
INVIDIA . Lector In Invidia
E il caso crea eroi
In 26 Gennaio 2017 da Attilia Patri DP“Quando si è giovani è strano poter pensare che la nostra sorte venga e ci prenda per mano” – Francesco Guccini
“Chi salva una vita, salva il mondo intero” – Talmud
In due citazioni la sintesi di una tragedia che potremmo raccontare così, immaginando per sottofondo Guccini che, con ben assestate e brevi pennellate di parole, inquadra luoghi, situazioni, sorpresa, dolore che si interroga e disperazione che non sa darsi risposte.
Quando: intorno alla mezzanotte che divide il finire del 20 con il cominciare del 21 gennaio 2017.
Dove: A4, Torino-Sistiana verso Trieste, da Ovest a Est senza soluzione di continuità, lunga e diritta come la pianura che attraversa. La chiamano Serenissima anche se, ad un certo punto, a Verona Est direzione Venezia, serenissima oggi non è più.
Chi: un pullman granturismo con un carico allegro in divenire come solo in divenire può essere un gruppo di ragazzi tra i 14 e 18 anni di ritorno da una vacanza in Francia per la settimana bianca con la scuola, Liceo Classico Szinyei Merse Pal, Budapest, Ungheria. Poco più di una cinquantina gli occupanti tra studenti ( in prevalenza), insegnanti accompagnatori, qualche genitore e i due autisti; in prevalenza prima giovinezza in tasca e futuro davanti agli occhi da raggiungere, passo dopo passo, con l’aiuto degli insegnanti accompagnatori di un percorso di vita.
Come: in solitaria contro un pilone giustamente saldo, resiliente, immobile e granitico che impatta e accende di scintille e fiamme il mezzo meccanico.
Perché: al perché puramente tecnico risponderà la Magistratura dopo i doverosi accertamenti. Per gli altri perché, quelli dell’anima, ci verrebbe da dire “Bella domanda! Voglio quella di riserva”.
Un attimo prima meno tre grandi sotto zero, un attimo dopo caldo infernale e non è colpa dell’abusato “non ci sono più le stagioni di una volta”. Un attimo prima buio pesto che conforta il sonno di chi, raccolti i ricordi di risate e bravate tipiche delle gite scolastiche, si addormenta arrotolato su se stesso aspettando il momento di raccontare le mitiche imprese ai genitori e agli amici che ne attendono il rientro; un attimo dopo luce abbagliante che tutto rischiara e spinge sui corpi, a caso, in qualche direzione, verso sensi unici che indirizzano al proseguirsi dei giorni comunque diversi, per alcuni, a stop definitivo per altri.
Il fine corsa si presenta così: un pilone, un prendere fuoco di tutto e qualcuno o qualcosa che decide il tu sì, tu no, tu forse della situazione.
Prima tutto era dinamica, forte la mano teneva il volante, poi, di colpo, la statica, il rien ne va plus e solo dinamica residua, di secondo livello, di possibile fuga. Forte il motore cantava prima, un momento dopo solo il rumore del silenzio accompagnato da crepitio e grida.
Nel sistema cartesiano del Destino hanno agito tante variabili incentrate e come incapricciate su quel momento preciso, a quel chilometro fatto di metri e quel capitare un metro avanti o indietro. Perdita di controllo del mezzo o guasto meccanico, un metro avanti o indietro avrebbe fatto la differenza: probabile incidente sì ma non così devastante, devastante umanamente. Un po’ come se tra le variabili si fossero trovate le tre donne che spesso accompagnano la vita di tutti, Sorte, Fortuna, Morte.
Tre donne per strada che, come donne da strada, aspettano che qualcuno si fermi e le carichi così come si presentano, ognuna con le proprie precise pretese non trattabili.
Vicino al pilone Sorte era un po’ infreddolita, annoiata e attendendo giocava ai dadi lanciandoli e riprendendoli nel tentativo di scaldarsi le mani che le sarebbero servite da lì a poco, pronte e ben salde, per afferrare, anche solo per i capelli, qualcuno; un po’ come la giostra del calci in culo con quei seggiolini che tutti lanciano verso il pennone per strappare il fiocco del giro gratis e spesso non colto ma solo sfiorato da dita non pronte. Sorte, dunque, come in allenamento, si stava esercitando e riscaldando.
Fortuna, fra le tre, era la più baldanzosa ben conscia di essere così elitaria da potersi concedere a pochi anche se, per esperienza, sapeva che tanti illusi, da sempre, si fermavano agli autogrill cercando di comprarla e possederla per sempre a suon di gratta e vinci e biglietti della lotteria. Ammiccava Fortuna ma si ritraeva svelta alle mani protese anche se qualche volta si concedeva per ricordare e dimostrare la sua invisibile presenza.
