IRA . Racconti da Kepler
L’indipendenza della Padania
In 15 Settembre 2017 da Il ViaggiatoreLa politica, quanto mi piace. Una vera passione da sempre. Pure su Kepler non si scherza e, per esperienza, non esiste angolo dell’universo dove non ci sia la politica. Da quando sono arrivato sulla Terra ho letto tanto e cercato di capire i diversi fenomeni. Essere in una redazione italiana mi ha permesso un approfondimento ulteriore, soprattutto sulla politica più recente. Ho scoperto che l’Italia è uno tra i paesi poliarchici, così andrebbero chiamate le democrazie, più interessanti, soprattutto dal dopoguerra. Avete inventato il totalitarismo moderno con il Fascismo e lo avete inglobato nel sistema post Seconda guerra mondiale, creando una situazione bloccata, con il Partito comunista più forte dell’Occidente nella nazione controllata dal campo avversario. E così anni di Democrazia cristiana e piccoli partiti satellite, poi l’arrivo dei socialisti con quello che sarà il Pentapartito. Due date fondamentali: il 1989 con la caduta del muro di Berlino e di conseguenza quello della contrapposizione delle ideologie e per l’Italia il 1992 Tangentopoli con le inchieste giudiziarie a spazzare via una classe dirigente e i partiti storici. Proprio questi due eventi hanno aperto la strada a un movimento che nasce qualche anno prima, nel 1979 quando Bruno Salvadori, leader dell’Union Valdotaine, propone un accordo tra le forze etniche e regionaliste e vi aderisce la Società Filologica Veneta che l’anno successiva inizierà a chiamarsi Liga Veneta iniziando una diffusione e crescita possibile solo con la fine dei blocchi contrapposti.
A conti fatti, però, l’evoluzione e l’atteggiamento antisistemico, “rivoluzionario” e incontaminato finisce per mutare quando si entra “nella stanza dei bottoni” come disse profeticamente dei suoi Pietro Nenni, Segretario del P.S.I. alla nascita del primo Governo di centrosinistra. E la Lega sarà così, come si vedrà negli anni successivi.
Intanto, però, ho il compito di raccontarvi, anzi farvi rivivere la conclusione della tre giorni che, dal 13 al 15 settembre 1996, verrà chiamata la Dichiarazione di indipendenza della Padania. Umberto Bossi, leader indiscusso e carismatico del partito, insieme al Presidente del Consiglio della Padania, che ha fissato a Mantova la capitale e il proprio Parlamento (pur sedendo con annessi e connessi in quello romano) Giancarlo Pagliarini, raccoglieranno un’ampolla di acqua dalla sorgente del dio Po a Pian del re n provincia di Cuneo e percorreranno il grande fiume (come lo definì Giovannino Guareschi scrivendo di Peppone e don Camillo) con il catamarano Virgilio scortati da un buon numero di barche e gommoni e verseranno simbolicamente quest’acqua immagino pura nella laguna veneta a Chioggia, alla foce del fiume in un viaggio che mescola celti, paganesimo e molta propaganda antimeridionalista, cavallo di battaglia della Lega delle origini, che faceva del centralismo romano di “Roma ladrona” e dell’immigrazione merionale al Nord le cause di tutti i mali che affliggevano le regioni più ricche e prosperose del Paese (la lombardia era la gallina dalle uova d’oro). Bossi è soprannominato il Senatùr, perché eletto la prima volta nel secondo ramo del Parlamento mentre Pagliarini, abile a far di conto lo chiamano Mimmo il ragiunàt.
Tanti appuntamenti, dal comizio di Torino e i tafferugli, a quelli di Pavia, che si trova alla confluenza tra Ticino e Po. Poi Cremona, Mantova e le atre città. Il tutto per chiudersi con il grande comizio finale, raggiunto transitando il ponte dell’accademia per arrivare Campo Santo Stefano e salire sul palco sotto la statua di Niccolò Tommaseo; la lettura del giuramento dei rappresentanti delle regioni della Padania e la la loro adesione con il Va, pensiero di Giuseppe Verdi, inno prescelto da questa neonata entità territoriale non riconosciuta ufficialmente.
