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Homeland – tra l’11 settembre ed Acchiappa la talpa
In 8 Febbraio 2016 da Francesca ChiarelloChissà perché ogni volta che mi capita di sentire che una serie parla di spionaggio e servizi segreti, io mi ci lancio a capofitto. All’inizio pensavo fosse solo la mia innata propensione ad essere una grandissima ficcanaso, poi ho capito che è il mio essere donna: noi saremmo perfette nella CIA.
Homeland – Caccia alla Spia è una serie prodotta da Showtime e che è già arrivata alla quinta serie dopo una lunga lista di premi – tra cui alcuni Golden Globe ed Emmy vinti dall’attrice che interpreta il personaggio chiave.
Ma andiamo con ordine.
Abbiamo una protagonista femminile, Carrie Mathison. È la classica ragazza della porta accanto: analista della CIA, bipolare drogata di litio, sciatta, con manie di persecuzione, leggermente ninfomane e con il frigo sempre vuoto. Se ci abitate vicino, sprangate le finestre.
Il protagonista maschile invece è Nicholas Brody, un sergente dei Marine ritenuto scomparso in azione durante la guerra in Iraq ma in realtà tenuto prigioniero per otto anni dal cattivo della serie ed istruito per diventare un feroce kamikaze. Feroce, sì. Come la mia gatta alla mattina, quando in cerca di cibo viene a svegliarmi alle 5 con una leccata sulla fronte. Praticamente un invertebrato.
Il nostro invertebrato terrorista, dai capelli rossi e gli occhi azzurri, viene accolto in patria come un eroe di guerra, nessuno si sogna di fargli una domanda in più – magari anche scomoda – per capire qualcosa sulla sua scomparsa. L’unica ad accorgersi che forse c’è qualcosa che puzza è proprio la nostra Carrie. Da manuale.
Carrie trasforma la figura dell’analista in quella del giocatore professionista di acchiappa la talpa. Il gioco è semplice, anche se un po’ traviato: il martello (Carrie) cerca di acciuffare la talpa (Brody) a suon di pedinamenti, finti interrogatori e offrendo tutta se stessa su un piatto d’argento. Non per niente l’ho associata al martello, anche se ancora non rende l’idea.
Matematico che i due si innamorino, che scappino insieme, che lui scopra il doppio gioco, che la abbandoni e che lei sprofondi ancora di più nel suo bipolarismo cronico – che la porterà ad essere rinchiusa in una clinica che usa metodi del 1800.
La serie di per sé è una grandissima americanata, nonostante il soggetto originale sia di Gideon Raff che la scrisse per mandarla in onda in Israele (il titolo originale infatti è Hatufim). Ciò che mi stupisce non è tanto la caratterizzazione dei personaggi principali, ma come certi argomenti vengano trattati. Il bipolarismo, per esempio.
Carrie è bipolare dalla nascita, non ha mai accettto la malattia e rifiuta di curarsi anche da adulta. Il telefilm fa passare il litio come una droga da cui tenersi lontani e la condizione psicofisica di lei come normale. È malata, quindi è normale che passi documenti riservati a persone esterne l’agenzia, che sia una ninfomane ai massimi storici, che sia completamente matta e che metta cimici in qualsiasi macchina che la sorpassi in autostrada. Si parla di un disturbo senza spiegarlo, viene minimizzato e troppo strumentalizzato ai fini della serie.
La stessa cosa per quanto riguarda il terrorismo. Viene preso alla leggera, nonostante sia il tema centrale delle cinque stagioni. C’è il sospetto che Brody sia al Pentagono con un giubbotto carico di esplosivo? Ma sì, che sarà mai? Al massimo ci raccolgono tutti con il cucchiaino da the. C’è da sperare che i famosi Servizi Segreti non lavorino veramente così. Altrimenti si salvi chi può.
È un peccato, la serie sarebbe anche carina, tuttavia stufa. Come stufano i personaggi. Da una serie pluripremiata mi aspettavo quel qualcosa in più che non è mai arrivato. Non è altro che la classica serie post undici settembre, creata per generare panico.
E date le frequenti analogie con gli animali: CIA – ia – ia – o.
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