Morte camminava avanti e indietro con quell’aspetto sempre affamato, quasi bulimico pozzo senza fondo e tra sé e sé faceva il conto delle calorie adottando il principio del nutrirsi bene per vivere al meglio. A modo suo già pregustava, anche solo con l’idea, tutto quel ben di dio caldo e tenero che di lì a poco le sarebbe stato servito: un abbondante filetto in crosta a mezzanotte.
Allo spuntare dei fari mentre il pilone si fa calamita che seduce e attrae, tutte e tre, svelte, con le loro movenze, si apprestano ad avvicinarsi e ad offrirsi con la loro mercanzia in offerta speciale per comitive.
Impatto, buio, fumo. Alcuni vengono sbalzati fuori, altri trovano porte bloccate mentre il fuoco con le sue tante lingue impoverisce l’aria e crea sipario. Con convinzione un ragazzo prende un martelletto di sicurezza e rompe i finestrini correndo con coraggio su e giù lungo il pullman per romperne il più possibile ma, dopo aver agevolato la salvezza di diversi compagni di viaggio, non riesce a salvare se stesso; dalla corriera non è mai uscito. E’ rimasto inghiottito all’interno con il martelletto in mano o accanto, non ha importanza, a simbolo di medaglia che fa vincere la squadra e la porta vittoriosa fuori dal girone di eliminazione.
Il bilancio è pesante: sedici ragazzi perdono la vita, praticamente nel sonno. Sonno come placebo di consolazione, un quasi conforto; il sonno come momento attutito di passaggio tra un di qua e un di là, qualsiasi forma e luogo abbia e sia il di là.
Tra i sedici studenti anche Laura e Balazs i due figli del professor Gyoergy Vigh che non ha esitato, incurante delle proprie ustioni profonde, ad entrare e uscire dall’autobus in fiamme portando fuori ad uno ad uno alcuni studenti fino a cadere, crollando al suolo. Fuori e dentro dalla trappola di fuoco aiutando, come un ostetrico improvvisato, la rinascita di figli di altri genitori e ben poco potendo per i propri. L’atto eroico è lì: l’aiuto all’altro senza poter far nulla per aiutare i propri, la carne della propria carne e per aiutare se stesso, la salvezza semplice dalla domanda impegnativa “perché io sì e loro no”.
Eroe per caso e per coscienza che poi, se vogliamo, un pò eroe lo era già prima nel momento stesso in cui aveva accettato di accompagnare una scolaresca in vacanza per tutto il carico di responsabilità che ciò comporta.
Nella hall dell’Hotel più vicino vengono ospitati i tredici ragazzi illesi e, man mano, a questi si ricongiungono quelli feriti lievemente con cerotti e bende sul corpo e sbigottimento nell’anima che trasuda stupore dagli occhi. Occhi impreparati perché, Guccini docet, quando si è giovani è strano poter pensare che la nostra sorte venga e ci prenda per mano. Ragazzini sconvolti che non sanno ancora se i loro insegnanti sono vivi, chi dei loro compagni di scuola non ce l’ha fatta, chi non sa nemmeno come è riuscito a salvarsi; c’è chi messaggia via WhatsApp con i compagni rimasti a casa. La tragedia viaggia sui Social ma è soprattutto e rimane una tragedia.
Da Sarnico dal Lago di Iseo arriva un gruppo di ungheresi in Italia da quasi vent’anni. Si offrono come interpreti mentre portano coperte, piumini, scarpe perché serve tutto se in quel momento non hai più niente. Portano conforto come possono e che serve per coprire almeno il corpo contro i rigori del freddo; per il resto, per le domande e le risposte serviranno e arriveranno gli psicologi. Persone, cose e competenze che si offrono e basta. L’incidente assurge a simbolo di rito sacro con il suo offertorio che, se tutto non può salvare, disvela, almeno, carichi di straordinaria umanità.
Del pullman non è rimasto più nulla, solo lo scheletro di acciaio annerito dal fumo: niente finestrini, carbonizzati i sedili, un telo enorme a coprire quella tomba collettiva.
Per gli altri, per i presenti sul registro delle probabilità positive, per i promossi al futuro è tempo di tornare a casa ognuno con il proprio bagaglio di esperienza chiuso nell’intimo; un frullato di dolorosa tristezza e di resilienza e si va avanti.
Un ritorno a Budapest pesante anche per il professor Vigh, carni bruciate e cuore ripiegato, rinsecchito e la devastazione di un attimo che è stato trampolino di lancio tra un prima appagante e un dopo che a fatica si può riconoscere e accettare come proprio destino ultimo. Il destino del sopravvissuto, del graziato dalla mano di Sorte, Fortuna, Morte che se lo sono giocato sul tavolino delle probabilità.
Se è vero però, come è scritto nel Talmud, che Chi salva una vita, salva il mondo intero allora al professor Vigh potrebbe rimanere questa consolazione per riempire di significato la propria vita futura e quella dei suoi studenti ai quali ha impartito, a Verona Est, fuori sede, senza cattedra davanti, fuori dal contratto puramente lavorativo, una straordinaria lezione di vita.
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