E proprio qui mi trovo ad ascoltare il Senatùr che incita i suoi con il “Padania….” a cui i miltanti rispondono con “libera!” dove il servizio d’ordine è gestito dalle ormai famose camicie verdi nate qualche mese fa e che tanto clamore hanno creato in quanto milizia organizzata da un partito e che potevano rievocare quelle nere del Ventennio. Tanta gente che confida in una separazione dall’Italia, di potersi reggere autonomamente, dove possa circolare un’altra moneta che non sia la lira ma che possa diventare l’euro riservato ai Paesi più forti economicamente che stanno pensando a una moneta unica. Sui giornali non sono mancate analisi, prese in giro, preoccupazioni, editoriali pro e contro in uno scontro nello scontro. Il quadro politico è sempre complicato, per dirla alla Ennio Flaiano “tragica ma non seria” con i fuorisciti dal movimento come Irene Pivetti (irreprensibile Presidente della Camera che lascia Bossi e cerca una propria strada politica), dall’ora amico al poi nemico Silvio Berlusconi e la sua Forza Italia, sfiduciati proprio da Bossi, con Massimo D’Alema e Rocco Buttiglione e che portarono al cosiddetto ribaltone, alla caduta del primo gabinetto dell’allora Cavaliere e alla successiva sconfitta del centrodestra alle elezioni proprio per la corsa in solitaria della Lega che aveva virato sul distinguo sistemico dopo l’esperienza di Governo. La rivalità con Alleanza Nazionale, l’altro alleato, quello più forte al Sud e che fa della nazione un fondamento costitutivo. Il centrosinistra che si chiama Ulivo a criticare, la Chiesa, i giudici, persino esponenti di famiglie come quella dei Kennedy epsrimono un loro giudizio, devono dire la loro. E non mancano quegli aspetti che nell’intento folkloristico tendono a sottovalutare l’impatto e la forza di un movimento che nei giorni nei quali vivo con voi è diventato paradossalmente il partito più vecchio rappresentato in Parlamento. I giornali, quelli apertamente schierati contro, non hanno rinunciato a mostrare la parte più ruspante del movimento, quella che espone gli striscioni “Bossi primo re del Nord, viva la gnocca Padana” oppure dichiarazioni del tipo “I leghisti sono brava gente, al contrario degli “altri” che sono palazzinari ingrassati, forestali calabri, cozzicari pugliesi” o, ancora, invitare un giovanotto intento a chiudere la bicicletta in riva al Po al non farlo “Perché oggi di terroni non ce ne sono in giro“.
Mi trovo qui in mezzo al loro, in un tripudio di verde e bandiere di San Marco, dove il sentimento diffuso è l’insofferenza verso la burocrazia e l’imposizione fiscale, gli sprechi e le lungaggini. Un popolo guidato da un leader che gli somiglia: Bossi è “rozzo” ma con un fiuto politico di gran fattura: ha intuizioni da vero animale politico sui temi sensibili e gli equilibri di potere e poi etichetta nel 1993 durante un comizio a Curno un Ministro, Margherita Boniver, con un “Abbbona, la Lega è sempre armata: di manico!” con gesto eloquente e esplicazione del “La Lega ce l’ha duro” con il celodurismo come segno della capacità di imporsi e di virilità tutta del Nord. Il Bossi che a villa Certosa è ospite di Berlusconi e viene fotografato in canottiera, sembrando più un dipendente al lavoro che l’alleato essenziale per vincere le elezioni. Il Bossi che a Venezia, alla Signora che espone alla finestra il tricolore, consiglia di utilizzarlo come alternativa alla carta igienica, con un vilipendio a un simbolo dello Stato a cui ha prestato giuramento in quanto parlamentare della Repubblica. È il Bossi comunque a cui ha giovato la vicinanza del Professor Gianfranco Miglio, per un certo periodo il solido ideologo, convinto federalista e ideatore di quella Padania che, insieme all’Etruria e a una non ben precisata terza parte a Sud doveva comporre le tre macroegioni in cui scomporre e ricomporre l’Italia. Miglio poi, forse perché diventato troppo importante, verrà allontanato e definito “una scoreggia nello spazio” non senza una ripercussione dal punto di vista della linea politica. In questa piazza il simbolismo dell’indipendenza e del volersene andare serpeggia più sotto che sopra al palco dove il richiamo del potere è molto forte. È il collante che permette a questo movimento di ottenere il potere, lo scopo principale e fisiologico di un partito politico.
