INVIDIA . Lector In Invidia
Dylan. Bob Dylan (in arte)
In 3 Novembre 2016 da Attilia Patri DPBiglietto da visita: Robert Allen Zimmerman nato nel 1941 a Duluth, Minnesota. In arte Bob Dylan.
“In arte” è un termine che ti scegli nel momento in cui decidi che la tua vita non sarà esattamente uguale a quella di tanti altri tuoi simili e perché vuoi andare oltre alla banalità di giorni sempre uguali tendenti più alla sopravvivenza che alla vita piena e quando decidi di voler proiettare tutto te stesso verso il mondo esterno in un continuo confronto.
In arte è quando senti delle cose che vuoi esprimere e condividere con altri nella forma che più ti rappresenta e con la quale ti riesce meglio esternare sensazioni, sentimenti, idee, fratture con il passato e con il presente, predisposizione e proiezione al cambiamento.
In arte è un divenire: è come un “mi butto, chi mi ama mi segua, vediamo cosa succederà”.
Siamo tutti un po’ “in arte” attraverso il nostro lavoro, i nostri modi di relazionarci con gli altri, i nostri hobby, però alcuni sono più in arte di altri; più in arte perché decidono di dedicare l’intera esistenza a vivere “in arte” cambiando nome come segno di identificazione con un qualcuno altro da loro che meglio ne recepisce l’anima, l’intimo, l’io interno, i due in uno che, con il passare del tempo, tendono a confluire nell’identità nuova, inventata, ma che, progressivamente, scolora e cancella l’identità anagrafica che mal rappresentava, trattenendo, riducendo e stritolando, il modo di essere, il sentire, il pensare, il parlare.
Nello specifico: nato come Robert Allen Zimmerman, vissuto come Bob Dylan, ovvero “in arte”.
Talmente Arte che la giuria di Stoccolma gli ha assegnato un Premio Nobel: Nobel per la Letteratura, addì 13 ottobre 2016.
Era già successo nel 1997 con Dario Fo che un Premio alla Letteratura venisse assegnato ad un personaggio un po’ distante rispetto a quello che i comuni mortali si aspetterebbero come Personaggio di Letteratura, ma soprattutto la critica e i criticoni: tra questi due il segno limite non è mai abbastanza chiaro.
Quello che è chiaro, invece, è che la Giuria del Premio Nobel cambia la strada, coglie la novità onorando il “testo unito alla musica”, dove per musica si intende quella che ascoltiamo comunemente tutti i giorni, non certo la musica che sottende ad un’opera lirica classica; in poche parole la canzone. La Giuria premia mister Zimmerman in arte Dylan con la seguente motivazione: “aver creato una nuova poetica espressiva all’interno della grande tradizione canora americana”.
Le reazioni del Mondo ma soprattutto di quelli che se ne intendono, o credono di intendersene, sono state quanto mai varie ruotando a 360° in una girandola di commenti tra l’entusiasmo di alcuni alle mille sfaccettature dell’Ars Invidiae, spesso anche mal celata, di altri espressa, per brevità, nella domanda tipo “Cosa c’entra Dylan con la Letteratura?” di Baricco, al giudizio negativo di Welsh che esplode dicendo “Scriteriato Premio alla nostalgia per decrepiti hippie brontoloni”, praticamente un tentativo di ritratto affossante della passata generazione.
Naturalmente i giudizi sono tutti puntati sui contenuti letterari; non un accenno alla Medaglia d’Oro a 18 carati (per carità!) e neanche al bonifico di 8 milioni di corone (dollaro più, dollaro meno al cambio) perché l’invidia alta, quella che potremmo definire da intellettuale punta sul principio mica sulle bazzecole di onorificenze e quattrini, anche perché parlare di soldi è sempre una caduta di stile e non fa abbastanza signore.
Per Stoccolma i contenuti sono presto detti e non devono essere cercati solo nel singolo testo o negli LP o nell’espressione canora, che può o meno piacere, ma vanno cercati in quella capacità di essere diventato “voce” di una generazione e per aver allargato una nuova coscienza collettiva giovanile in tutto il mondo.
Vanno cercati nell’abbandono del conformismo anche se gli poteva bastare per “far cassa” e nell’esplorazione di nuove possibilità espressive tracciando una strada stilistica alternativa che poteva anche non essere capita e accettata e, comunque, sempre con quell’atteggiamento di “io proseguo dritto” a prescindere, il modo di fare un po’ scostante, un po’ così, il fare naturale di quando si cerca di essere solo se stessi e non interessa se non si piace a tutti. Potremmo dire uno che se ne frega, apparentemente un maleducato; uno che davanti ad un Obama che, nel consegnargli la più alta onorificenza civile degli Stati Uniti, la Medal of Freedom, si congratula con Dylan dicendo “non c’è un gigante più grande nella Storia della Musica americana”, lui si e no stringe la mano, non spiccica una parola di ringraziamento e se ne va con la sua personalità, magari maleducata, ma sicuramente non in vendita.
