
Ricettacolo - Il concorso
Tagliolini al rosso dell’amor proprio
In 22 Novembre 2017 da Redazione Seven BlogIl racconto terzo classificato di Ricettacolo – La Superbia
di Salvatore Improta
«La mia ricetta è divina. Solo una brillante mente come la mia, poteva concepire una delizia per il palato così palesemente buona». Mi guardano stupiti, poveri sciocchi. Credono che un corso di cucina possa fare miracoli. Adesso con tutti questi reality, anche i più disperati si credono novelli chef. Una volta era un mestiere per pochi eletti. E invece, da qualche anno a questa parte, ristoratori a destra e a manca; per arrotondare noi maestri più che in cucina siamo costretti a lavorare davanti alle telecamere. «Non troverete nulla di simile in rete. Lo so che cercherete; andrete alla ricerca di qualcosa di più semplice. Fate pure, alla fine userete la mia ricetta, che è inimitabile e solo per la mia magnanimità, ho voluto condividere con voi. Di certo nessuno riuscirà a cucinare questo piatto come me».
Li guardo solo per un attimo dalla mia finta cattedra e riprendo, rivolgendo di nuovo lo sguardo alle telecamere. «La ricetta è per quattro persone, segnate bene i passaggi e gli ingredienti, il bilanciamento dei sapori è fondamentale. Per cominciare vi svelerò come preparare della pasta fatta in casa, anche se credo non siate in grado di realizzarla come intendo io».
Quel tipo smilzo continua a fissarmi. Vuole sfidarmi? Lo distruggo.
«Se volete cimentarvi, pur consapevoli della misera figura, dovete procurarvi per iniziare: 400 grammi di farina 00 e 4 uova. Non lesinate nell’acquisto, comprate della buona farina, magari presso un mulino artigianale e delle uova fresche, non il cartone al market sotto casa. Cominciamo, se siete ancora sicuri di lanciarvi in questa preparazione. Un volontario… anzi scelgo io. Venga lei». Dico indicando lo smilzo. «Lei è il signor?».
«Cantalamessa».
Il suo nome non mi suona del tutto nuovo. Non potevo scegliere la ragazza che era al suo fianco? È decisamente carina e anche prosperosa. Perché proprio lui con questo cognome impossibile? Ecco chi è, uno di quegli influencer di Instagram, che non lesina di pubblicare foto di errori culinari, secondo un suo personalissimo giudizio. Mi sta sui nervi, anche se finora non ha ancora avuto modo di “azzannarmi”; molti dei miei colleghi però sono sue vittime. Dovrò stare attento.
«Bene, il nostro volontario seguirà le indicazioni qui in cattedra mentre voi riprodurrete sul vostro tavolo di lavoro ciò che vi indico. Versate 400 grammi di farina sulla spianatoia formando una fontana. Cantalamessa, lei sa cosa intendo per fontana? Di certo non il pastrocchio che ha appena fatto».
Il cameramen inquadra il disastro mentre io scosto lo smilzo con un mezzo strattone e mi prendo la scena cercando di porre rimedio al disastro.
«Bene, se siete riusciti a fare almeno qualcosa di simile a ciò che intendo, formate uno spazio centrale e spolverate i bordi con un po’ di sale. Sgusciate, non voi dalla cucina, ma le 4 uova fresche, all’interno dell’incavo ricavato con le dita, quindi sbattetele con un frustino».
Anche sbattere le uova all’interno della fontana è un’arte, ci vuole la giusta dose di forza. E Cantalamessa esagera, lanciando brandelli di farina e di albume ovunque. Faccio appena in tempo a scostarmi, mentre la ragazza sorride sotto i baffi.
«Il nostro Cantalamessa è riuscito a fare diventare difficile un gesto che ogni casalinga di Voghera e non, compie con grazia. Caro Cantalamessa, si faccia ancora di lato, che penso io alla pasta fresca». Stavolta sono io a ghignare, la pupa non alza nemmeno lo sguardo.
«Impastate a piene mani, tirando avanti e indietro la massa e sbattendola sulla spianatoia».
Noto molte imperfezioni tra i lavori dei discenti, mentre tramite un’armoniosa manipolazione della pasta, creo un panetto perfetto. «Se l’impasto non riesce a incorporare tutta la farina, è sintomo della vostra inefficienza, potete eliminare l’eccesso. Se l’impasto risulta troppo morbido o troppo appiccicoso aggiungete altra farina».
Cinque persone su dieci aggiungono farina, come immaginavo. «A questo punto lavorate fin quando il composto è liscio e omogeneo come il mio, quindi formate un panetto e lasciatelo riposare 30 minuti, copritelo con un canovaccio. Non avvolgetelo nella pellicola che contiene polimeri. Facciamo una pausa, così che la pasta riposi. E per gli amici da casa, pubblicità».
Alla macchinetta del caffè trovo Cantalamessa e la tipa. Quando arrivo mi fanno largo. Cerco un argomento che non sia la cucina, ma prima che lo trovi la bella, mi chiede da quanto tempo insegno in quest’accademia del gusto. Ha un accento straniero: scopro che Isolde è austriaca. Le rispondo che insegno da poco anche se il mio ristorante e i sous chef della mia brigata collaborano da qualche tempo con la scuola. Le strizzo l’occhio con aria maliziosa e torno in aula. Sono certo che mentre cammino mi scruta il sedere. Le riprese riprendono, ho dato a tutti un panetto della mia pasta, non possiamo fare brutta figura con i telespettatori.
