INVIDIA . Lector In Invidia
Bilancio. Mai in equilibrio.
In 18 Maggio 2017 da Attilia Patri DPDi recente pubblicazione, Le equilibriste: la maternità tra ostacoli e visioni di futuro è il titolo del secondo Rapporto di Save the Children sulla condizione materna in Italia.
Equilibriste, ovvero sempre in bilico su risposte tra un vorrei e reali possibilità, tra un vorrei e lo strascico che ne deriva sotto forma di un carico di rinuncia o di ridimensionamento mortificante dell’attività lavorativa svolta fino a quel momento, tra un vorrei e un welfare che non riesce a sostenere in modo valido chi decide di mettere al mondo un figlio.
A influenzare le risposte un peso determinante lo gioca, oltre che il livello economico di base, anche la regione geografica di appartenenza che può pregiudicare fortemente la condizione sociale, professionale ed economica stessa della donna che si accinga a compiere il passo verso la maternità. Di riflesso gli stessi condizionamenti invadono la totalità della famiglia influenzandone enormemente stili di vita e possibilità di natura economica e sociale futuri. Dal Mothers’ Index emerge, infatti, come ci siano degli squilibri evidenti tra le regioni del Nord, più virtuose, rispetto a quelle del Sud dove la condizione delle madri fatica a migliorare e colloca come regione ideale, la regione mother friendly per eccellenza, il Trentino-Alto Adige al primo posto seguita da Valle D’Aosta, Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte, Veneto. La performance peggiore a livello nazionale la registra la Sicilia, al ventesimo posto, preceduta da Calabria, Puglia, Campania, Basilicata.
La classifica della virtuosità si basa su criteri quali: l’area di servizi per l’infanzia; la distribuzione della cura e del lavoro familiare tra donne e uomini; il sostegno alle famiglie che il più delle volte si traduce in un bonus e misure una tantum piuttosto che in un rafforzamento della rete strutturale dei servizi; la criticità dell’occupazione femminile vero punto nodale dell’affaire maternità se si considerano le disparità salariali, i part-time (che se da un lato garantiscono di prendersi cura dei figli, dall’altra limitano la crescita professionale relegando spesso le donne a ruoli più marginali o più bassi rispetto agli uomini), i contratti precari come le condizioni alle quali le donne devono adattarsi per non perdere il proprio posto nel mercato del lavoro e che rappresentano la conseguenza più diretta di un abbassamento del livello di qualità della vita che spesso pregiudica scelte familiari e riproduttive future.
Se da un lato il divario tra Nord e Sud è ancora drammatico e inaccettabile, dall’altro, nelle regioni del Nord, siamo comunque ancora lontani da un modello virtuoso che renda la maternità una risorsa piuttosto che un impedimento.
Calma ed equilibrio sono elementi essenziali in tutte le cose; spezzare il ritmo ogni tanto è importante. Se ne guadagna in vitalità, ci si rinfranca la mente. Non si riesce a creare nessun valore se si lavora in modo da ridursi come stracci.
Daisaku Ikeda, La nuova rivoluzione umana.
Equilibriste ed equilibristi, anche quando un figlio c’è, un po’ funamboli interpretando quei ruoli genitoriali così profondamente cambiati a partire dagli anni ’90, una vera mutazione nel coinvolgimento e attenzione verso la prole, più cose da fare insieme e tempo da dedicare come aspetto primario cui ne segue un altro, non secondario, nel dare il buon esempio e nel rispondere alle loro domande. Equilibriste ed equilibristi i genitori da una certa data in poi: gli anni ’90, il numero della paura nella lotteria. Anni dove sembra che tutto sia cambiato nella società, nelle esigenze che essa impone e un certo senso di inadeguatezza abbia cominciato ad accompagnare madri e padri richiamati e intrappolati a svolgere il ruolo dei “genitori perfetti”.
Genitori perfetti uguale figli perfetti e saremmo tutti felici se non si considerasse che, purtroppo o per fortuna, il genitore perfetto è come l’erba voglio nel giardino del re: non esiste. Non esiste. Il genitore perfetto è solo una rincorsa contro noi stessi, un accanimento, una sindrome, la Sindrome di burnout.