Noi, popoli della Padania, convenuti sul grande fiume e in Venezia dall’Emilia, dal Friuli, dalla Liguria, dalla Lombardia, dalle Marche, dal Piemonte, dalla Romagna, dal Sud Tirolo-Alto Adige, dalla Toscana, dal Trentino, dall’Umbria, dalla Valle d’Aosta, dal Veneto e dalla Venezia Giulia e riuniti oggi, 15 settembre 1996, in Assemblea Costituente affermiamo e dichiariamo:
Quando nel corso degli eventi umani diventa necessario per i Popoli sciogliere i vincoli che li legano ad altri, costituirsi in Nazione indipendente e sovrana ed assumere tra le nazioni della Terra il ruolo assegnato loro dal Diritto Naturale di Autodeterminazione, il rispetto che si deve all’opinione della Società Internazionale e dell’Umanità intera richiede che essi dichiarino le ragioni che li hanno costretti alla separazione…
Si intuisce il calcolo elettorale di pesare di più e quindi di ottenere di più ma pure una liquidazione talvolta un po’ radical chic delle recrimanazioni e delle richieste. Qui si etichetta lo Stato come fascista o perché impedisce le manifestazioni, che poi però si tengono, oppure lo si farà domani quando per ordune del giudice Pisaoua di Verona, entrerà in via Bellerio nella sede più importante a Milano cercando anche forse di intimidire un movimento (con la morsicata storica di Roberto Maroni a un polpaccio di un poliziotto della Digos), con Maroni portato fuori con tanto di collarino e sdraiato su di una barella.
Bossi legge e qui c’è chi si commuove parlando in veneto e sognando utopicamente di tornare sotto l’Austria in una negazione del Risorgimento reo di aver annesso un Paese che aveva un peso da portarsi dietro: il meridione. Uno mi spega che “Il Bossi” e l’accento mi dice che sia di Milano “ci porterà lontano da Roma” e gli brillano gli occhi.
Noi siamo intimamente convinti che ogni ulteriore permanenza della Padania all’interno dei confini dello Stato italiano significherebbe lasciar spegnere lentamente ogni speranza di rinascita e annientare l’identità dei Popoli che la compongono; Noi siamo consapevoli che la Padania libera ed indipendente diventerà il riferimento politico ed istituzionale per la costruzione dell’Europa delle Regioni e dei Popoli; Noi siamo convinti che la Padania libera ed indipendente saprà garantire un contributo decisivo alla cooperazione, alla tolleranza ed alla pace tra i Popoli della Terra; Noi oggi rappresentiamo, qui riuniti, l’ultima speranza che il regime coloniale romano che opprime la Padania possa presto finire;…
Questa manifestazione collettiva, il più alto della propaganda leghista, segnerà comunque la storia politica italiana evidenziandone forse la fragilità di facciata ma anche l’abilità più sotteranea di saper inglobare al proprio interno chi si propone di abbattere un sistema finendo poi di farne parte in tutte le sfaccetature.
… In nome e con l’autorità che ci deriva dal Diritto Naturale di Autodeterminazione e dalla nostra libera coscienza, chiamando per voce delle nostre libere Istituzioni l’insegnamento di amore per la libertà e di coraggio dei Padri Padani a testimone dell’onestà delle nostre intenzioni.
Noi, popoli della Padania, solennemente proclamiamo: la Padania è una Repubblica federale indipendente e sovrana.
Si intona il Va, pensiero, la mano è sul cuore e tanta speranza che la propaganda ha ben veicolato.
A sostegno di ciò noi ci offriamo gli uni agli altri, a scambievole pegno, le nostre vite, le nostre fortune e il nostro sacro onore. Viva la Padania, viva la Repubblica federale padana!
A distanza di tanti anni il popolo, più o meno è rimasto lo stesso, gli scandali si sono fatti sentire (il partito era stato lambito solo dalla mega tangente Enimont) è cambiata la guida storica e sostituito il “nemico”, che non arriva più dal sistema di Roma o dal meridione d’Italia ma dal Sud del mondo a testimonianza di quanto la comunicazione politica e i messaggi che vengono veicolati ti portano altrove senza che l’elettore se ne accorga, come accade da voi e negli altri angoli dell’Universo.
Umberto Bossi - Dichiarazione di indipendenza della Padania Venezia 1/2
Umberto Bossi - Dichiarazione di indipendenza della Padania Venezia 2/2
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