
INVIDIA . Lector In Invidia
17 march 1861
In 20 Ottobre 2016 da Attilia Patri DPCapita che qualche Italiano con figli si trasferisca all’estero e che qui trovi lavoro, casa, si inventi una nuova vita con una nuova lingua parlata e scritta, e si costruisca un futuro non rinnegando i ricordi e le origini nel Paese natale.
Capita, come è naturale che capiti, che i figli crescano e arrivi il momento dell’iscrizione a scuola tramite i soliti moduli che, in genere, richiedono i soliti dati: nome, cognome, anno e luogo di nascita, residenza, nome e cognome dei genitori, ecc. ecc.
Capita solo nel Regno Unito che, ai figli degli Italiani, al rigo “luogo di nascita” corrispondano tre opzioni: Italiano, Italiano napoletano, Italiano siciliano.
Capita che, a questo punto, i genitori, per quanto cerchino di rimanere calmi e mantenere l’aplomb tipico londinese che hanno acquisito nel tempo, intravedano in quel quesito una discriminazione che li urta nel profondo.
Capita che la cosa arrivi all’Ambasciata d’Italia nel Regno Unito e venga portata all’attenzione del suo responsabile, tale dott. Pasquale Terracciano che, nel rigore dei codici della diplomazia, fa presente, non senza una punta di sarcasmo, al Foreign Office (e da qui agli uffici delle circoscrizioni scolastiche britanniche e a chi sottende alla burocrazia di Sua Maestà) che “Siamo uniti dal 1861”.
E’ capitato, ma ai Londinesi è evidentemente sfuggito, che, ad un certo punto della Storia d’Italia, si sia detti “addio” a quell’agglomerato di Regni, Stati, Ducati a favore di un complesso unico, l’Italia di adesso e potessero formarsi quelle classi scolastiche modello Maestro Perboni del libro “Cuore” dove “un piccolo Italiano nato a Reggio di Calabria” avesse l’opportunità di incontrare il piccolo patriota padovano e la piccola vedetta lombarda, oppure il piccolo scrivano fiorentino piuttosto che il tamburino sardo, ma anche Ferruccio della Romagna e l’infermiere di Tata da Napoli senza tante discriminazioni e all’insegna dei buoni sentimenti.
La gaffe di Londra ha varcato i confini della Manica e ha cominciato a girare vorticosamente su tutti i mezzi di informazione e se inizialmente sembrava una classica notizia bufala, in breve tempo si è rivelata come autentica scatenando risposte indignate da più parti. La risposta ovviamente più importante, cioè quella del portavoce del Governo britannico, non si è fatta attendere: si è scusato dicendo che si trattava di un “errore storico” in quanto il questionario era in essere dal 2006 e che era stato approntato non per “schedare” ma proprio in nome del “multiculturalismo” e da non collegare assolutamente al più recente “effetto Brexit” assicurando, inoltre, che il modulo sarebbe stato immediatamente corretto. Messa cosi, cioè sul multiculturalismo, a questo punto, avrebbero dovuto offendersi i Calabresi, i Sardi, i Pugliesi, i Milanesi, i Torinesi, i Veneti, i Romani che non essendo stati citati nelle opzioni sembra che non abbiano una loro cultura da ricercare nelle proprie radici.
La cosa comunque che doveva essere più urgentemente chiarita è sembrata essere, in primis, “non è un effetto della Brexit!”. E, in effetti, l’effetto Brexit sembra stare alla larga non solo dalla scuola ma anche dall’Università dal momento che gli studenti stranieri potranno ancora avvantaggiarsi, per l’anno accademico 2017/18 e per tutta la durata del ciclo di laurea, delle agevolazioni stanziate dal Regno Unito.
Diamo pure a Cesare quel che è di Cesare ma non è che il Regno Unito stia facendo un favore a senso unico agli studenti stranieri; darà pure degli aiuti economici ma sa che sono destinati a ragazzi/e che vedono l’Università estera come il trampolino di lancio nel mondo del lavoro nel Paese stesso dell’ateneo, sono ragazzi/e fortemente motivati, no perditempo, che staranno lì grazie ad una certa media di voti, che si formeranno con i loro aiuti e i loro metodi ma che sono pronti anche a rimanere a lavorare nelle loro imprese e alle loro condizioni.
