
Amatorius Secretum . LUSSURIA
La Terra: Lia
In 2 Gennaio 2021 da Chiara MenardoLeggi la parte I
Il modo più comodo per ritornare da dove si è passati senza rifare due volte la stessa strada è camminare in circolo. E siccome l’unica bestia che si acciambella a cerchio è il serpente, ecco perché tanti culti e miti del serpente, perché è difficile rappresentare il ritorno del sole arrotolando un ippopotamo. (pagg. 287 – 290)
La frangia che le copre gli occhi, seduta a gambe larghe sul bordo di un tavolo, con la gonna ampia e gli zoccoli. Lia è sangue e carne, la zolla scura e piena di vita in una vigna assolata: è lei, il calore della terra che si tocca, si annusa, si sente.
È l’ancora attaccata alla roccia della realtà, l’unica veramente feconda, l’autentico Atanor in grado di generare un essere umano, non un suo simulacro coltivato al caldo del letame di cavallo. Lia, la compagna di Casaubon – Eco non ne rivela mai il nome: è Casaubon, e basta -, donna pratica e impermeabile alla fascinazione della riscrittura della storia in cui cade il suo compagno è, per certi versi, l’unico personaggio sano di tutto il romanzo.
È lei che demolisce archetipi, simboli e combinazioni astrali in apparenza plausibili, che scompagina il puzzle ricostruito a rovescio, che si rende conto di quanto sia pericolosa l’astrazione fine a sé stessa.
Cambiando l’ordine degli addendi, nel mondo shakerato del Pendolo di Foucault, il risultato muta eccome. E, se Guglielmo da Occam ispira in qualche modo il suo omonimo – Guglielmo da Baskerville – ne Il nome della rosa, nel Pendolo è Lia a raccoglierne l’eredità, a portare avanti il testimone della razionalità, dell’esperienza semplice, solida, lineare e concreta.
Alzare per troppo tempo gli occhi verso il cielo, acceca. Fissare troppo a lungo il fondo di un pozzo, sbilancia: caderci dentro diventa solo questione di tempo. Rimescolare troppo le carte fa perdere il senso del vero a favore del verosimile. A forza di disfare le trame e ricostruire, utilizzando gli stessi fili, tele dai disegni completamente diversi, ci si ritrova avviluppati in una matassa di nodi impossibili da districare.
Lia lo sa, unico essere vivente in un mondo di golem privati della volontà da un cartiglio che essi stessi hanno scritto e si sono infilati in bocca.
Il suo scopo è tenere Casaubon ancorato alla terra, al buon senso, alla profondità razionale della realtà: perché la terra è bella, affascinante, piena di vita e di sfaccettature.
La terra è profonda e vitale, la terra sa sorridere e ridere, regalare felicità, la terra è l’unica cosa che sappia davvero creare e riscrivere se stessa: questo è l’appello disperato di Lia quando spiega a Casaubon, che lei chiama Pim: “Tre è più magico di tutti perché il nostro corpo non lo conosce, non abbiamo nulla che sia tre cose, e dovrebbe essere un numero misteriosissimo che attribuiamo a Dio, in qualunque posto viviamo. Ma se ci pensi, io ho una sola cosina e tu hai un solo cosino […] e se mettiamo questi due cosini insieme viene fuori un nuovo cosino e diventiamo tre.”
Lia perde. Inascoltata, la sua voce risuona come una eco lontana che si disperde nel vento. Lia ha ragione e non ha importanza: Pim si tuffa ancora più in profondità in uno stagno torbido di ipotesi e speculazioni fino a restare intrappolato sul fondo.
Nel Pendolo di Foucault, libro senza alcun vincitore, i primi perdenti sono la saggezza, la concretezza e, in fondo, l’amore.
Continua…
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