
INVIDIA . Lector In Invidia
Preferisco una terrazza
In 28 Marzo 2019 da Attilia Patri DPL’intento del congresso è unire e far collaborare leader, organizzazioni e famiglie per affermare, celebrare e difendere la famiglia naturale come sola unità stabile e fondamentale della società, in quanto la famiglia è l’istituzione sociale originaria che getta le fondamenta di una società moralmente responsabile.
Queste le parole degli organizzatori del XIII Congresso Mondiale delle Famiglie (WCF) che si terrà a Verona dal 29 al 31 marzo.
Verona, Capuleti e Montecchi, Romeo e Giulietta, l’archetipo dell’amore perfetto che sarebbe sfociato magari in un matrimonio perfetto se gli eventi non avessero soffiato e agito diversamente.
Resta una casa, un balcone; resta un’idea romantica e romanzata di famiglia che poteva essere e non è stata. Una Mulino Bianco di altri tempi stroncata dalle fazioni e dal destino.
Verona e Palazzo della Gran Guardia, sede degli incontri, e gli occhi dell’Italia e dell’estero puntati addosso per quel patrocinio della Presidenza del Consiglio dei ministri – Ministro per la Famiglia e la Disabilità prima concesso e poi rimosso, per la partecipazione, comunque, di rappresentanti importanti del Governo, e perché, per la prima volta da quando è nato, il Congresso vedrà, in parallelo, lo svolgersi di una manifestazione di protesta imponente, organizzata dal movimento femminista Non Una di Meno – impegnato nella difesa dei diritti civili di tutti e della libertà delle donne – alla quale aderiranno altre associazioni, movimenti nazionali e internazionali, sindacati, e che avrà il sostegno di parte dell’Università di Verona con un appello firmato da cinquecento accademici.
Verona nell’occhio del ciclone, dunque, compressa tra più moderne fazioni a esporre e controbattere idee, concetti, a suon di slogan più o meno accattivanti, dall’una e dall’altra parte.
Verona che ospita quel Congresso nato a Mosca, nel 1995, dall’incontro tra l’americano conservatore Alan Carlson che si era opposto all’aborto, al divorzio e all’omosessualità durante l’amministrazione Reagan, e il sociologo russo Anatoli Antonov che attribuiva al movimento femminista e alla liberazione sessuale il timore di un imminente crollo demografico. La loro organizzazione era fondata sul ruolo centrale della cosiddetta “famiglia naturale”, quella formata da un uomo e una donna uniti in matrimonio e non prevedeva, nelle fasi iniziali, alcun progetto politico o ecclesiastico. Partiti e Chiesa entrarono in gioco successivamente dando il via ad una azione sempre più coordinata contro quelli che venivano considerati i nemici assoluti di una società fondata sulla moralità: divorzio, omosessualità, emancipazione femminile.
Il primo WCF si tenne a Praga nel 1997. Seguirono Ginevra nel 1999, Città del Messico (2004), Varsavia (2007), Amsterdam (2009) e Madrid (2012); poi la crescita con la diffusione di numerose reti locali, l’affiancarsi di gruppi omofobi e antiabortisti, di studiosi, di leader politici e religiosi, di sostenitori delle destre: i congressi ebbero cadenza annuale trascinando, nella città ospite di turno, l’agenda ideologica con la famiglia tradizionale, patriarcale ed eterosessuale, preferibilmente sposata in Chiesa, come paladina di ogni virtù, e scagliandosi contro l’aborto e i diritti riproduttivi, i matrimoni gay e tutta la sfera LGBT (lesbiche, gay, bisessuali, transgender), contro il divorzio e gli studi di genere. Per rafforzare le loro tematiche finanziarono una serie di studi e ricerche pseudoscientifiche (i cui risultati furono ampiamente screditati) al fine di dimostrare un peggior stato di crescita nei bambini/e delle famiglie omogenitoriali, un nesso tra aumento della pedofilia e famiglie omosessuali, una maggior incidenza del tumore al seno in seguito ad aborto.
Verona, e non a caso. Verona che nel 1995 fu la prima ed unica città italiana ad approvare una mozione contro gay, lesbiche e trans, sottraendosi alle direttive europee varate l’anno precedente. La stessa Verona che, nell’ottobre del 2018, ha approvato una mozione che dichiarava “Verona città a favore della vita” e impegnava a finanziare, con soldi pubblici, le associazioni legate ai movimenti antiabortisti. Verona che vuol proporsi come Comune all’avanguardia, promuovendo rilancio demografico con la limitazione del ricorso all’interruzione volontaria della gravidanza, e punto di riferimento per le comunità pro-life presenti sul territorio nazionale. Verona e la sua auto celebrazione:
Orgogliosa di diventare laboratorio di idee e di iniziative che promuovano la difesa della vita, dal concepimento alla morte naturale, e della famiglia nel rispetto delle preziose diversità tra uomo e donna.
Si parla di famiglie ma in realtà è valido e accettabile solo un modello di famiglia, quella più classica possibile, più borghese, più tradizionale, naturalmente contraria all’aborto, al divorzio, con un padre orientato all’esterno, al lavoro, per assolvere alle necessità economiche del nucleo familiare, una madre per lo più accudente, a casa, a disposizione per le necessità pratiche e affettive della prole composta da uno o più figli. Un modello estremamente limitativo. In sostanza un bel quadretto antico intriso di retorica.
