Le storie superbe . SUPERBIA
Ha gli occhi stanchi
In 10 Maggio 2020 da Chiara MenardoGuarda il sole che si nasconde dietro le colline mentre il cielo arrossisce, strisce sottili di nuvole diafane e grigie. Alle sue spalle, il blu intenso della prossima notte si fa più invadente.
Sono tutti incastrati lì, in una radura immobile, a osservare i giorni che passano.
Si aggirano ormai come fantasmi.
Seduto sui gradini di legno apre una lattina di birra e se la porta alle labbra. Senza fretta, come al rallentatore. Ha tempo, adesso. Non sa con esattezza quanto ma, in ogni caso, è parecchio.
Sospira e lascia che la schiuma gli scivoli nella gola e rinfreschi l’aria immobile.
China la testa di lato, ascolta gli uccelli che cantano l’ultima canzone prima di riposare e lasciare il posto ai cacciatori notturni che riempiranno l’aria di musiche nuove volando silenziosi come fantasmi per cadere di colpo su topi, ricci e altri incauti animali alla ricerca di qualcosa da mettere in pancia.
Gli animali si muovono pigri, come intontiti.
Si strofina gli occhi stanchi.
Un cerchio, un equilibrio. E ogni giorno c’è un nuovo fiore che sboccia, un uovo che si schiude, una vita che arriva a rimpiazzare tutto quello che se ne va.
Il cigolio del legno che si assesta al suo movimento come una vecchia culla che scricchiola piano. Non ci sono formule magiche. Almeno, non questa sera.
Adesso non c’è nessuno sulle panche inferme del circo che penda dalle sue labbra, aspettando illusioni e magie. Adesso, nella sera che diventa notte ci sono solo lui, il tramonto, la lattina di birra e il vociare dentro le roulotte.
Sono fermi da tanti, troppi giorni. Hanno discusso, parlato, cucinato insieme sul piazzale deserto aspettando il momento in cui avrebbero potuto riprendere la strada verso la prossima destinazione. Il domatore, il clown, la ragazza dei cavalli, la coppia al trapezio… Lentamente, la voglia di stare insieme è scemata, le parole sono finite. Si sono rintanati come talpe ciascuno nella propria roulotte, in attesa che il tempo si increspi di nuovo.
A lui è rimasto il silenzio degli occhi stanchi, la barba che con il tempo da nera come le ali di un corvo si è fatta grigia, le mani pesanti e i tatuaggi che gli disegnano il corpo.
La maga dai vestiti ricamati di piastre d’argento che suonano a ogni piccolo passo, ha gli occhi chiusi, seduta poco distante. Anche i suoi capelli si stanno venando di bianco. Sono sette anni che gli cammina di fianco, in punta di piedi, senza farsi notare.
Prima di lasciarlo da solo davanti alla sera che arriva gli ha sussurrato all’orecchio. E anche oggi, niente formule magiche. Non c’è nessuno da incantare, riposati, non pensare. Forse domani sarà il giorno buono.
Fosse così facile, riflette. Se solo sapesse come togliersi il mantello multicolore cucito sulle spalle. Se avesse il coraggio di spogliarsi davvero di tutto. Ma non c’è coraggio nel mollare gli ormeggi, nessuna virtù nel cedere a sé stessi, ripete.
La sua forza sono le sue litanie per convincere la fortuna a levarsi la benda. Mormorare incantesimi ingenui e prendere per mano gli spettatori del circo nomade che gironzola placido per le piazze di periferia senza smettere mai, senza cedere. Questo è lui, l’incantatore. Stanco, con una lattina di birra tra le mani nella sera che scende.
Nella roulotte accanto, qualcuno sta litigando. Il trapezista e l’addestratrice di barboncini urlano forte. Tra poco, forse, si tireranno i piatti, se non li hanno già rotti tutti. Sospira, alza le spalle, ritorna a perdersi nei suoi pensieri.
Non è null’altro che un gioco innocente, una favola ben raccontata. Oh, lui è bravo a raccontare le favole…
Il mantello e le parole roboanti scovate in un libro ingiallito pescato da un rigattiere tanti anni fa. Un inganno per tirare su qualche soldo tra gli sguardi rapiti della gente seduta sulle seggiole traballanti del circo. Un inchino e una fiamma candida di magnesio, la voce come il tappeto volante che li porta tutti con sé, in alto, altrove, il turbante scarlatto e gli occhi bistrati. Piccole fughe ingenue dalla realtà.
Entra ogni sera dopo i cavalli ammaestrati, prima dei leoni imbolsiti che saltano il cerchio. Le piastre cucite sulla gonna della maga suonano come cembali mentre sgranchisce le gambe prima di correre in scena. Entrambi chiudono gli occhi un istante, poi comincia la musica e la tenda rossa e pesante si alza.
È il momento di alzare le braccia tese sopra la testa ed entrare con passo veloce e sicuro. Il mantello si gonfia, il centro della pista rotonda è solo suo. La luce sul viso, le formule magiche. Una persona del pubblico, poi due, poi tre, le leggo la sorte, io vedo, guardami negli occhi, un battito leggero di mani e sentirai le palpebre pesanti…
Li sa portare là, dove vuole lui, in quel regno fatato tra illusione e giorno che muore, solleva le pene a parole, quindici secondi di speranza, un responso, lo stupore e poi via, un inchino e l’applauso, il mantello che ancora si gonfia come la vela di maestra, altri passi e la tenda pesante che si chiude dietro di lui sollevando piccole stelle di polvere che brillano sotto le luci.
C’è odore di strame e di smog sul piazzale. Le macchine passano rare lungo la strada, il cielo diventa cobalto, si affacciano le prime stelle. Poco sopra l’orizzonte, Venere brilla come un gioiello. Raramente la notte è stata così limpida e tersa. Non c’è un’anima in giro.
Anche i versi degli animali si uniscono agli uccelli notturni a cantare il silenzio. È una sera perfetta, riflette. Con l’aria immobile e tiepida, il vuoto e una birra gelata. Tutto sommato, è bello.
Anche se fosse questa la sua ultima notte, non avrebbe paura, c’è troppa quiete intorno a lui. Ma poi, che ultima notte? Domani sarà ancora lì, in quel piazzale compreso tra una provinciale, un ipermercato e un bosco di pioppi ordinati come fanti schierati per la prossima battaglia.
Ha gli occhi stanchi, la birra si è scaldata e non sa dove saranno domani. Probabilmente ancora lì, dispersi da qualche parte. Incastrati senza poter partire per tornare verso una casa che non ricorda nemmeno più dove sia.
La birra tiepida è finita. Si alza con un gemito. Nella roulotte sta iniziando il telegiornale: forse, domani potranno partire.
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