Le opinioni superbe . SUPERBIA
Due parole (quattro) sul pregiudizio come impedimento alla comunicazione
In 30 Giugno 2019 da Redazione Seven BlogNei miei ultimi dieci anni di lavoro come Pilota Comandante di Elicotteri, e nei successivi cinque, ho svolto una discreta attività come Istruttore Esaminatore di CRM, cioè di Crew Resources Management. In parole povere, organizzavo incontri per sensibilizzare il personale di volo sull’influenza che aveva il “fattore umano” nell’interpretare erroneamente la realtà intorno a noi. Uno degli argomenti era l’aspetto comunicativo all’interno dell’equipaggio e tra questi e il mondo esterno. E, nell’ambito comunicativo, in un contesto sociale e lavorativo sempre più interrazziale e interculturale, l’importanza che rivestiva, in negativo, il pregiudizio. Non “vedere” correttamente il mondo è forse la causa principale nella diminuzione della Sicurezza del Volo, ma questo “fattore umano” vale anche per tutti gli altri aspetti della nostra vita.
Viviamo nell’epoca della comunicazione. Siamo investiti quotidianamente, dentro e fuori casa, da messaggi visivi e uditivi. Abbiamo autorizzato, consapevolmente o no, decine, se non centinaia, di organizzazioni commerciali a telefonarci, a inviarci messaggi per propagandare oggetti, servizi, partiti, associazioni e molto altro. E ancora resistono i vecchi volantini, dépliant, lettere, con o senza indirizzo, che ci riempiono le cassette della posta. Siamo sempre connessi alla rete per non perdere nulla di quello che gli amici o le persone che seguiamo ci vogliono raccontare, e per ricambiarli allo stesso modo. E molto di questo succede in tempo reale: mentre accade già viene comunicato, ovunque e a chiunque.
Viene comunicato… ma è davvero così?
Comunicare: dal latino communicare, derivazione di communis ; dal latino cum ossia con, e munire ovvero legare, costruire; e dal latino communico che significa mettere in comune, rendere partecipe. Comunicare, quindi, significa interagire, mettere in comune, mettere in relazione, condividere. Non è solo inviare un messaggio, scritto, sonoro o visivo, ma è (così viene definito dagli studiosi) “Un atto sociale e reciproco di partecipazione, atto mediato dall’uso di simboli significativi tra individui e gruppi diversi.”
Io ho, come la maggior parte di noi, oltre a un indirizzo e-mail, una mia pagina Facebook e un account Twitter. Tutti giorni, o quasi, posto qualcosa. Scrivo la mia opinione rispetto ad avvenimenti sportivi, atti politici, incidenti, catastrofi naturali, canzoni, leggi dello stato, comportamenti, eccetera. E naturalmente mi confronto con le opinioni degli altri.
Ho comunicato, quindi? Io, i miei amici, e le persone che seguo e che mi seguono, abbiamo comunicato?
Forse, forse con qualcuno è stata comunicazione, e quell’atto sociale e reciproco di partecipazione ha avuto piena attuazione, ma, molto più facilmente, non è successo. Probabilmente abbiamo solo inviato o ricevuto dei testi, delle parole, dei video, dei simboli, della musica, dei suoni, che abbiamo interpretato rapidamente e superficialmente.
Cosa si oppone a che i messaggi arrivino nel loro pieno significato come intende chi li invia?
Esternamente a noi, possono essere molti gli impedimenti: malfunzionamenti della rete, mancanza di segnale, guasti agli apparati, rumori e disturbi vari, separazione fisica o temporale e quindi perdita del contatto visivo che impedisce lo scambio empatico e la comunicazione non verbale, quella dovuta alla gestualità, al linguaggio del corpo, al guardarsi negli occhi. Oppure ostacoli messi in atto dai regimi (Cina e Turchia, per esempio) o derivanti da difetti strutturali nell’architettura dei sistemi usati (ad esempio il limite di lunghezza in Twitter).
Sappiamo istintivamente quanto valga che le persone comprendano bene il senso delle parole che usiamo e con chi riteniamo importante stiamo bene attenti che non vi siano fraintendimenti. Ma sappiamo anche delle scorciatoie che la parte emotiva di noi usa spesso bypassando il pensiero razionale.
