Io e il dottor Zeta, la ragazza Ics ed io
Zeta #4
In 22 Dicembre 2022 da Debora BorgognoniLa tavola calda è pullulante di ragazzi. Ci sarà qualche sciopero dei professori.
Mentre cerco un tavolo, mi viene voglia di fermare uno di quegli studenti e chiedergli: «Ehi, tu, amico, come mai non siete a scuola stamattina? Fai largo, ché mi metto qui; ho quasi cinquant’anni, sai, ma non avendo un cazzo di nessuno, mi sento ancora un ragazzino. Dai, non guardarmi così, sembro vecchio ma non lo sono davvero, parola mia!».
Mi accorgo che sto fissando un ragazzino negli occhi e forse sto pure sorridendo. Quello si gira dal suo amico e mette la mano vicino alla bocca, mentre l’amico mi osserva con aria di sfida. Ho invaso il loro spazio?
I ragazzi sono permalosi. Sembrano tutti uguali, e penso a quanto sia inutile fingere di essere uno di loro; nemmeno nella fantasia funzionerebbe. Loro sono magri, non come ai miei tempi. Ai miei tempi, chi era magro era solo perché era un po’ sfigato, i magri sembravano goffi. Eravamo tutti in carne, mangiavamo cose preparate dalla mamma, i sughi pieni di olio con dentro i pezzetti di cipolla, che noi immancabilmente scartavamo sul bordo del piatto perché dovevamo fare gli schizzinosi. Questi, invece, mangiano panini e bevono birra ma rimangono mingherlini, e i jeans scendono loro sul culo mostrando il boxer di Calvin Klein che fa tanto moda. Se li arricciano sopra le caviglie e lasciano fuori le scarpe tutte colorate da finto calcetto. Sopra, indossano t-shirt con le scritte, che sembrano appariscenti ma sono soltanto dignitosamente nuove. E poi portano i capelli cortissimi. Ai miei tempi eri figo solo se li avevi lunghi e se puzzavi pure un po’. Più avevi i capelli lunghi e più puzzavi, più le ragazze ti consideravano un dio. A pensarci bene, eravamo proprio strani. È più logico apprezzare un ragazzo magro e vestito di nuovo, coi capelli corti e la faccia pulita. Ma ogni tempo lascia dei prodotti sociali; capirli non ha molto senso adesso, dal momento che sono sempre stato fuori luogo. Prima quanto adesso.
Una ragazza mi tocca col suo zainetto. È incredibilmente pieno. Sarà una secchiona, una di quelle che hanno la scoliosi e portano gli occhiali spessi, e che non vanno mai a scuola senza libri, astuccio, compiti fatti e diario in perfetto ordine. La guardo di schiena e mi sembra che avanzi in modo lento e curvo. Poi si gira. Niente occhiali, niente timidezza. Ha una pelle immacolata, occhi allungati e sinceri. Verdi. Fisso anche lei.
Sembro un pesce fuor d’acqua. Un pesce in questo acquario che non può contenere la mia personalità e la rimanda all’esterno come una cosa strana che si è trovata in un habitat non suo da molto tempo.
Ma poi chissà se mai lo è stato.
Una ragazza mi parla. Dice che lei se ne sta andando, e che, se voglio, posso sedermi lì. Ci mancava. Il giovane ben educato che cede il posto al vecchietto, come un segno di pace, la buona azione della giornata.
Ringrazio e mi siedo. Guardo svelto il menu, mentre con la testa non sono lì. Non sto capendo un bel niente di quelle porcherie condite che riporta la carta. Penso solo a quella ragazza dagli occhi verdi che credevo bruttina e che mi ha stupito per la sua grazia.
Ci sto pensando perché il suo viso mi ha ricordato lei. Quell’incontro di qualche anno prima, quel non-luogo della mia mente e della mia vita che è finito con un tonfo inaspettato e persino un po’ melodrammatico.
Si chiamava Serena. Aveva uno sguardo pieno di vita e sembrava che quel nome fosse entrato davvero in quel corpo per rendergli giustizia.