«Adesso stendete la pasta in una sfoglia dello spessore di 3 mm esatti. Come fare a misurarli non sta a me spiegarlo, dovrete imparare ad utilizzare gli occhi come fossero un righello. Cospargetela con un po’ di semola su entrambi i lati e lasciatela asciugare, 5 minuti per lato, non un secondo di più. Ripiegate un lembo e arrotolatela creando un rotolino piatto, tenendo la chiusura verso l’alto, immagino non abbiate capito, ve lo ripeto, ripiegate un lembo e arrotolatela creando un rotolino piatto. Con un coltello lungo e ben affilato tagliate la pasta a striscioline da circa 3 mm per ottenere i tagliolini».
Cantalamessa più che dei tagliolini ha fatto delle tagliatelle spesse un dito, ma stavolta non intervengo.
«Passiamo alla preparazione del condimento. In aula useremo un rosso da cucina ma la ricetta originale richiede dell’Amarone, 400 ml». Il resto lo berrei volentieri con Isolde. «1 cipolla rigorosamente di Tropea, 60 grammi di parmigiano stagionato 48 mesi, 100 grammi di gorgonzola DOP, 5 gherigli di noci italiane, olio extravergine d’oliva, sale di Cervia. Affettate finemente la cipolla e soffriggetela con un filo d’olio, versare poi il vino, delicatamente, l’Amarone, è prezioso. Fate restringere a fiamma vivace. Nel frattempo portate a bollore una pentola d’acqua, salatela e aggiungete un goccio di olio per non fare incollare la pasta. Quindi tuffate i tagliolini delicatamente e fateli cuocere, molto al dente». Controllo come procede, il condimento per molti riesce meglio della pasta fresca. «Aggiungete nella padella il gorgonzola tagliato a pezzetti; fatelo fondere leggermente e non bruciatelo, per carità». Come invece fa l’imbranato.
Cerco di porre rimedio ma è impossibile. Così lo lascio alla padella e raggiungo la bionda, mentre il cameraman mi segue. Odio registrare in presa diretta, ma mi serviva un escamotage. «Salate adeguatamente. Deve venir fuori una cremina dal colore viola. La nostra Isolde ha fatto davvero un bel lavoro». Le dico quasi sul collo.
«Scolate la pasta e trasferitela direttamente nella padella con il condimento, per ultimarne la cottura nel sugo. Aggiungete al bisogno dell’acqua di cottura della pasta per legare il tutto. Al termine della mantecatura, tritate le noci e unitele alla pasta».
Guardando la telecamera, dico: «Il risultato al palato è un connubio tra il velluto dell’Amarone e il pizzichio del gorgonzola, arricchito dalla croccantezza delle noci. Lasciando per qualche secondo il tagliolino nella bocca si possono sentire i richiami della frutta matura del vino, legarsi con il dolce della cipolla. Un godimento per le papille gustative che dovranno essere annaffiate ancora con il Valpolicella. Vi saluto con questa delizia».
All’aula invece: «Non spacciate la ricetta per vostra, piuttosto citate sempre il vostro ineguagliabile mentore, Primo Protervia».
Torno nel mio camerino. Dentro c’è Isolde, come nel migliore dei pronostici. Ha con sé il piatto che ha preparato. Come ha fatto a entrare? Poco male. «Come hai fatto… ehm… benvenuta».
«Volevo farti assaggiare il mio piatto e magari chiederti qualche consiglio». Mi dà del tu.
«Certo, cara, accomodati che stappo una bottiglia che ho qui al fresco». Non è l’Amarone che ci vorrebbe ma un Sangiovese di ottima fattura. Nel voltarmi, noto un’ombra. M’impressiono.
Noto anche che ha sbottonato oltre la metà del camice. Siamo uno di fronte all’altro. Affondo la forchetta nei tagliolini, avvolgo la pasta e la porto alla bocca. Improvvisamente sento la muscolatura indurirsi. Lei intanto ha appena slacciato un altro bottone lasciando intravedere centimetri di pelle. Cerco di ripetere ancora lo stesso gesto e anche di allungare una mano, ma la vista mi si annebbia. Non riesco a proferire parola, nemmeno quando vedo spuntare dal nulla Cantalamessa.
Mi risveglio legato ad una sedia. Intorpidito.
«Caro il nostro chef, ti sei divertito a prenderti gioco di un volenteroso alunno? Adesso pagherai… non con la vita, tranquillo, non siamo due killer. Ma dovrai dire addio alle tue pupille gustative, così imparerai che il buon gusto non è solo questione di cultura ma anche di buona educazione. Addio».
È da allora che ho smesso di cucinare, nel piatto avevano aggiunto un potentissimo miscuglio chimico che ha rovinato per sempre le mie pregiate papille gustative. I due sembrano spariti dalla circolazione anche se non lo sono le loro critiche taglienti sui social. Non sono caduto in disgrazia, ho ancora il mio adorato ristorante dove la mia brigata prepara le mie ricette, ma non cucino più. E cosa ancor più grave non riconosco più la maggior parte dei sapori. Il che è come dire addio alle meravigliose varietà e alla bontà del cibo.
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