Noi umani siamo fatti così: ragione e sentimento.
Due parole
Le dico, allora,
queste parole.
Giusto due, senza alzare la voce,
facendole sgorgare dalle labbra,
lasciandole fluttuare
fino al tuo orecchio:
prima accarezzano il tenero lobo,
poi entrano e… via!
Dirette al cuore,
eludendo il cervello:
mio amore.
Oltre alle incomprensioni del linguaggio, internamente a noi, dovuti al nostro essere uomini, esistono molti altri ostacoli alla comunicazione: la personalità, le motivazioni, le aspettative, le passate esperienze, la classe sociale o il grado rivestito, lo stato emotivo, la cultura d’appartenenza, i pregiudizi.
I pregiudizi, appunto. Il pregiudizio, “Il giudizio di qualcosa o di qualcuno prima di conoscere come stanno realmente i fatti” è un’opinione precostituita, un giudizio preventivo privo di giustificazione razionale o emesso a prescindere da una conoscenza precisa della persona o dell’oggetto in questione.
Gli elementi fondamentali del pregiudizio sono la mancanza di un’analisi critica del suo oggetto e l’esprimersi attraverso stereotipi. Di norma ha origini culturali, è condiviso tra gli appartenenti di uno stesso gruppo sociale ed è rivolto verso gli appartenenti ad altri gruppi. Va distinto il pregiudizio dal concetto errato: un pensiero, infatti, diventa pregiudizio solo quando resta irreversibile anche alla luce di nuove conoscenze – che sono rifiutate a priori proprio dallo stesso pregiudizio – impedendo una vera comunicazione.
Ci si basa sull’aspetto esteriore, il sesso o l’etnia e ci aspettiamo di osservare un certo tipo di comportamento che abbiamo pregiudizialmente attribuito ad un certo gruppo sociale. Valutazioni e giudizi sono emessi a priori e tenderemo a spiegare ciò che osserviamo alla luce della nostra credenza che tutti gli appartenenti ad un certo gruppo abbiano determinate caratteristiche.
Di solito, chi trasmette vuole dire 100; in realtà dice 80; a chi riceve arriva 50; di cui capisce 30; e ne ricorda 20. E chi trasmette, oltre al contenuto (verbale o non verbale) invia anche emozione, una determinata percezione che investe l’aspetto psicologico e che determinerà la qualità della comunicazione perché influirà direttamente sulla qualità della relazione. Le relazioni tramite i social sono orfane delle possibilità empatiche. Potete ben vedere come il pregiudizio trovi facile accoglienza in questo meccanismo.
Chi riceve ha la tendenza di giudicare, interpretare o disapprovare il messaggio originario, ostacolando in tal modo l’efficacia della comunicazione. Chi riceve deve avere interesse all’ascoltare, essere capace di auto-osservazione, decodificare con attenzione e rimandare il feedback per avere poi conferma sulla buona interpretazione data. Nella comunicazione esiste un aspetto di relazione che qualifica il contenuto del messaggio. La comunicazione della comunicazione. Chi riceve, quindi, ha un’importanza fondamentale perché il messaggio sia completamente e correttamente tradotto in comunicazione. Il pregiudizio è un muro opposto a tutto ciò.
Ho incontrato i tuoi occhi
Ho incontrato i tuoi occhi
e ho guardato oltre,
dove non eri più,
dove non eri ancora.
Sentivo sulla nuca
il tuo sguardo seguire i miei passi,
e nella mia sordità
urlare la tua domanda:
– Perché mi fuggi?
Ho guardato lontano,
dove non potevi essere,
per non ricevere
nel cuore la tua lama:
– Perché mi fuggi?
Come palle di cannone,
tra loro incatenate,
mi lanciavi le parole
della tua solitudine:
– Io sono tuo fratello,
io sono tuo padre,
io sono tua madre,
io sono tuo figlio,
e tu sei di me
fratello, padre, madre e figlio!
Perché mi fuggi?
Perché mi fuggi?
