IRA . Lettere dall'Ira
Caro Ciccio Molliccio
In 24 Novembre 2017 da Chiara MenardoCaro Ciccio Molliccio
Mi hanno detto che devo scriverti e chiederti scusa.
Lo ha detto il dottore, quello da cui devo andare una volta alla settimana a raccontare una secca di palle su come mi sento, chi sono, perché e come sono arrivato a questo punto. Tutti i mercoledì dalle cinque alle sei meno dieci devo stare qui su una poltrona di pelle finta tutta sbucciata a raccontare a uno sfigato che non conosco i cavoli miei. Grazie, eh, Ciccio Molliccio, grazie davvero.
Visto che me lo fanno fare per forza, lo faccio. Fosse per me lascerei stare, tanto non serve a niente. Vogliono che spieghi perché ti sono corso dietro nei corridoi per giorni, settimane, mesi; perché ti ho preso per il culo in mezzo alla gente nell’intervallo, o ti ho spinto la testa nella tazza del cesso e ho tirato l’acqua. Perché ti ho spintonato giù dalle scale all’uscita di scuola?
Lo sai perché? Perché mi faceva ridere. Ridevano tutti, se ti ricordi. Tutti quanti. Anche i professori secondo me ridevano sotto i baffi. Anche lei, quella di storia, quando ci ha beccati nell’aula vuota, mentre ti facevamo calare i calzoni e volevamo fare un giochetto col gesso e che ha tirato su tutto questo casino, secondo me sotto sotto rideva di te…
Senti, nulla di che, è che sei proprio sfigato: sei molliccio, hai gli occhiali, i brufoli e giri con i libri ben foderati. Cazzo vuoi, siete fatti per essere presi a calci in quei vostri sederi flaccidi. Non parli, pigoli. La mamma ti viene a prendere a scuola e sei… tu.
Fossi un poco diverso, magari solo un pochino, non me la sarei presa con te. Non mi verrebbe voglia di strizzarti come uno strofinaccio ogni volta che ti incrocio.
Cambia scuola, no? Così risolviamo tutto. No, anzi, resta qui, che mi annoio senza di te.
Tutto mi annoia. Ma tu come fai a non romperti le palle dalla mattina alla sera? Non c’è niente da fare, niente di figo, intendo. Scuola, casa, studia, calcio, casa, mamma che chiede cosa c’è che non va e vuole parlare, papà che urla e poi lascia stare, YouTube, Instagram e le chat di WhatsApp.
Oh, poi mica sono solo, eh? Che te la sei presa con me a fare? Non sono mai il solo a rincorrerti: io comincio, gli altri mi vengono dietro. Ma lo sai che figata è, come ci si sente a prendere uno come te a calci nel culo? Cristo, è bellissimo, è una sensazione così… così… se non fossi così sfigato di tuo, dovresti provarla, capiresti tutto.
Ti spiego: è come se avessi una palla fatta di non so cosa, ma si accumula dentro e deve uscire, deve sfogarsi. Cresce, cresce sempre di più e ti si annoda in pancia. Sta lì e cresce come la palla di pasta della pizza e a un certo punto deve uscire, colpire qualcosa. Un muro o un sacco da pugile non danno la stessa soddisfazione di una pancia o di un naso: il piede non affonda in un muro come fa nelle tue chiappe. Un sacco da boxe non fa quel rumore di sedano rotto che ti è uscito dal naso quando ti ho tirato quel pugno in palestra.
È tutto una noia, sfigato. Questo è il punto: sei la mia distrazione, il mio hobby. Sei facile, con gli occhiali e gli occhi bassi che si riempiono subito di lacrime, gnegnegnè, femminuccia! Piccolo, molliccio, flaccido, patetico. Finocchio! Ecco, anche quello: io dico che ti piacciono i maschi.
Oh, le vuole sapere le mie motivazioni, dottore? Caro dottore, tanto lo so che poi lei questa la legge, non sono fesso.
Non ho motivi, non ho ragioni. Mi va, lo faccio.
La chiamate disperata richiesta di aiuto e tirate in ballo la scuola e i miei che non capiscono una mazza, come tutti gli adulti: papà che dice che alla mia età non faceva così, mamma che piange e corre dal preside a scusarsi per me e a dire che sono un così bravo ragazzo, un meraviglioso giovane uomo e non si capacita proprio, non capisce come possa essere successo e poi piange ancora…
Sai che cos’è, Ciccio Molliccio? È che non c’è un perché vero. Non so spiegare, non ci riesco, è come chiedermi di affondare la mano dentro un sasso: non ce la faccio. Forse, dentro non c’è niente, e non so se mi piacerebbe tanto sapere che dentro di me non c’è nulla, oltre alla palla di pasta di pizza che gonfia. Meglio menarti.
Comunque mi sono rotto di spiegare, non mi piace parlare di questo.
Senti, Ciccio Molliccio, facciamo così: ti lascio in pace, così la smettono di rompermi le palle. Basta che tu non ti faccia vedere e io ti lascio stare, che se ti becco, giuro che ti faccio un culo così. Dirò che sei caduto, e lo dirai anche tu.
Ah, già, vero, dimenticavo. Scusa, eh, Ciccio Molliccio. A proposito, come ti chiami?
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