Sindrome di burnout, proprio quella che tradotta letteralmente rappresenta il termine bruciato, scoppiato, andato in cortocircuito e permette di descrivere senza ulteriori aggiunte uno status: genitore perfetto uguale genitore in cortocircuito, salvo le più uniche che rare eccezioni. Sindrome di burnout proprio quella che caratterizza i disturbi al lavoro e che si riferisce a una condizione di stress, esaurimento, inadeguatezza, apatia, senso di frustrazione, inefficacia, incompetenza. Sindrome di burnout non più relegata alla voce professione ma estesa alla voce famiglia.
In Belgio, secondo un’indagine su un campione di duemila genitori condotta presso l’Università Cattolica di Lovanio e pubblicata sulla rivista Frontiers in Psichology, a soffrirne sarebbe il 13% degli esaminati divisi in 12,9% madri e 11,6% padri. In Belgio! Figuriamoci ad immaginare la medesima ricerca in Italia, “Paese chioccia” per antonomasia, su genitori quasi sempre molto attenti e iper presenti a gestire impegni e richieste dei figli il tutto proporzionato all’età dei pargoli e che raggiunge il culmine nella fase dell’adolescenza quando, se da un lato, la persona-figlio insegue le proprie attitudini e prende le prime decisioni autonomamente, dall’altro le preoccupazioni dei genitori aumentano specialmente se si ha l’impressione che i ragazzi tendano a farsi influenzare negativamente dai compagni o dalle mode del momento. Non va meglio neanche per gli altri che, con il tempo, dovranno fare i conti con il futuro lavorativo dei figli ormai cresciuti.
Sindrome di burnout, circolo vizioso in base al quale il malessere del genitore potrebbe fatalmente e inevitabilmente ricadere sui figli portando svuotamento e demotivazione. Circolo vizioso che andrebbe interrotto con una sacra cesoia che spezzi e ritagli momenti di isolamento dalla routine della vita con figli, che rubi un fine settimana di solitudine per recuperare l’intimità persa dietro a pannolini e problematiche di varia natura e, se proprio un weekend non si riesce, almeno una cena fuori, da soli, ogni tanto, dove parlare di tutto tranne che di figli, che allontani i sensi di colpa quando non si riesce a stare dietro anche alla millesima cosa. Sacra cesoia che regali un po’ di indulgenza verso noi stessi perché dopotutto non siamo perfetti e non siamo mostri perché abbiamo bisogno di fare qualcosa di diverso che stare in casa con i figli più o meno cresciuti; che ci permetta di accettare i nostri limiti e, soprattutto, imparare a darne ai figli stessi perché la nostra bravura non è direttamente proporzionale alla soddisfazione immediata dei loro desideri.
Smettiamola una volta per tutte di guardare la collega, la vicina di casa, la cugina di quarto grado che sembra riescano a stare dietro a tutto e a tutti con quel fare sorridente, dinamico, scattante e con il capello che non si muove mai neppure di una virgola e ricordiamoci che lo smalto non è sempre solo sulle unghie, lo smalto, a volte, è solo di facciata. E se la società che ci gravita attorno non accetta queste nostre imperfezioni, questi innocenti desideri di ritagli di personalità autonoma, se il giudizio altrui dovesse pesare più della fatica e della frustrazione, se patissimo l’inevitabile confronto si può sempre ricorrere alla finzione: una riunione di lavoro improvvisa è ancora giustificata da altre mamme, da suocere e vicine impiccione; poco importa se, nel frattempo, saremo a farci due chiacchiere con le amiche o un giro per vetrine e ci scappa magari un incauto acquisto. Se i sensi di colpa diventano soffocanti si dovrebbe cercare di parlarne con altri genitori, magari in Rete dove ci sono pagine serie dedicate e garantite dall’anonimato, e ci si accorgerà di essere in buona compagnia e, nell’unione mezzo gaudio, le insicurezze e le frustrazioni si ridimensionano.
Non succederà nulla se dopo una giornata lavorativa fuori, se dopo essere state o stati, autista privato, chef a domicilio, lavanderia e stireria, colf, personal shopper, life coach 24 ore su 24, insegnante privato, il tutto solo e ad esclusivo servizio dei figli – e che il portale ProntoPro.it quantifica con la bellezza di 3045 euro netti al mese se fosse svolto da personale esterno – cercheremo di recuperare un nostro equilibrio, di allontanare la sensazione opprimente del mea culpa per un “non ce la faccio”, di ritagliarci un momento di “egoistico io” per rinfrancare lo spirito prima che diventi straccio da pavimento che non serve più a nessuno.
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