L’aspetto di come comunicare con efficacia è studiato da millenni. La retorica è la più antica forma di studio della comunicazione. Più di 2000 anni fa, in Grecia, il parlare in pubblico era diventata un’attività molto importante per la partecipazione dei cittadini alla vita della polis, e per curare i proprio interessi. L’arte della retorica veniva studiata, analizzata e trasmessa alle nuove generazioni. Nel documento “La retorica” (4 secolo a.C.) Aristotele studia le tattiche che il parlante utilizza per influenzare i pensieri, le idee e il comportamento di un’audience (gli altri cittadini).
Ma nessun esperto riuscirebbe a comunicare con qualcuno che non vuole ricevere. Quando l’informazione contenuta in un messaggio diventa comunicazione, essa diventa parte integrante del sistema decisionale del soggetto e quindi produrrà in lui un cambiamento permanente. Da quel momento in poi, in tutti quegli ambiti dove essa possa essere coinvolta, non potrà più fare a meno di prendere in considerazione la nuova informazione.
Perché questo avvenga senza difficoltà conta molto la capacità di interpretare, di dare un senso alle azioni degli altri, il grado di empatia, cioè la capacità di sentire e di essere consapevole delle emozioni dell’altro, mantenendo nel contempo l’accettazione positiva dell’altro e il contatto con se stesso e le proprie emozioni.
L’accettazione positiva dell’altro… la chiave per combattere il pregiudizio, perché il pregiudizio NON permetterà che questo avvenga. Il pregiudizio chiude la mente a qualsiasi intrusione che possa cambiare il pensiero che lo ha generato. Il pregiudizio è auto-conservativo.
Ho pescato qua e là nel web dagli scritti dei proff. Claudio Melchior e D. G. Bozza e dalla psicologa Giovanna Costa che ringrazio e con i quali mi scuso per il “furto”.
Questi studiosi, mi hanno comunicato i loro insegnamenti o le mie resistenze sono state troppo forti?
E io, sono riuscito a comunicare con voi?
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Caro Giovanni,
personalmente, per vigliaccheria, ingenuità, miei indole e vissuto, e per chissà cos’altro, continuo a non saper gestire, almeno al momento, questi preziosissimi, se pur rischiosi, moderni mezzi di comunicazione. Ho una mail che utilizzo fondamentalmente per “lavoro”, cioè per tutto ciò che riguarda la mia modesta attività letteraria, e un vecchio cellulare senza connessione con cui raramente invio messaggi e che dunque impiego essenzialmente per effettuare o ricevere chiamate. Per il resto, già solo gestire il non assiduo mio rapporto con questo sette volte blog mi crea imbarazzo, disagio e, giunto qui da poco, presto ne leverò le tende. Sbaglio io, non c’è dubbio! Sbaglia chi come me non sa sfruttare che in piccola parte le enormi possibilità che ci offre una connessione, altrettanto di chi la utilizza in modi nefasti! Ciò non toglie che gli occhi, il fiato, i pensieri fatti espressione corporea, le mani, la strada, il sole che scotta, la pioggia che assale, il contatto diretto con le cose e con gli umani restano i cardini d’un’esistenza che sia degna d’esser consumata e un blog, che è pur tanto ma tanto, non ne varrà mai una briciola. Seppure, andando via, personalmente tornerò a non esser letto da anima viva (tranne qualche disgraziata giuria che ne è obbligata per il fatto che le passiamo un pugno di dollari in tassa d’iscrizione, per esser promossi o bocciati come cantanti a metraggio). Naturalmente finché non mi stancherò anche di questo stillicidio, s’intende.
Te, t’ho letto due volte in un giorno, a gratis! Non l’ho mai fatto con nessuno qui dentro: mi devi almeno un caffè lungo, pilota!
Caro Alessandro,
Spero tu non dica sul serio, se qualche volta ti pesa, rallenta. O anche fermati. Ma i rapporti belli, o bellini, o carini o semplicemente decenti, non si troncano, si tengono e mantengono. Non sono così frequenti. NON AVERE PREGIUDIZI! Il caffè è segnato, ma tutte le volte che ti ho letto io, è fuori conteggio!
È stato bello leggervi, commenti compresi, perché abbiano dimostrato che l’interesse supera le barriere della fisicità e si fa comunicazione.
Grazie, Caterina. Alessandro è un pozzo artesiano d’italiano. La sua capacità di girare e rigirare nei flussi di parole compensano, come bene hai scritto, la mancanza del contatto personale. Come del resto hai fatto tu con questo commento.