CattiviConsigli . IRA
L’autocertificazione
In 24 Aprile 2020 da Gianluca PapadiaGrazie all’emergenza sanitaria per il Covid-19 l’Italia ha scoperto la parola “smart”.
Diciamo la verità, nel nostro paese la parola “smart” ha sempre fatto paura.
Essere “smart” significa innanzitutto azzerare la burocrazia e senza di quella, il nostro paese crolla.
La prova più evidente che non riusciremo mai a essere un popolo “smart” l’ha data il nostro Premier Conte che, nelle prime settimane della pandemia, ha pubblicato un modello di autocertificazione al giorno.
Ecco la parolina magica: autocertificazione. Il sistema che l’Italia si è inventato per semplificare la burocrazia.
Perché hai voglia a essere “smart” ma tu la carta con il bollo, la firma e la contro firma la devi sempre produrre. C’è tutto un mondo che si mantiene dietro quella carta e da quando c’è questa nuova moda dell’autocertificazione, ci vogliono far credere che la burocrazia sia stata semplificata.
Credetemi, non si è per nulla semplificata, anzi. L’unica differenza è che prima la responsabilità di quel documento era delle istituzioni e adesso ricade sul cittadino.
Oggi, armato dell’ultimissima versione del modello di autocertificazione, ho deciso di andare al supermercato. Dopo aver fatto due ore di fila e aver riempito il mio carrello in tutta fretta, una volta giunto alla cassa,scopro di non avere il portafogli.
Sono a due chilometri da casa mia ma mi sento come il protagonista di The Martian che si ritrova da solo sul pianeta Marte.
Non ho con me né l’autocertificazione né un documento d’identità. Per fortuna però ho il cellulare.
Chiamo subito mia moglie per sincerarmi di aver lasciato il portafogli a casa ma lei, dopo aver controllato in tutta la casa, emette la sua condanna: «qui non c’è».
Chiedo il favore alla cassiera di tenermi la spesa da parte, ed esco dal supermercato sotto lo sguardo preoccupato di tutti i presenti. Agli occhi di tutti sono un infetto impostore.
Rifaccio più volte il percorso dal supermercato a casa ma del portafogli non c’é traccia.
Devo andare dai carabinieri a fare la denuncia ma ho paura di essere fermato e multato perché questo non rientri tra i motivi validi per uscire di casa. Mi metto a correre ma poi mi ricordo che i runners, almeno in Campania, sono vietati e rallento. Quando incrocio un’auto mi nascondo come un ladro. Vorrei tanto avere un cane ma, con quest’emergenza sanitaria, tutti i randagi sono spariti dalla circolazione, forse sono stati divorati dai gabbiani. Finalmente vedo la caserma, mi avvicino sventolando un fazzoletto bianco e suono al citofono.
«Senza un documento d’identità, non può fare la denuncia. Vada prima al comune a fare il duplicato della carta d’identità» mi dice il carabiniere dalla feritoia del pesante portale della caserma.
Mi dirigo verso l’ufficio anagrafe del mio comune. Sono da solo per strada e cammino con prudenza, guardandomi attorno con sospetto, manco fossi il numero uno dei ricercati da tutte le polizie del mono.
«Ce l’ha la denuncia?» mi chiede l’impiegato, spazientito, dopo aver sentito il mio racconto.
«Sono appena stato dai carabinieri. Mi hanno detto che non posso farla se non ho con me un documento valido» rispondo, cercando di controllare l’ira.
«E mi scusi, lei non ce l’ha la patente?»
«Era nel portafogli che ho perso. Insieme alla carta d’identità».
«In questo caso è tutto molto più difficile. Dovrebbe trovare due cittadini pronti a testimoniare che lei è veramente chi dice di essere» aggiunge lui con una calma serafica.
«E dove li trovo? Nessuno può uscire di casa senza un valido motivo».
«Si ha ragione. Torni quando tutto questo sarà finito»
Quando arrivano gli agenti di polizia, ho già sfasciato tutti i mobili dell’ufficio anagrafe. L’impiegato si è chiuso in bagno e sto cercando qualcosa per distruggere quella porta.
Solo quando mi accorgo di avere le mani legate dietro la schiena smetto di urlare.
«Posso fare un’autocertificazione?» stavo gridando da circa dieci minuti sotto l’effetto di una crisi di nervi.
Oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale. Atti vandalici con l’aggravante della flagranza. Rifiuto d’indicazioni sulla propria identità personale. Lesioni personali volontarie. Tentato omicidio doloso. Violazioni delle misure di contenimento della pandemia.
Quando tutto questo sarà finito, dovrò difendermi da molti capi di accusa, penso, mentre la polizia mi trasporta in questura.
Il mio cellulare emette uno squillo, segno che mi è arrivato un messaggio su WhatsApp.
«È un messaggio audio di tua moglie» mi dice l’agente seduto accanto al conducente.
«Posso ascoltarlo?» chiedo con un filo di voce. Devo aver urlato molto perché la gola mi fa troppo male.
La voce squillante della mia dolce metà invade l’abitacolo sovrastando il suono della sirena.
«Il tuo portafogli sta qui. L’avevo messo nella scatola di decontaminazione. Avevo letto su Facebook che sulla finta pelle, il virus resiste fino a cinque giorni».
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