
Appunti di viaggio . IRA
L’Eden, la Namibia, il Vuoto e l’Introspezione
In 6 Maggio 2022 da Matteo Rosiello - Matt RossApro il notebook, lo accendo e apro il browser internet. Utilizzo Google come motore di ricerca: non il massimo per la privacy, ma è quello che soddisfa le mie ricerche in maniera più completa. Digito una “E”, poi una “D”, in seguito una “E” ed infine una “N”. EDEN. Premo il tasto “Invio”.
Dopo le notizie di una serie tv, tour operator, hotel, discoteche e pubblicità varie, trovo la voce che stavo cercando: il mitico giardino primordiale, menzionato nel primo libro del vecchio testamento. Un luogo puro, incontaminato, in cui non c’è peccato né inquinamento, di qualunque sorta.
Clicco allora sulla scheda “Immagini”. A volte la visualizzazione di una parola attraverso l’iconografia aiuta a concretizzare il significato del sostantivo.
Le immagini sono inequivocabili: la natura la fa da padrona in paesaggi dipinti o fotografati da chissà chi. E schiere di animali solcano pianure rigogliose in cui l’antropizzazione è nulla.

Matteo Rosiello – Matt Ross Photo, L’iconica duna Big Daddy
Guardo il mappamondo e girandolo mi ricordo di un vecchio articolo letto su qualche rivista di divulgazione scientifica secondo cui la nazione con minore densità demografica è la Mongolia, seguita subito dopo dalla Namibia. Ho un debole per l’Africa, continente da cui provengono i nostri antenati, in cui si possono vedere tutti e 5 i “Big Five” e in cui vivono gli ultimi gorilla di montagna. Così, mosso dal desiderio di un’estate all’insegna della natura, decido di prenotare un viaggio in Namibia.

Matteo Rosiello – Matt Ross Photo, Il rinoceronte
Le attese vengono ripagate appieno. Trovo distese di… nulla! Ed è proprio quello che cercavo!
Mi spiego meglio… rispetto alle classiche vacanze in cui si visita una città e i suoi musei, o una montagna con sentieri e rifugi affollati di persone o ancora una spiaggia paradisiaca con drink, happy hour e giochi-aperitivo, rimango ammaliato dagli spazi immensi e dal vuoto.
Mi pervade una strana sensazione, introspettiva: la natura stessa mi costringe ad osservarla, guardando non solo fuori ma dentro di me, in un vortice che si compenetra, di continuo, come uno Yin e Yang immateriale.

Matteo Rosiello – Matt Ross Photo, Il deserto
La fatica per arrivare in cima alla Duna Elim, accumulata sotto il sole con circa 40 gradi centigradi di temperatura esterna, viene ripagata dalla vista del deserto del Namib, che da millenni lotta contro le montagne del Naukluft e l’Oceano Atlantico per non retrocedere di un granello e mantenere la propria posizione. Stanchezza e stupore creano un cocktail emozionale che decido di bere tutto d’un sorso, pagando però pegno: davanti a paesaggi così divini vengo colto da un’estasi che mi porta a sedermi e ad ammirare questo splendore. Il tramonto giunge inesorabile e sono costretto a tornare giù al campo tendato, dove mi attende un’altra vista “da urlo”.
Si fa buio e alzando gli occhi al cielo mi accorgo di una luce particolare. Sono nel nulla, non ci sono luci artificiali ed è tempo di Luna nuova. L’alone biancastro che illumina la piana è dato dalle stelle e dalla Via Lattea che splendono eteree sulla mia testa, in una volta tersa, molto simile a quella che doveva essere in origine, quando l’uomo ancora non aveva fatto la sua comparsa sulla Pachamama, la Madre Terra.

Matteo Rosiello – Matt Ross Photo, Il tramonto dalla duna Elim
Potrei sembrare ripetitivo descrivendo la salita sulle dune “Big Mama” e “Big Daddy”, le più alte al mondo. Per comprendere la fatica effettuata basti pensare che circa due terzi dei passi che si fanno vengono inghiottiti dalla sabbia. I piedi affondano di continuo in uno sforzo titanico che cerco di fare per vincere la cima di una montagna morbida, che non rappresenta una semplice conquista “alpinistica”, ma una vittoria sulla natura. Anzi… un assecondare l’asprezza della natura.
Sono nella Deadvlei, una pianura dove in antichità scorreva un fiume, che nel tempo è stato completamente sbarrato dall’avvento del deserto. Il risultato è un purgatorio dove gli alberi che lì vivevano si sono seccati, ma nei secoli a seguire non sono stati degradati poiché il caldo desertico d’inferno non permette la sopravvivenza dei microrganismi dediti a questo: così questi vegetali, o ex tali, sono destinati a rimanere per sempre lì, fossili di un passato paradisiaco.

Matteo Rosiello – Matt Ross Photo, Deadvlei
Andando in direzione nord, al confine con l’Angola, la vegetazione fa la sua comparsa tra cespugli sparuti e alberi secchi o dalle foglie spinose. Dove c’è vegetazione c’è acqua. Dove ci sono questi due elementi, ci sono anche animali. In Namibia, per avvistare i grandi mammiferi non si deve far altro che entrare nel parco naturale Etosha. Nella lingua locale significa “grande luogo bianco”: basta osservare il terreno sabbioso per capire il perché.

Matteo Rosiello – Matt Ross Photo, Uno sciacallo si disseta in una pozza
Istituito dai tedeschi ad inizio 1900, era la riserva naturale più grande del mondo. Ad oggi è più “piccola”, anche se questo aggettivo non le rende merito: le sue distese si estendono a perdita d’occhio. Campeggiare nel nulla, con i rumori di animali che passeggiano fuori le tende, ha quel non-so-che di primordiale e riavvicina l’uomo “civilizzato” agli albori dei tempi. La vista di questi esseri durante i game drive poi si conferma una grande esperienza. Le regole sono ferree e non ci si può avvicinare alla fauna: non si può scendere dai 4×4 e si deve rimanere sui sentieri delineati. L’uomo lì è un ospite e in quanto tale non deve assolutamente disturbare la vita quotidiana dei padroni di casa. Tuttalpiù si può limitare ad osservarla, ammirandone lo splendore e, purtroppo, la rarità.

Matteo Rosiello – Matt Ross Photo, Tramonto sul fiume Kunene
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