Sono stato subito attratto da lei: io sono sempre attratto dalle donne molto giovani, e forse proprio per questo non vorrei mai avvicinarle. Avevamo molti anni di differenza e Serena era appena maggiorenne, ma dimostrando una certa maturità mi aveva fatto credere senza problemi di essere più vecchia, pur senza dirmi l’età. Diciamo che non gliel’ho mai chiesta, dando per scontato che fosse adulta.
Aveva il caschetto nero con la frangetta e gli occhi grandi e verdi. Sembrava proprio l’eroina del mio fumetto preferito, quello di Crepax: Valentina. Da giovane ho passato giornate e nottate intere a sognare quelle forme sinuose, quell’aria che alternava innocenza a malizia. Per questo motivo, quando l’ho vista, ho pensato che difficilmente sarei potuto sfuggirle.
Serena è fuori dal mio palazzo, appoggiata al muro con la schiena e un piede, come una che aspetta qualcuno. Quando incrocio il suo sguardo, lei, senza alcuna timidezza, abbassa gli occhiali da sole sul naso, e mi guarda con un mezzo sorriso. Istintivamente mi volto indietro per capire se ce l’ha con me. Capita spesso di essere un tantino presuntuoso nel pensare che una bella donna ti stia sorridendo, mentre poi magari hai alle spalle un uomo palestrato e giovane, con un mare di capelli e la camminata robotica.
Non c’è nessuno. Lei sorride a me. Non ho il coraggio di farmi troppe domande, per quelle c’è tempo, e poi voglio gustarmi quel momento di soddisfazione senza razionalità. Nel mio corpo lottano due omini totalmente opposti. Vince sempre il bianco, e se per una volta provo a dar piacere al nero non è un grande peccato.
«Buongiorno. Serena Dini. La stavo aspettando». Allungandomi la mano mi fa capire che sarà una conoscenza di lavoro.
«Serena Dini? E cercava me? Ne è proprio sicura?».
Si mette a ridere. La sua risata è contenuta. La ritengo subito una cosa positiva.
«Scusi se non l’ho chiamata per chiederle un appuntamento, ma mi trovavo da queste parti e ho preferito parlarle di persona. Sono un’aspirante giornalista e vorrei stupire la rivista per la quale scrivo con un’intervista milanese D.O.C. Sa, ho letto i suoi libri e sono rimasta molto impressionata, per cui, se le va, potremmo fare due chiacchiere. Che ne dice?».
Mi sembra che il petto si gonfi improvvisamente. Gli uomini sono pavoni e ci vuole poco per farli felici. Le donne hanno vita facile con noi, non capiamo mai la loro indole machiavellica, così capita che alla fine ci sfilano ogni cosa da sotto il naso. Forse ci reputiamo solo superiori, pur non potendoli essere e senza nessuna prova a sostegno di questa tesi.
Serena, poi, ha una carica erotica innegabile, pur dimostrando addirittura un certo pudore. È elegante, sicura ma senza eccessi, ha un fascino che non ostenta, non ne ha bisogno, perché lo conosce e lo trattiene.
Io balbetto qualcosa, poi lei capisce che ho già risposto di sì, anche se di fatto non mi è ancora uscito, e mi toglie dall’imbarazzo.
«Propongo una passeggiata in Brera, visto che siamo già qui, e poi è un po’ che non ci vengo. Magari si può anche andare alla pinacoteca».
Mi va bene. Ovviamente starsene nel mio studio lei ed io non sarebbe male, ma l’omino bianco si affaccia continuamente e mi chiede di non pretendere troppo. Almeno quello.
Guardo l’orologio. Sono passati più di dieci minuti e nessun cameriere mi ha preso l’ordinazione. Ma poi, cosa ci faccio qui? Non ho nemmeno fame.
Mi alzo ed esco come un ladro, non guardo in faccia a nessuno e prendo la porta. Appena la richiudo, respiro. Mi sono accorto di aver incamerato aria apposta per poter trattenere il fiato. Come un pesce. Un pesce in un acquario non suo.
Questo pomeriggio, Milano mi rimanda un certo fastidio. L’aria è pesante e carica di veleno, e non riesco ad amare queste strade come vorrei. Ho diciassette dipinti nel bagagliaio e non so nemmeno perché li ho acquistati. Ho speso un sacco di soldi, il che non è mai capitato con una tale facilità. Oggi volevo dimostrare a me stesso di poter compiere pazzie, di poter dare spazio all’omino nero senza sentirmene in colpa. E invece sono stato solo un vecchio patetico. Forse quella pittrice, quella ragazza ics, mi ha considerato una specie di folle schizzato in preda a una terribile crisi di identità. Oppure soltanto uno da internare, punto. Un vecchio patetico, appunto.