Secondo questo rituale è difficile chiamare famiglia un rapporto di coppia non suggellato da carte bollate, anche se ci sono figli naturali, e si vive insieme in pianta stabile. Stessa cosa per le famiglie mono genitoriali, considerate, in base ai parametri qualificanti, monche. Si negano le forme di famiglia omosessuale indipendentemente dal diritto e dalle leggi a supporto.
Il Congresso sembra sempre più la celebrazione di un ritorno al Medioevo e all’oscurantismo, e Verona sembra aver inforcato la strada della negazione di diritti che dovrebbero essere ormai assodati diventando la nuova piazza nazionale del buio illuminato dai roghi sui quali arroventare i soliti, quelli ritenuti diversi, negando parità e promuovendo, di fatto, discriminazione e razzismo.
Verona e la sua crociata per l’imposizione di un modello di famiglia tradizionalista, stile Anni ‘20, patriarcale, e che, inevitabilmente, ha come bersagli le donne che lavorano (mentre dovrebbero fare altro), l’uguaglianza di genere nei diritti e nelle libertà individuali e progressiste, “attaccano le donne per ridurle a funzioni riproduttive e domestiche e per condannarle a un destino biologico”. Non c’è spazio per le persone LGBT, non c’è quasi spazio nemmeno per le donne che hanno lecite aspirazioni e vogliono prendere le proprie decisioni liberamente, senza dover seguire modelli imposti. Si parla, in teoria, di famiglia e di aiuto alle famiglie. In realtà non ci si preoccupa più di tanto dell’aumento delle dimissioni volontarie dal lavoro da parte delle donne o delle denunce di dimissioni forzate per maternità. La maternità così esaltata dal Congresso, terra terra, può essere letta come pretesto per escludere le donne dalla vita pubblica, per relegarle a ruoli subalterni al coniuge, tra pentole e pavimenti da lucidare, per realizzare “la bellezza del matrimonio”, quella bellezza del matrimonio posta al primo punto nell’ordine del giorno del Congresso.
Congresso che si annuncia con toni falsamente pacati e immagini suadenti di bambini e famiglie alla stregua di eroi, un immaginario da film Disney, sorretti da un linguaggio patinato, quasi pubblicitario, ricorrendo a termini come amore, vita, diritti umani, bellezza, sostegno alla maternità. La parola d’ordine sembra essere quella di “indorare la pillola”, di edulcorare di retorica la possibilità di “non-scelta” al di fuori della loro ideologia: se non si rientra nella definizione di “famiglia naturale”, si è nel peccato, si mette in crisi la società, si rischia la parabola discendente e inarrestabile del calo demografico. Non si attacca direttamente l’aborto ma si parla di salvaguardia della salute e della dignità della donna, si cerca di solleticarne l’istinto materno, si fanno giri di parole rassicuranti, mentre si vorrebbe spazzare via, il più rapidamente possibile, sia l’interruzione volontaria di gravidanza che la possibilità di avere figli attraverso la scienza.
Le voci dei relatori internazionali al Congresso saranno, tra le altre, e come riportato da più fonti, quelle di Lucy Akello, ministro per lo sviluppo sociale in Uganda, che vorrebbe punire con la pena di morte l’omosessualità; quella di Theresa Okafor, parlamentare nigeriana, che nel suo Paese si è spesa per approvare una norma che vieta i matrimoni gay e prevede la reclusione fino a quattordici anni per chi dichiara di amare una persona dello stesso sesso; quella di Dimitrij Smirnov, esponente della Chiesa ortodossa, che ha definito assassine e cannibali le donne che decidono di sottoporsi a interruzione di gravidanza; quella di Brian Brown, fondatore dell’IOF, secondo il quale gli aborti sono la prima causa di femminicidio; quella di Igor Dodon, presidente moldavo, che ha sempre espresso posizioni di omofobia; quella di Alexey Komov, ambasciatore dell’Organizzazione Internazionale della Famiglia, per il quale “lo stile di vita omosessuale non è salutare e l’introduzione dell’educazione sessuale nelle scuole è un complotto di Soros”.
Per quanto riguarda l’Italia vedremo al Congresso, e li elenco in modo neutro, il ministro dell’Interno Matteo Salvini, il ministro della famiglia Lorenzo Fontana, il ministro dell’istruzione Marco Bussetti, il senatore Simone Pillon, la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, la parlamentare di Forza Italia Elisabetta Gardini, più il presidente della regione Veneto Luca Zaia, il presidente della regione Friuli Venezia Giulia Massimiliano Fedriga e il sindaco di Verona Federico Sboarina.
Verona e le sue nuove fazioni. Verona e la non-scelta. Verona e l’imposizione. Verona e le famiglie del Mulino Bianco che tali non sono più neanche nelle pubblicità e tantomeno nella cronaca quotidiana.
Verona non più solo Capuleti e Montecchi, Romeo e Giulietta.
Resta una casa, un balcone. Un balcone che non sembra più lo stesso balcone che fu testimone dell’archetipo dell’amore perfetto.
Resta un balcone che ricorda un altro balcone, quello che fomentava la folla.
Ecco, preferisco una terrazza: si respira più aria.
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