Vanno cercati in quel verso di “Blowin in the wind” (1963) che dice Quante strade mai un uomo dovrà faticare prima che tu lo possa chiamare uomo e, da lì, parte il racconto di un’epoca. Vanno cercati in quei ritornelli come How does it feel di “Like a Rolling Stone” (1965) che con quattro parole trasmette ciò che pochi scrittori, poeti, registi o musicisti riescono fare. Vanno cercati in quelle metafore di “Tempest” (2012), snodate in quattordici brani, con aperti riferimenti alle indifferenze collettive del nostro tempo. Vanno cercati in una produzione incubata e partorita in quant’anni di carriera mai tradita per ideali e coerenza verso se stesso.
Vanno cercati nelle parole di Don DeLillo, lo scrittore che era in cima alla lista dei favoriti dei candidati al Nobel che del “collega” Dylan dice: “E’ un grande artista, è un poeta, ed è stato capace di raccontare e interpretare la sua epoca come pochi altri autori; è un raro caso di completa fusione fra l’uomo e l’artista”.
Che Dylan potesse vincere un Nobel era nell’aria già dal 1996, anno della prima segnalazione all’Accademia, con la motivazione allora che si configurava con “L’influenza che le sue canzoni e le sue liriche hanno avuto in tutto il mondo, elevando la Musica a forma poetica contemporanea”. Di lui Springsteen disse “Bob ha liberato le nostre menti nello stesso modo in cui Elvis ha liberato il nostro corpo. Ci ha dimostrato che il fatto che questa musica abbia una natura essenzialmente fisica, non significa che sia contro l’intelletto”.
Con queste premesse si può ben comprendere il boato esultante dei presenti che in sala ha accolto la proclamazione di Dylan che, a quanto pare, è stato l’ultimo a sapere di questa scelta dal momento che nessuno ha avvertito la leggenda prima dell’annuncio. Difficili gli ulteriori tentativi di contatto con il menestrello del rock che, nonostante sia uno dei più grandi comunicatori della storia, sembra essersi del tutto estraniato dal dibattito così “terreno” sul concetto di sbagliato/giusto, lascia che il mondo della Letteratura si divida a metà tra chi ne esalta la sua arte e chi la considera un’invasione di campo fuori luogo. Insomma, prende le distanze e le ostenta anche, come prevedibile, come da carattere.
In questa punta di prevedibilità, “Dylan non risponde a Stoccolma”, potremmo leggerci una punta di delusione, di fastidio a quel vociare, perché Dylan tutto è stato tranne che un individuo prevedibile, da sempre: a Newport nel tempio della musica folk si era presentato negli anni Sessanta con una chitarra Fender Sunburst Stratocaster; nel suo romanzo mette a nudo solo i momenti di vita più oscuri; nella vita vuole “rotolare come un sasso e non affondare come un macigno” con quella cognizione del genio di bastare a se stesso; nei concerti stravolge le canzoni e le rende ogni volta diverse.
Rispondere o meno, accettare o meno il Premio è la cosa minore: l’investitura è comunque arrivata e con essa si è manifestato il vero cambiamento e la svolta dell’Accademia che guarda a testa alta le parole in musica. In quest’ottica dovrebbe essere visto il Premio alla Letteratura: il premio alle parole supportate da una base musicale. Bob Dylan o Pinco Pallo Cantante non avrebbe fatto differenza: la differenza è la “Scelta”: vince la produzione dei cantautori.
Spiace che al palo del ritenta sarai più fortunato siano rimasti scrittori di grosso calibro ma non è un affronto scrittore/cantautore ma più semplicemente un guardare e cercare in modo diverso, un far lievitare al suo giusto posto un altro tipo di produzione scritta a pari dignità di una raccolta di poesie.
La cerimonia di premiazione dei Premi Nobel si terrà a Stoccolma il 10 dicembre p.v. A oggi non è dato sapere se mister Robert Allen Zimmerman, in arte Bob Dylan avrà tempo o voglia di presentarsi, ma questo non è il punto. Il punto che credo piacerebbe a tutti, e specialmente agli studenti delle scuole superiori, sarebbe scoprire, nelle prossime ristampe delle antologie, l’appendice “ Poesie in Musica”. Per coerenza.
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