Il “favore” quindi è reciproco: un aiuto per un cervello in fuga e, probabilmente, alla lunga avrà da guadagnarci più il Regno Unito e, per il momento, prima di altre gaffes, è bene che si ricordi che siamo uniti dal 1861. Per la precisione: 17 march 1861.
Ma sarà poi vero che abbiamo abbandonato la divisione in Regni, Stati, Ducati, ecc.? Nella cartina fisica e politica dell’Italia è storicamente confermato ma, mentalmente, abbiamo superato confini e divisioni? Vediamo.
Regno di Sardegna: è il regno della vacanza per antonomasia. Agli Italiani piace il mare e, se mare dev’essere, meglio quello della Sardegna. Magari non sanno nuotare, hanno paura dell’acqua, al massimo ci bagnano i piedi per ammorbidire i calli ma l’acqua deve essere quella delle coste sarde e non si smuovono da questo convincimento. L’Italia ha un patrimonio insulare costituito da un’ottantina di isole abitate e variamente dislocate ma non c’è niente da fare: si va in Sardegna!
Regno Lombardo-Veneto: è il regno della produttività, delle industrie e dei capitali sociali, modello economico che più si avvicina all’Europa, biglietto da visita da esibire in contesti internazionali, regno dei cervelli che non vogliono fuggire troppo lontano, regno di shopping. Di dove sei, dove abiti? Milano. Milano?!? Oooh! Senza nulla togliere ai Milanesi, nella provincia funziona così: se uno è di Milano è già su un piedistallo; magari fa il lavavetri ai semafori però lo fa a Milano. A Milano, vuoi mettere? E vuoi mettere andare a far shopping a Milano? A Milano da Vuitton? Macché! Da Zara e H&M, però a Milano altrimenti è da poveri. Sarà! C’è da commuoversi!
Stato Pontificio: dovrebbe essere ridotto a “Stato della Città del Vaticano”, solo 44 Km quadrati di superficie eppure, anche con quella poca estensione, esercita un’influenza non da poco a livello mondiale. L’Italia, 340 Km quadrati di superficie sembra più di altri Stati subire la succitata influenza dei confinanti 44 e la stessa capitale, Roma, un po’ è offuscata dalla presenza, a tratti invadente, della città concorrente. Se dici Roma, ai più, prima ancora del Colosseo viene in mente il Papa. Potrebbe essere, ed è, a livello turistico un reciproco vantaggio ma, ad altri livelli ogni Stato dovrebbe agire per sé, in modo autonomo e l’Italia mantenere una laicità assoluta.
Regno delle Due Sicilie: sempre alla ribalta! Vuoi per il discorso sul Ponte sullo Stretto da tirar fuori in certe circostanze, vuoi per la Caserta-Reggio Calabria che prima o poi finirà e quindi proiettata sempre al futuro, vuoi per il clima che va dai quartieri “caldi” di certe zone alle spiagge sicule dove poter fare il bagno anche a ottobre, vuoi per il Commissario Montalbano che torna ogni anno in tv, vuoi per qualche episodio di impronta mafiosa (non solo lì, eh), vuoi per Tim Cook che ha scelto Napoli per investire in Italia. Insomma, in due parole: “tanta roba”.
Ducati: ovvero le terre di Provincia. La Provincia piatta, un po’ stentata e dormiente che ci si ricorda che esiste solo quando salta alla ribalta della cronaca ordinaria di tutti i giorni e sempre uguale a se stessa. La Provincia che guarda un po’ spiona e vorrebbe somigliare alle grandi città ma niente da fare, se non per quel tentativo di apericena imperante che fa tanto “Milano da bere” ma, in realtà, da bere ormai c’è ben poco.
Gran Ducato di Toscana: è il biglietto da visita culturale e turistico per gli stranieri a zonzo per l’Italia. Terra de Medici e di Rinascimento che tante impronte hanno lasciato nella storia, nella cultura e nell’arte. Terra di Dante, Brunelleschi, Leonardo, Michelangelo, Machiavelli (tanto per citarne alcuni) e di Renzi, ma il nesso è puramente casuale e serve a riportarci a oggi.
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