È da molto tempo che non mi chiedo cosa pensano le persone di me. Ho creato un velo protettivo, invisibile ma impenetrabile, tra me e gli altri. Da quando non osservo più il mondo dall’obiettivo, mi sono reso conto di essere uno fra tanti, una faccia che si distingue per la sua disomogeneità, e quindi per la sua bruttezza, se mai. E la cosa non è piacevole. Non ho confronti. Non ho una donna, non ho una vera famiglia, non ho amici con cui parlare. Non li ho mai voluti, forse. Perché, in fondo, non ho mai voluto essere contrastato; io volevo vivere nella mia nicchia, parlare da solo, costruire un dialogo tra il razionale e l’animale, come succede tra i miei omini bianco e nero.
Prendiamo a esempio oggi. Sono uscito con quindicimila euro, ho avuto la sfrontatezza di spenderli tutti in dipinti per i quali la stessa artista non ha speso nemmeno una parola, e non ho avuto invece il coraggio di salire su un tram. Ho trattenuto il fiato in un bar tavola calda con l’ansia di uscire solo perché era pieno di ragazzini, e adesso mi aggiro per le strade milanesi cercando di capire la mia personalità. Pretendo di essere psicologo di me stesso, io che non so gestire la vita in modo pratico. E forse tutto questo perdere tempo è dovuto al fatto che Marina mi rimprovererà alla grande per questa mia spesa improvvisa.
Ho davvero paura di lei? Ma no, certo. Forse sotto sotto temo solo la sua derisione. Di quella ho paura.
Sto farneticando. Dovrei smetterla e tornare in studio, prendere quei dipinti e cominciare ad apprezzarli. Perché in fondo sanno di arte e quella ragazza ics mi ha colpito per questo. Per la sua arte inconsapevole e fragile, come la vera arte sa essere. Indolente forse, che esce poco e rientra subito. Si mostra come una bella donna, quelle che sono belle per davvero, e lo sanno, e quindi non hanno bisogno di conferme. Ma anzi scappano dalle luci troppo forti per non sfiorire subito, per dare un senso di immutabilità e di irraggiungibile mistero. Le donne così sono donne impossibili, donne-anima, e noi comuni mortali non potremo mai catturarne l’essenza. Ma del resto, cosa ne so io di donne?
Quando rientro in studio con i primi tre dipinti, Marina mi guarda perplessa, ma sembra non osi farmi domande.
In questi anni ho creato un clima troppo formale. Me ne accorgo ora, senza un motivo apparente, soltanto trovandomi di fronte alla sua affettata freddezza. Di solito, le persone si sforzano di apparire simpatiche, mentre Marina si sforza di essere senza forma. Mai troppo. Pragmatica ma non calcolatrice, elegante ma non sexy, sorridente ma algida, presente ma dosata. Me ne sono mai preoccupato? Perché non l’ho fatto? Perché non ho mai cercato di conoscere gli altri?
«Ciao, Marina, sono tornato. Guarda un po’ cos’ho qui. Ta-tan! Tre dipinti. E sai che ne mancano quattordici? Non mi sgridare però, eh!». Il mio sorriso mi sembra innaturale. E se lo è per me che lo stampo sulla mia faccia e che non posso vederlo, m’immagino quanto lo sia per lei.
È assurdo che ancora una volta io mi preoccupi di me stesso, io parli con me stesso. E non noti, per esempio, il suo di sorriso, che non altera minimamente il suo volto, come se fosse una bocca messa lì con Photoshop.
«Dai, esprimiti, dammi dell’asino! Ehi, aiutami a trovare a tutti e diciassette un posticino in questo studio. Non sono tanto piccoli. Dove potremmo metterli? Be’ senti, io vado a prendere gli altri. Anzi, dai, vieni giù con me».
«Ma… Dottor Zeta, e se squilla il telefono?».
