Circe

Circe

Il sangue che sgorga dalla ferita infetta si porta dietro la memoria dell’occhio e dell’unghia che la gratta. Quello che un tempo era sano è solo un ricordo. Una voglia scarlatta, l’ora scandita, il passo sempre uguale, passeggiare, fermarsi, correre, svoltare, niente torna se non come ombra. Sull’altare dell’amore, il pane incontra il vino, ma è nel confessionale tutto si paga. La bava di lumaca ricuce la ferita, ma sotto la pelle il verme corrode, morde, mangia, si rafforza. Il sangue lo traghetta fino al cuore, dove trova dimora e cresce, divorando ogni sentimento. Fino a quando il cuore batterà solo per il verme. Fosse almeno un bruco che si trasforma in farfalla. E invece, cento minuscole zanne acuminate trafiggono le pareti, ricordando, a ogni battito, che il tempo non replica. La predica è giunta tardiva. Non guardare, non amare, non desiderare. E così, la bufera ha lasciato il segno. L’unghia è caduta, è caduto l’occhio. Solo un’illusione resisteva, pervicacemente avvinghiata al ponte che le due sponde del mare univa. Di arrivare, un giorno, alla bocca della strega che guariva. Ma poi, anche questa, col tempo, è svanita. E ora, passo i giorni sulla trama della vita a ricamare quelle parole inascoltate. Non guardare, non amare, non desiderare.