CattiviConsigli . IRA
Green Pass
In 6 Agosto 2021 da Gianluca PapadiaOggi sulla metro di Napoli si parla solo di Green Pass. Dopo la conferenza stampa in cui Draghi ha annunciato che sarà obbligatorio esibire il certificato verde per spettacoli, cinema, centri termali, piscine, palestre e ristoranti al chiuso, non si fa che parlare di quest’argomento. In molte piazze italiane sono sbocciate manifestazioni spontanee per protestare contro questa decisione che – se fosse estesa anche alla scuola, al mondo del lavoro e ai trasporti pubblici – renderebbe, di fatto, la scelta di vaccinarsi obbligatoria.
«Non possono obbligarci, lede tutti i nostri diritti, è una vera e propria dittatura sanitaria», urla Giovanna, fervente animalista, ecologista convinta, no-Global, no-Tav, sostenitrice del commercio eco e solidale, che da vent’anni, con la sua associazione “Il gene incompreso”, si batte affinché anche in Italia sia consentito ai genitori LGBTQ di adottare bambini. Giovanna ogni giorno partecipa a una manifestazione diversa: stamattina sarà in piazza con il movimento a favore della legalizzazione dell’eutanasia.
«Nessuno ti obbliga a vaccinarti ma senza vaccino non puoi andare al ristorante», rispondo stizzito. «Inoltre, se proprio ci tieni tanto ad andare al ristorante, con un tampone negativo, ti danno un green pass che vale 48 ore».
«Mio cugino ha detto che a settembre il green pass sarà obbligatorio per l’iscrizione a scuola», grida la sua vicina di posto, Anna, impiegata all’agenzia delle entrate. «Secondo lei, un bambino deve fare un tampone ogni due giorni? Sa quanto costa un tampone?».
«Infatti, stanno studiando il modo di calmierare i prezzi. Ogni tampone non potrà costare più di sei euro», aggiungo con tono acido .
«Ma siamo impazziti? Sei euro ogni due giorni? Le sembra poco? Con quei soldi lo iscrivo all’Istituto Grenoble», s’intromette Giovanna che riceve l’approvazione di Anna.
Ormai si è creata una netta divisione tra i viaggiatori che occupano i posti di destra e quelli – come me – che sono seduti nei sediolini di sinistra.
«Le aziende private potranno sospendere i dipendenti. Li terranno a casa senza stipendio», esclama Fausto, l’ex sindacalista in pensione che tutte le mattine si reca a casa di sua figlia per fare il babysitter. Fausto è vedovo e da quattro anni fa il nonno a tempo pieno.
«E le aziende pubbliche non l’hanno già fatto?», chiede Giovanna a Fausto, «a loro li hanno in pratica obbligati a vaccinarsi», aggiunge indicando Ciro, l’infermiere che finge di dormire seduto in fondo alla carrozza. Ciro è di poche parole e quasi mai prende parte alla discussione mattutina. Se ne sta in disparte – con un paio di cuffie giganti sulle orecchie – cercando un po’ di riposo prima di affrontare l’ennesimo, estenuante, turno di lavoro all’ospedale Cardarelli di Napoli.
«Queste sono solo ipotesi. Aspettiamo un po’ prima di trarre conclusioni affrettate», affermo convinto sollevando un brusio di disapprovazione degli altri viaggiatori.
«Ma poi perché deve ricadere tutto sulle nostre spalle?», s’intromette Paolo che lavora in una pizzeria al centro storico. «Io già devo misurare la febbre a tutti i clienti, adesso devo verificare pure il green pass? ‘O mast mi ha fatto installare un’altra App sul cellulare e devo controllare se i dati anagrafici corrispondono al documento d’identità del cliente. Je facce ‘o cameriere mica ‘o carabiniere».
«Senza il Green Pass non potremmo più prendere la metro», urla Nadia, la badante ucraina, che vive da oltre dieci anni nel nostro paese. Nadia ha fatto entrambe le dosi del vaccino ma, dopo una vita da clandestina, oggi che finalmente possiede un regolare permesso di soggiorno, non sopporta l’idea di essere discriminata per un altro motivo. «Voi dovete difendere vostra democrazia. Mai abbassare la guardia», conclude dall’alto della sua esperienza in democrazie immature e va a sedersi vicino a Giovanna.
Siamo rimasti solo io e il ragioniere Casoria a occupare i posti di sinistra. Lui non è tipo da schierarsi e anche oggi mantiene un profilo alquanto neutrale. Quando cerco il suo sguardo per coinvolgerlo nella discussione, lui finge di guardare il cellulare.
«Voi vedete complotti ovunque», sentenzio esasperato dal clima di guerra che si respira nel vagone.
«Noi?», urla Giovanna. «Quelli ci nascondono tutto. Niente è stato chiaro dall’inizio della pandemia».
«De Donno, secondo lei, si è davvero suicidato?», mi chiede Anna che ormai è in piedi sul sediolino e inveisce verso di me come se fossi io la causa di quest’assurda tragedia che stiamo vivendo.
«Effettivamente la morte di De Donno è un po’ sospetta…», si lascia scappare il ragioner Casoria che ha trovato il momento meno adatto per uscire dal suo torpore da encefalogramma piatto. Lo fulmino con lo sguardo e lui, da vero vigliacco, si alza e si mette in piedi nel corridoio.
«Draghi è un nazista e il green pass obbligatorio è paragonabile alle leggi razziali di Hitler!», mi sputa in faccia Giovanna.
«Giù le mani dai nostri figli!», le fa eco Anna.
«Non vogliamo un governo militare!», sbraita Fausto che nell’esaltazione del momento ha tolto la giacca e la cravatta e fa roteare la sua stampella in segno di sfida.
Sto pensando seriamente di tirare il freno di emergenza e fuggire dal finestrino, ma l’idea di camminare sotto una galleria buia mi terrorizza e così decido di rifugiarmi sotto il sediolino. Giovanna afferra il mio piede sinistro per tentare di stanarmi. Scalcio come un pazzo mentre Fausto picchia forte la stampella sul sediolino sotto il quale mi nascondo. Nella battaglia ho perso entrambe le scarpe. Anna e Paolo intonano la marsigliese con un marcato accento napoletano che rende l’inno della rivoluzione francese davvero inquietante. Mi sembra di essere finito in uno di quei film splatter tanto in voga negli anni ottanta.
«Ci sarebbe solo una cosa da fare per mettere d’accordo tutti sul green pass», esclama Ciro all’improvviso. Si è avvicinato alla porta e ha messo le cuffie intorno al collo, dal mio nascondiglio riesco a stento a vederlo. «Se Draghi lo rendesse obbligatorio per entrare negli ospedali, domani mattina tutti correrebbero a farlo», continua l’infermiere. «In quest’anno e mezzo ho visto morire più persone da sole che in tutta la mia vita. E non sto parlando dei malati di Covid. Tantissimi pazienti negativi al virus, per colpa delle restrizioni, sono rimasti da soli negli ultimi istanti della loro vita. È la cosa più brutta che possa capitare a un essere umano».
Ciro si rimette le cuffie e scende alla fermata Policlinico lasciandoci da soli con le nostre stupide congetture da inguaribili paranoici.
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Lettura interessante, così dettagliata che ti fa vivere i momenti, ma il finale ti lascia la più grande delle verità.
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