni fa e cercavo delle pesche. Avevo voglia di pesche. Avete idea quando certe volte vi svegliate con una voglia pazzesca di pesche? Be’, più o meno così. E.. ero luminosa, letteralmente luminosa, visto che avevo scelto per il mio look da supermercato la mattina presto un top di paillettes che amo da morire, e che non trovo mai l’occasione per indossare. Rifletteva il mio umore, ero davvero di buon umore. E in parte questo è il problema.
E poi, quando pensavo che il mio umore non potesse andare meglio, mi sono messa a spiare il bancone delle verdure. La mia apparente ricerca di pesche era in realtà ricerca di avventura. Forse addirittura di amore, ma in quel momento non lo sapevo. Se riesci a trovare l’amore in un supermercato di mattina presto sai che ti puoi fidare; nessuno è qui per rimorchiare, nessuno cerca una donna facile o l’avventura di una notte, gli uomini non ostentano coraggio alcolico o sono fatti di cocaina: gli uomini sono autentici qui. E poi se ti va male non devi dileguarti nella notte a mani vuote come una povera sfigata. È un negozio, si fanno ancora buoni affari.
[…] Ed è qui che inizia il problema. Non so che cos’è che lo scateni. Picco glicemico, farmaci, fattore psicologico, chi lo sa. Però arriva, come il mostro di un vecchio film in bianco e nero ti insegue, e non importa quanto corri veloce, lui ti raggiunge sempre. E c’è solo un posto dove non può trovarti.
La prima stagione della serie tv Modern Love vede all’episodio 3 la spettacolare (letteralmente spettacolare) interpretazione di Anne Hathaway, in una versione un po’ musical un po’ dramma. Questo episodio dal riecheggio broadwayano – forse in omaggio alla vera protagonista di tutta la serie tv: la città per eccellenza, New York City – usa il significato metalinguistico dei generi cinematografici (a Hollywood, il genere musical rappresentava la rinascita dopo la grande crisi del ’29, le paillettes erano la luce lungo la strada, la danza, le piume, i canti erano un inno alla vita) come mirabili contenitori di un tema delicatissimo: il bipolarismo.
E così il frutto, la pesca, diventa la metafora di un succo dolce e di una vita da mordere quando si è in “up” e di qualcosa che deperisce miseramente quando si è in “down”. E d’altro canto, i rimandi di una bella mise en abyme, che rende felici i cinefili, ci porta agli anni Quaranta e ci mostra Gilda che canta Put the blame on mame. L’accostamento sta nella celebre frase di Rita Hayworth: «Ogni uomo che ho conosciuto è andato a letto con Gilda e si è svegliato con me». È questa, la piccola cosa strana del monologo iniziale: la paura di mostrare la propria natura a qualcuno, di essere anche quella metà di donna che combatte contro un mostro, la “cosa”, di ammettere che cedere all’amore significherebbe rivelare anche le ombre di una patologia che esclude l’altro a prescindere.
Ce lo siamo chiesti molte volte: chi sono io? E tutti abbiamo quella cosa, la nostra cosa. Siamo dramma e musical, sole e ombra. E da combattere, in tutto questo, c’è solo la vergogna di noi.
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