IRA . Racconti da Kepler
Il Natale di un Kepleriano
In 25 Dicembre 2020 da Il ViaggiatoreMi hanno chiesto di scrivere del Natale. Sono qui da cinque anni, quindi non è il primo che “festeggio”. Magari sarà l’ultimo.
Su Kepler non abbiamo una ricorrenza simile in grado di coinvolgere una parte del pianeta per un rito collettivo che spazia tra religione e laicità, tra spiritualità e consumismo, tra famiglia e solitudine. Sono salito nello spazio, nel silenzio, guardo la Terra, quella che è diventata la mia seconda casa a volte affascinante, a volte insopportabile, a volte deludente. Kepler è là e continua a mancarmi. Adesso direte come capita a chi arriva da lontano: “Torna a casa tua” ma solo perché non capite la differenza tra essere ospiti rispettosi, seppur talvolta trancianti, e avere le proprie origini nel cuore. Il bello del viaggio è incontrare e non comprendete il significato del ritornare, perché fate i padroni in casa di altri con insopportabile arroganza.
Ho imparato tanto su di voi e forse non so ancora nulla. Ci avrò capito poco o forse ho capito tutto. Sento parlare del Natale già a ottobre: chi ci crede e chi lo detesta, chi non vede l’ora che arrivi e chi non vede l’ora che finisca. Quelli che lo passano in compagnia se ne lamentano e lo dicono a chi lo passa da solo: mi ricorda lo stronzo – si dice così, giusto? – pronto a guardare, dopo un pasto in cui si è ingozzato, uno che non mangia e gli sottolinea il proprio bisogno di mettersi a dieta.
Se vi sembro arrabbiato non lo sono, mi pare di essere molto oggettivo, qualcosa che manca spesso ai predicatori dei Social e del bar (spesso non c’è differenza), geni con soluzioni e opinioni su tutto seppur fatichino a mettere in fila una frase grammaticalmente corretta. Il finto buonismo che poi pervade molti è peggiore della cattiveria: almeno questa è sincera, sana e per nulla illusoria.
Il vostro Natale lo vedo come una festa spartiacque: il primo vero giorno dell’anno, perché conti chi rimane e pensi a chi non c’è più. Insomma, è più una giornata della nostalgia, della sedia attorno al tavolo che rimane vuota oppure occupata da un altro.
La retorica parlerà di un Natale diverso, alla fine di un anno difficile da tutti i punti di vista e contrassegnato da una pandemia. Alibi, solo un alibi, un chiacchiericcio per ingannare il tempo, per riempire la bocca mentre ci si ingurgita ogni tipo di leccornia sputando il pepe dal salame e il candito dal panettone. Se sei lì a dirlo, vuol dire che è cambiato davvero poco: è solo pontificare ed esorcizzare qualcosa toccato per tua fortuna ad altri.
Ho deciso che nel pomeriggio mi vestirò con il giaccone più imbottito e accogliente del mio armadio e non mancherà la cuffia per tenere al caldo quei pochi neuroni che ho conservato. Vivo in una zona fredda ed è meglio essere previdenti. Voglio rivivere l’esperienza di una persona che qualche anno fa passeggiava da solo per le strade della sua città e aveva finito la giornata guardando dalla finestra il freddo silenzio che c’era fuori per non sentire quello che aveva dentro. E il mug fumante di tè era solo un palliativo e uno sbuffo di vapore su un vetro. Quando mi ha raccontato questa cosa mi ha detto della personale promessa: in qualunque modo potesse avvenire non sarebbe stato più così.
Aveva ragione, Natale non è un giorno come un altro: chi te lo dice ti piglia per il culo mentre scarta pacchetti, ride in compagnia e ammira la tavola dove ha la sua famiglia. Lamentandosi ma con il terrore di non poterlo più fare.
Buon Natale, quello vero.
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