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Il corridoio
In 14 Maggio 2021 da Gianluca PapadiaQuesto periodo di convivenza forzata, che sembra non avere fine, ha decretato il fallimento totale del concetto di Open Space. Un’idea di spazio aperto che a Napoli, anche prima della pandemia, non ha mai goduto di ottima salute. Il napoletano ha un volume della voce troppo alto per lasciarlo libero di muoversi in quel contesto senza pareti divisorie e, più sarà grande quello spazio, più lui alzerà il tono per sovrastare quello degli altri.
Con la DAD, lo Smart Working, le videochiamate di gruppo, i meeting sulle varie piattaforme e le immancabili dirette sui social, avere uno spazio circoscritto da quattro mura e, soprattutto chiuso da una porta, diventa di vitale importanza.
L’incremento esponenziale della presenza di telecamere nei luoghi in cui viviamo, rende improrogabile un ritorno all’elemento architettonico tanto in voga negli anni ’70: il corridoio.
Quante volte vi sarà capitato di essere in salotto e sentire un forte desiderio di poter chiudere la porta perché non riuscite a sentire nemmeno una sillaba di quello che stanno dicendo in TV?
E quante volte, in piena notte, vostra moglie è apparsa dalle tenebre per pronunciare la frase più cattiva che si può dire a un uomo di una certa età : «Amò, sei diventato sordo? Non vedi com’è alto il volume della televisione?»
Quante volte, soprattutto d’estate, mentre eravate seduti sul vostro amato divano, in mutande e canottiera, il vostro vicino, il Vicidomini di turno, ha bussato al campanello? Con una porta chiusa a doppia mandata la vostra privacy sarebbe stata facilmente tutelata e non avreste dovuto rivestirvi in tutta fretta.
È in quei tragici momenti di condivisione forzata che ripensi a quando eri bambino e le case avevano tutte il corridoio, quel triste e apparentemente inutile, passaggio angusto – demonizzato da tutti – sul quale si affacciavano tutte le stanze. Era proprio quello il suo nobile ma incompreso scopo: permettere a ogni stanza di avere la sua porta.
Alla prima bussata di citofono, il capo famiglia, si ritirava nella sua stanza e nessuno poteva disturbarlo fino alla fine della visita. Alcune stanze, tipo il salotto, avevano la porta chiusa a chiave e l’accesso era consentito solo per interdizione di Sua Santità in persona. La stanza da letto dei genitori era vietata categoricamente ai bambini ai quali non rimaneva che spiare dal buco della serratura.
Non so di preciso quando sia iniziata la persecuzione del povero e indifeso corridoio buio degli anni ’70, ma dal quel preciso istante, gli odori della cucina hanno invaso tutta la casa perché questo desiderio di grosso spazio comune ha interessato soprattutto la zona giorno delle nostre case. In questa corsa all’ammucchiamento selvaggio, alla zona notte è toccato anche di peggio: è stata trasferita su improbabili soppalchi che si affacciano sullo spazio aperto sottostante.
Buona parte della colpa è degli sceneggiatori americani che hanno riempito i loro film di mega loft composti da un unico ambiente condiviso. Per anni ci hanno voluto far credere che la famiglia americana – punto di riferimento imprescindibile della società moderna – , stanca di vivere in quelle ville a tre piani con quattro camere da letto, cucina tripla con isola centrale, tavernetta grande come un supermercato, un garage dove c’entrano due auto, uno yacht, una decina di moto e tutte le bici che partecipano al Giro d’Italia, e un sotto tetto di almeno 100 metri quadrati , senta il desiderio irrefrenabile di abbandonare la tranquilla periferia e trasferirsi in un ex capannone industriale al centro di New York. L’ennesimo sogno a stelle e strisce ha generato un desiderio mostruoso di mescolare tutti gli spazi in un unico ambiente soppalcato che potrebbe andare bene al massimo per un single che ha una vita sociale poco movimentata.
Anche per il luogo di lavoro, dove la produttività in ambienti così rumorosi è calata del 30%, la colpa è da attribuire alla cinematografia statunitense che, per anni, ha proposto e continua ahimè a farlo, modelli di uffici giganteschi dove i lavoratori vivono come galline ovaiole in allevamenti intensivi. Perché il succo del discorso è proprio quello: in un ambiente di lavoro senza pareti, il padrone può controllare indisturbato i propri dipendenti, proprio come succede nelle nostre case, private del corridoio, dove una moglie è libera di poter dare ordini a tutta la famiglia senza spostarsi di un solo centimetro.
Che poi voglio dire, io me li ricordo le prime case senza corridoio e senza pareti divisorie dei primi anni ‘80. Quando entravi in queste case del futuro, la prima e unica cosa che ti veniva da dire era: «Sai che veglione possiamo fare a Capodanno!»
«Visto che ormai le feste in casa non li fa più nessuno, direi che è arrivato il momento di archiviare definitivamente il concetto di Open Space, non credi?» chiedo a mia moglie che sta guardando la nuova trasmissione di Bollani in tv.
«Se vuoi posso murarti in questo salotto con un bella parete di vetro» risponde una delle massime esponenti della persecuzione del corridoio.
Rivedo la scena de Il silenzio degli innocenti in cui Hannibal Lecter è rinchiuso in quella cella con un’unica parete di vetro e per scacciare quell’immagine raccapricciante provo a ribattere: «A casa di mia nonna c’era un corridoio di trecento metri. Io e mio fratello ci andavamo in bici».
«I nostri figli già non escono mai, ci manca solo il corridoio ciclabile. Saresti capace di farli andare in bici dentro casa pur di non accompagnarli sul lungomare» e con un gesto impercettibile del mento mi fa capire che vuole sentire Bollani e sua moglie cantare.
Le note di Carosone mi riportano alla mente l’immagine di nostro padre che non era costretto ad accompagnarci da nessuna parte. Lui non era tipo da caricarsi le bici sul cofano della macchina e farsi dieci chilometri di traffico per consentirci di pedalare all’area aperta.
Beato lui, penso mentre me ne torno nello sgabuzzino. Dall’inizio della pandemia, ho trasformato questo posto nel mio studio: solo qui dentro posso isolarmi dal resto della famiglia.
A dire il vero un altro posto ci sarebbe ma, dopo una lunga ed estenuante trattativa, ho ottenuto di poter usare il bagno solo per due ore al giorno.
L’unico posto che ancora resiste questo repulisti delle pareti divisorie è il bagno, l’ultimo baluardo a difesa della nostra intimità, perché per colpa degli spazi aperti, sia a casa sia a lavoro, abbiamo perso la possibilità di starcene un po’ da soli e la solitudine è una scelta di libertà.
Hasta il corridoio siempre!
(ADV)
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