Le storie superbe . SUPERBIA
Cronache della fine
In 20 Marzo 2016 da Redazione Seven BlogIl racconto secondo classificato di StorieSuperbe – L’Accidia
di Natasha Vagnarelli
“V-vostra Maestà?”
Una voce sottile fu udita dalle orecchie della monarca bambina, che aprì di scatto gli occhi,
ritrovandosi innanzi un vecchio tremante, alto e smilzo, con i bianchi capelli tirati indietro e la
barba rasata. Gli occhi piccoli e azzurri erano schermati da degli occhiali piccoli e tondi, che l’uomo
sistemava nervosamente.
Non vi fu risposta.
“Chiedo perdono per avervi disturbata, Vostra Eccellenza, ma non ho potuto fare a meno di
informarvi di ciò che sta accadendo nel regno.”
Il delicato sopracciglio della regina si alzò. Si limitò ad assottigliare lo sguardo, assumendo
velocemente un cipiglio irritato.
“Ministro. Mi state dicendo di aver lavorato?”.
“N-no, certo che no! Mi sono solo limitato ad osservare”.
Si morse la lingua, cercando di calmarsi. Non poteva rivelare di essere stato una notte intera su
fogli, calcoli e dilemmi finanziari.
“Come da lei richiesto, ho solo controllato la Cassa, e ho constatato che non è rimasto più nulla.”
La giovanissima monarca increspò le labbra con sufficienza.
“Per cosa sono stati spesi i soldi?” Chiese la bambina, con voce piatta.
“Per comprare viveri dai regni vicini, Maestà”.
“E perché c’è stato bisogno di comprare viveri?”
“Perché nessuno lavora”.
L’espressione della regina, a quel punto, si distese.
Con fatica, scivolò giù dal proprio trono, stando attenta a reggersi in equilibrio.
Non scendeva quasi mai da quella sua regale postazione, e le sue gambe avevano cominciato a
risentirne. Se non fosse stata così pigra, avrebbe fatto qualche esercizio per irrobustire i muscoli.
Ma a cosa sarebbe servito? Lei era la regina. Il suo posto era sul suo trono di platino e velluto blu.
“Se non hanno voglia di lavorare, Ministro, significa che il loro Minimo Indispensabile non è più
sopravvivere”.
L’ingenuità con cui quelle taglienti e pericolose parole vennero pronunciate fece scorrere un brivido
di terrore sulla schiena dell’anziano.
“M-ma Maestà…”
La bambina rise. Per la prima volta da quando il regno era stato fondato, la regina rise. Rideva di
gusto, senza sosta, così violentemente da cadere a terra, a pancia all’aria.
“Maestà, non c’è nulla di divertente! Se non facciamo qualcosa, periremo di fame!”
L’uomo si tolse gli occhiali, in modo da giocherellare con le stanghette, cercando un modo per
distendere i nervi.
Ma le regina continuava a ridere.
“Se non vogliono vivere, che muoiano!”
Per un istante, il Ministro sperò che ridesse così tanto da soffocare.
Come, come una bambina così piccola poteva essere così crudele? Come poteva ridere della
sofferenza che di lì a poco avrebbe invaso il regno?
“Maestà… morirete anche voi, senza cibo”.
A quelle parole, la monarca tacque. Rimase silenziosa, a terra, mentre osservava il soffitto del
proprio castello.
Non si era resa mai conto di quanto fosse… orrido. Era ammuffito, crepato, sporco.
Poco importava, in fondo. Dopotutto, non era ancora crollato, no?
“Ministro Tesoriere. Siete sollevato dal vostro incarico. A cosa serve un Ministro Tesoriere, senza
alcun tesoro?”
Il vecchio si posizionò nuovamente gli occhiali sul naso. Il volto della regina bambina era diverso.
Non era più annoiato, divertito o crudele. Era sereno, e ricolmo di lacrime.
“Maestà… possiamo ancora rimediare. Io… io ho fatto dei calcoli e…”
“Ritenetevi fortunato, Ministro. Sì, fortunato, perché vi ho licenziato e perché non ho voglia di
condannarvi a morte per aver fatto più del Minimo Indispensabile.”
L’uomo era confuso. La regina voleva condannare se stessa e il suo intero popolo ad una morte
certa? Senza provare nemmeno a lottare?
“Io… io non capisco.”
Non riusciva a comprendere quel meccanismo perverso e masochista che spingeva quella sovrana e
tutti i suoi sudditi a rimanere accasciati nella propria miseria.
“So che non capite, Ministro. Ma posso dirvi che questo regno era destinato a terminare sin dal
primo momento. Mi sono ritrovata a dover comandare questo strano regno senza nemmeno volerlo.
Le prime generazioni non hanno gradito le mie regole, e hanno tentato di uccidermi. Ma non si può
uccidere un Peccato Capitale.”
Si interruppe per un momento, assumendo nuovamente un’espressione accigliata.
“Le generazioni successive, con lentezza, hanno cominciato a comprendere cosa intendessi per
Minimo Indispensabile. Quando siete giunto al mio cospetto, i miei sudditi avevano raggiunto il
penultimo stadio, nel quale il Minimo Indispensabile era vivere, anzi, sopravvivere. Ma
sopravvivere, legato alla pigrizia, ha fatto sì che ogni cittadino accettasse i viveri a lui offerti senza
lode né infamia.
“Ora, finalmente, la mia opera è compiuta. Il Minimo Indispensabile ora è morire.
Pensateci, Ministro. Chi vorrebbe mai vivere una vita vuota, senza ambizioni, senza passioni?
Nessuno. Nemmeno io. Nemmeno l’Accidia”.
Il volto della bambina sembrava sempre più consumato. Il vecchio le si avvicinò, tastandole il
polso.
“Maestà, voi state morend–”
“Non credo di aver mai chiesto il vostro nome, Ministro.”
“Io… non lo ricordo più, Maestà.”
Erano passati almeno trent’anni. E in tutto quel tempo la regina bambina non aveva nemmeno avuto
voglia di crescere.
“Beh, chiunque voi siate, il vostro lavoro qui è finito. Vi consiglio di andarvene prima che i Cancelli
si chiudano.”
I Cancelli. I Cancelli si sarebbero chiusi.
Allora era vero. Era tutto vero.
Accidia, e tutto il suo popolo, sarebbero collassati. Il Peccato si sarebbe ritorto contro se stesso,
distruggendo per sempre il regno.
I Cancelli si sarebbero chiusi. E quella parte di mondo si sarebbe sgretolata all’interno di essi.
Era dunque quello, il destino dei Sette Peccati Capitali? Essere distrutti dal loro stesso potere?
L’ex ministro si sdraiò al fianco di Accidia, in un lieve sorrisetto.
Anche l’ultimo briciolo di determinazione era crollato.
Il castello cominciò a franare dalle fondamenta.
“Sapete, Maestà? Non ho voglia.”
La motivazione della Giuria è la seguente:
Il racconto indugia, procede per versi, quasi a sentirne la stanchezza. La struttura narrativa indolente da poemetto, con ripetizioni e allegorie, rimandi e piccoli effetti stranianti, fanno ben pensare al peccato capitale dell’accidia. Una bambina che non vuole crescere ma ha più potere di un adulto – il potere per eccellenza, quello regale -; un adulto stereotipato nel suo ruolo di servitore razionale – il Tesoriere, l’economista pragmatico e senza particolari sentimenti se non un utilitarismo che si rivolge contro il suo stato di essere umano attento alla sopravvivenza: sono elementi da fiaba, da racconto popolare che fortificano l’archetipo del peccato capitale.
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