Ma perché, Marina, perché ti stai preoccupando del telefono, perché non ti smolli un po’? Non è forse quello che volevi? Lo vedo, sai, lo vedo che mi osservi ogni volta che io non ti guardo. Ti vedo con la coda dell’occhio, perché forse la cosa mi lusinga anche un po’. Ti sogno, ogni tanto, ma nei sogni non mi azzardo mai a fare cose erotiche. Dovrei? Tu vorresti? Macché, mi ammiri perché sono un prolungamento di te stessa, perché avresti voluto anche tu tutto questo, e invece sei all’ombra di questo capo che non capisce le persone ma ha fatto fortuna, e tu che le capisci, vivi con uno stipendio che quando te lo accredito mi sento un verme.
«Prendi il cordless e andiamo».
Come prima prova di comprensione degli altri poteva andare meglio. Alla fine sono stato il solito stronzo. Le ho dato un ordine.
«… Se ti va». Ancora peggio. Dare un ordine e toglierlo è una mossa priva di logica. Anche perché ormai lei non può più azzardare un no.
Marina mi segue senza passione. Sembra voglia in tutti i modi trascinare la sua persona giù da queste scale, assecondandomi silenziosa. Magari avrebbe voglia di fumare una sigaretta.
«Fuma pure, se vuoi. Siamo all’aperto».
«Tecnicamente non siamo all’aperto. Siamo in un androne che ci porta nei box. Quindi non usciremo all’aperto».
«Tecnicamente hai ragione, in effetti. Allora non si può fumare. Va bene, prendiamo i dipinti e saliamo».
Lei rimane impassibile. Prendiamo i dipinti in due viaggi, e nel frattempo non parliamo. Il fatto di non comunicare mi ha sempre procurato un certo sollievo, ma oggi mi suona stonato.
Tornati in studio, mi trovo davanti a diciassette dipinti e capisco di aver fatto un’immensa cazzata. Ma sento anche una strana vibrazione per tutto il corpo, un’adrenalina che mi scaraventa dentro e fuori me stesso continuamente. L’omino nero è tornato a vivere e il bianco ce l’ha dura questa volta.
Quando Marina se ne va, mi sento svuotato. Non ho più bisogno di sforzarmi di fare i conti con la sua persona. Quella presenza oggi era imbarazzante e mi chiedo se la sarà anche domani. Non so quanto potrei reggere questa nuova dimensione. Domani vorrei solo dormire.
Guardo i dieci dipinti in fila appoggiati al muro. Marina e io ne abbiamo appesi soltanto sette. Una cosa alla volta. Quei dipinti mi sembrano un tramite tra me e lei. Me e la ragazza ics. Me e Serena. Me e queste donne che rappresentano una fuga che ancora non avevo capito. Una fuga ogni volta diversa ma che, ogni volta, è mirata a far perdere le mie tracce. Eppure io sono sempre qui, sempre uguale.
Credo che domani la chiamerò e le chiederò di vederci. O forse rimanderò. Domani vorrei solo dormire.
Leggi la puntata Ics #1 | Leggi la puntata Zeta #2 | Leggi la puntata Ics #3 | Leggi la puntata Ics #5 | Leggi la puntata Zeta #6 | Leggi la puntata Ics #7 | Leggi la puntata Zeta #8
Post Views: 75
Navigazione
- HOME
- AltreStorie di Neó
- IO E IL DOTTOR ZETA, LA RAGAZZA ICS ED IO
- SOSTIENI SEVENBLOG!
- NEWS
- LETTERATURA&SOCIAL
- CRONACHE DA SOTTILIA
- CATTIVICONSIGLI
- LE STORIE DI MICHELANGELO
- EMPATICAMENTE
- I Podcast
- AudioRacconti
- SPECIALE QUARANTENA
- SEVEN BLOG
- AREA MANOSCRITTI
- CHI SIAMO
- CONTATTI
- Privacy Policy
- SOSTIENI SEVENBLOG!
Consigli
Articoli recenti
- La caduta di un Impero e la caduta di un padre 13 Gennaio 2025
- La discutibile cena di Billy e Maya 8 Gennaio 2025
- Quello che provo nel vederti 7 Gennaio 2025
- Prima dell’alba 5 Gennaio 2025
- Oro 31 Dicembre 2024
Lascia un commento