Ricettacolo - Il concorso
Dei siamo
In 8 Novembre 2017 da Redazione Seven BlogIl racconto-ricetta vincitore di Ricettacolo – La Superbia
di Vincenzo Cammarata
Siamo Dei.
Lo diceva pure lui. Il Principe. E infatti per stupire lui non aveva bisogno di ingannare la gola con lo sfarzo della vista o con qualche dozzina di nomi di ingredienti esotici e falsamente raffinati, magari francesi, adatti a quei poveri allocchi del Nord che non erano minimamente consci di quello che realmente significa mangiare.
Mangiare, non per nutrirsi, ma per godere.
Ché non era di gola o di lussuria che si peccava, immaginando esseri umani, altri da quelli che vivevano sull’Isola, che a detta sua, non erano nemmeno capaci di provare invidia, perché per applicare quella pratica occorreva almeno avere una vaga idea di ciò che altri, in quel medesimo momento, ma al di fuori delle nebbie della pianura, nell’estremo sud del Paese, stavano godendo.
Mentre era impegnato in questi pensieri, prese dalla busta color carta da zucchero che si era fatto mettere da parte da Zu’Michè, specializzato in salamoie e conserve sott’olio, un incarto grande quanto un pacchetto di sigari, forse un po’ più basso.
Alle alici, lui aveva sempre preferito le acciughe. Sott’olio come da tradizione. Di Aspra.
Dalla busta prese anche una testa d’aglio, da cui trasse e scamiciò un paio di spicchi, e un paio di ramoscelli di petrosino e una bustina di mandorle sgusciate e tagliate in scaglie sottili sottili, quasi trasparenti. Noi non siamo come quegli iracondi dei calabresi: peperoncino ovunque e sapori nascosti perché tanto loro il gusto se lo erano giocato già, bruciato fin da piccoli e non sarebbero stati nemmeno in condizione fisica di riconoscere ingredienti raffinati tipo la menta o, appunto, la mandorla.
L’agro-dolce era la chiave. La chiave che da anni, fin da quando quel che rimaneva dei romani incontrò quel prodigioso invasore arabo che scosse definitivamente tutto quello che di certo c’era allora e ormai appariva così rude, grezzo, sine nobilitate. La padella accolse l’olio, buono, quello che arrivava da Castelvetrano ogni due mesi in damigiane da 5 litri.
Sfrigolio di soffritto, aglio, acciughe… il prezzemolo verso la fine. Mandorle a guarnire. Questa volta esagerò.
Da Rosalia, la donna a servizio di sua madre, si fece mettere da parte un vasetto di pomodori secchi, da sfilacciare. Mise pure quelli nel soffritto. A parte, l’ingrediente segreto, noto a tutti gli chef dell’Isola: da un barattolo di latta, in alto, sulla dispensa, prese cinque pugni di quella polvere non troppo fine che era stata ricavata dal pane raffermo, ormai duro ma non meno prezioso. Mise in opera una seconda padella, un po’ stretta, fra la padella del soffritto e la pentola che già iniziava a gorgogliare. Un filo d’olio per renderne antiaderente il fondo e il colore della muddica stava già cambiando, abbrustolendosi, tostando. Atturrando.
Gli odori stavano rafforzando quel sentimento misto fra pietà e compassione provata in precedenza pensando ai popoli barbari, cresciuti a polenta. Il genio. Il genio stava nella personalizzazione dell’opera. Il dolce. Perché dopo l’acido, l’agro, il sapido che si stavano moltiplicando nel soffritto, un attimo prima, con gesto svelto e convinto sfumò.
Passito di Pantelleria. Ma anche un Malvasia delle Lipari sarebbe andato bene. Un Dolce.
L’odore, il profumo, raggiunse il suo apice. Non restava che spadellare la Regina, quello e solo quello il formato della pasta di grano duro e leggermente ancora avida di una rifinitura indispensabile per amalgamare il tutto e per avere la giusta cottura. Al dente. Né più. Né meno.
«È inutile. Che ci accusino pure d’accidia, quelli lì», disse, precipitando, con movimento basculante del polso, quella polvere bruna e croccante sul piatto appena composto. «Noi saremo sempre Dei».
Intanto la mollica avvolgeva la pasta e tratteneva tutti gli umori, i profumi di quel piatto. Il palato ringraziò.
Burp.
«Dei siamo».
VINCITORE
Vincenzo Cammarata
TITOLO
Dei siamo
La motivazione della Giuria è la seguente:
La gola ti dice che: «mangiare, non per nutrirsi, ma per godere». La lussuria, che quella libidine apre i sensi. E se l’invidia è roba per pochi, l’avarizia la lasciamo a gente che si pregusta un cibo solo perché ha un nome infrancesito. E l’ira è una lotta a suon di gusti tra regioni italiane. È la superbia il vero dono divino, ed è la superbia che fa di un piatto un nettare. Attraverso un ritmo incalzante e uno stile impeccabile, la ricetta siciliana della pasta c’anciova e ca’muddica, egregiamente rivisitata, è il climax cui gli dei aspirano, la giusta ricompensa per averli chiamati accidiosi.
Biografia dell’Autore in un Tweet:
Palermitano trapiantato in Svizzera (e al Nord Italia), grafico, fotografo, fotogiornalista, videonarratore: curioso.
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