Le opinioni superbe . SUPERBIA
Gli 86 di Clint
In 31 Maggio 2016 da Fabio Muzzio
Sergio Leone dirà di lui che aveva bisogno di una maschera e lo scelse perché aveva due espressioni: una con il cappello e una senza. E a quel “Sergio” a cui riconosce la maggior parte della sua carriera iniziale, Clint Eastwood dirà di sé che era “un americano, che girava in Spagna con un italiano”. Il legame tra Eastwood e l’Italia è davvero profondo ed è apparso logico che fosse proprio lui a consegnare a Ennio Morricone il primo Oscar®, quello alla carriera, nel 2007.
L’Italia la farà pure vedere dallo spazio, quando dirigerà Space Cowboys con un gruppo di attori tutti anziani e grandi maschere di Hollywood in un film messaggio per chi, nella terza età, si fa ancora valere e riscatta magari le occasioni perdute in gioventù.
Amo Clint Eastwood fin da bambino, fin da quando era il Biondo o il Monco, quando quegli occhi azzurri, costante di tutti i suoi film dietro e/o davanti la macchina da presa, sfidavano in solitudine il potere o le ingiustizie del West: la trilogia del dollaro è ovviamente in bella vista nella mia collezione.
Quanto è cambiato il suo personaggio, sempre pronto a confrontarsi con la morte, inevitabile e leggera in gioventù che diviene inevitabile e pesante nella fase matura.
La morte è leggera quando dice a Piripicchio che le bare sono cinque e non quattro, perché i cattivi non solo lo hanno sfidato ma hanno preso in giro il suo mulo. La morte si fa pesante quando ne Gli spietati, per vendicare una prostituta sfigurata, torna per l’ultima volta cacciatore di taglie e mercenario per uccidere chi aveva mancato di rispetto a una donna: “quando togli la vita a un uomo gli togli tutto”. E la morte diventa senso di colpa ed espiazione in Gran Torino, dove si rivede il pistolero e quella mitica: “Ogni tanto si incontra qualcuno da non fare incazzare” oppure qualcosa di sovranaturale in Hereafter.
E quando i personaggi giovani non sono stati più interpretabili per le rughe, si è affidato ad attori che gli somigliavano, quasi sempre biondi e con gli occhi di ghiaccio, come quel texano degli anni Settanta.
Personalità complessa, probabilmente molto dura: si dice di una figlia parigina che non ha mai incontrato, forse citata attraverso quelle lettere che tornano indietro in Million Dollar Baby, dove non vuole allenare ragazze ma diventa il vero padre di una figlia a suo modo perduta e che cerca nella boxe un riscatto personale; a Maggie “Mo Cùishlee” toglierà la vita per mantenere una promessa, in una scelta coraggiosa da portare sul grande schermo e così ancora poco accettata nella società. In Ancora in gioco il rapporto complesso con una figlia è inizialmente misterioso ma cela una verità apparentemente superata che si svelerà verso la fine.
Che dire di Callaghan, che rappresenta il poliziotto prima contro il potere e poi contro la criminalità: un giustiziere senza mezze misure e con battute rimaste nella storia: “Coraggio, fatti ammazzare” oppure “Sei famoso solo nella tua testa”. Sempre con quello sguardo, sempre con quell’espressione, sempre con la Magnum 44.
E Clint nei film sputa per terra, lo fa come gesto di ribellione, come gesto nei confronti di chi è dalla parte del torto o non vuol capire che superare il limite a volte si deve.
E quando si è messo dietro la macchina da presa ha raccontato l’infanzia rubata di Mystic River e di Changeling, girati senza troppi fronzoli e in maniera cruda ed essenziale, oppure si è dedicato alle biografie e agli eventi storici, raccontando la Seconda guerra mondiale sia dalla parte dei giapponesi che da quella degli statunitensi. Oscillante in politica, sicuramente il tipico americano, raramente si è visto in ruoli romantici, anche se ne I ponti di Madison County offre, al fianco di una straordinaria Meryl Streep, “vive” una pellicola sull’amore incompiuto nella testa ma non nel cuore. “I vecchi sogni erano bei sogni…” e la conclusione è il nostalgico “a una certa età è già qualcosa averli avuti”.
Nel cuore e negli occhi forse la prima sequenza che torna in mente è però il Triello e quel carillon che suona, puro genio musicale, a supporto di un memorabile giro di macchina e di primissimi piani da storia del cinema, con un Lee Van Cleef superba spalla e un Gianmaria Volontè straordinario a tenergli testa. E se invece ripenso al Biondo che Tuco chiama urlandogli: “Ehi Bondooooo, sai cosa sei? Sei un gran figlio di…” con l’urlo che prelude la musica di Morricone insieme alla parola fine, mi ricorda che nei Western degli anni Sessanta si usava cagna o cane e forse Leone, per realismo aveva preferito strozzare una parte della parola.
Che dire, chiudo qui, tanti auguri, grande Clint.
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