Amatorius Secretum . LUSSURIA
Il viaggio: Amparo
In 2 Gennaio 2021 da Chiara MenardoLeggi la parte I
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Fu a quel punto che vidi Amparo. […]
La vidi buttarsi di colpo in mezzo alla danza, arrestarsi con il viso anormalmente teso verso l’alto, il collo quasi rigido, poi abbandonarsi smemorata a una sarabanda lasciva, con le mani che accennavano all’offerta del proprio corpo. […]
Non osai intervenire. Forse accelerai i battiti della mia verga di metallo per unirmi carnalmente alla mia donna, o allo spirito ctonio che essa incarnava. […] La gira volgeva al termine, abbandonai il palco e corsi da lei, che aveva già accanto Aglié, il quale le massaggiava lievemente le tempie. «Che vergogna», diceva Amparo, «io non ci credo, io non volevo, ma come ho potuto?».
«Succede, succede», le diceva Aglié con dolcezza.
«Ma allora non c’è redenzione», piangeva Amparo, «sono ancora una schiava. Vai via tu», mi disse con rabbia, «sono una sporca povera negra, datemi un padrone, me lo merito». (pp. 170 -171)
Amparo è “bella, marxista, brasiliana, entusiasta, disincantata”. È la donna che entra nella vita di Casaubon prima di Lia, prima di Pim, quando il Pendolo di Foucault è solo una palla sospesa al soffitto del Conservatoire des Arts et Métiers di Parigi, non il centro di un universo ridisegnato di fresco su coordinate impazzite.
Amparo ritrova il Brasile degli anni ’70 del secolo scorso dopo anni di studio e militanza a Milano: un paese povero, sfruttato, straccione ed ingenuo, con masse di diseredati che continuano ad affondare i piedi nel terreno umido e caldo dei culti sincretici degli avi. Radici, pance vuote e disperazione rassegnata.
Lei: cervello, idea e ideologia, Feuerbach, Marx, consapevolezza. Le religioni, qualsiasi religione sono oppio, nella più pura tradizione Marxista, uno strumento in mano a oppressori in doppiopetto. Nel giustiziare la trascendenza, Amparo non risparmia il credo del suo popolo. Il sincretismo sudamericano ha origini lontane, portato dall’Africa con le navi negriere, e mescola spiriti dei trapassati e Dei tribali degli Indios, li traveste da santi cristiani per ingannare i padroni e con il tempo, impasta tutto in un frullato mistico in cui la memoria cattolica, africana e india non si distinguono più l’una dall’altra.
Eccola, Amparo; o, almeno, una parte di lei, quella che guarda le baracche e le strade di Salvador de Bahia con il sopracciglio alzato in polemica con statuine votive, incensi e offerte agli Orixas. La donna che, nuda e in controluce, in quattro soli passi tra il letto disfatto e il frigorifero, reggendo una papaya succosa, smonta ironica i complotti rosacruciani e le prime avvisaglie del Piano che distruggerà Casaubon.
Il materialismo storico nel cervello, le radici nell’utero.
Il viaggio di Amparo non è il tragitto Brasile – Italia – Brasile. Il viaggio, quello vero, si svolge all’interno del corpo, nel tempo, negli anfratti della memoria, nei riti tribali rivestiti di cristianità ingannevole; nel pulsare degli strumenti, ipnotici, trascendenti; nel sangue di un pollo sgozzato e in una veste bianca, inizia e finisce in una tenda di Umbanda.
Fuori controllo, la mente si spegne quel tanto che basta per cedere il passo agli spiriti. Una spinta improvvisa di lato, non c’è più la ragione. Ci sono i sensi, le braccia, le gambe, la vagina, la pancia, c’è il battito del metallo e del legno, le voci che cantilenano ancora e ancora, il fumo denso d’incenso, i profumi dolciastri dei frutti appoggiati sui vassoi destinati a Dei travestiti da santi.
San Cipriano, San Giorgio, la Beata Vergine Maria… spiriti che dormono sotto mentite spoglie, sotterranei, pronti a svegliarsi al tintinnare di un cembalo, per impossessarsi del corpo di una ricercatrice marxista e beffarla, smontarne ogni certezza, per farle sapere che l’oppio dei popoli vince, la vince, l’ha vinta.
Il suono di un agogô spalanca la porta al passato che Amparo non ha mai vissuto né conosciuto. I racconti di nonna non sono memorie in prima persona, sono parole pronunciate tanto tempo fa, perdute come le corone di fiori lasciate andare alle onde per propiziare Yémanja, Nostra Signora dell’Immacolata Concezione. Nella tenda dell’Umbanda, Amparo ritorna a una terra che non ha mai visitato, ad antenati che non ha mai conosciuto, a Dei cui non ha mai creduto. “Lo sento nell’utero”, aveva detto qualche pagina prima a Casaubon. Nonostante ogni tentativo di isterectomia della coscienza profonda, del passato e di quell’irrazionale che affonda le dita tra i muscoli e i pensieri, Amparo non ha gli strumenti. Marx, Feuerbach e il materialismo non servono a nulla, contro gli spiriti degli Avi.
E, quando il viaggio nell’irrazionale finisce, un pezzo di Amparo si spegne. Una parte di lei muore nella tenda dell’Umbanda. “Sono una schiava, non c’è redenzione, vattene, tu, sono solo una povera negra”.
Sconfitta, battuta, Amparo sparisce dalla vita di Casaubon, dal libro, da noi. Va via e non c’è alcun modo di sapere dove sia, se stia bene, se si sia riconciliata con sé stessa e con gli spiriti sotterranei che l’hanno afferrata una sera qualunque, in Brasile, a pagina 170 e seguenti de Il Pendolo di Foucault.
Continua…
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