Le opinioni superbe . SUPERBIA
La nave dei folli
In 6 Agosto 2019 da Caterina LevatoLa nave dei folli è un’opera di Hieronymus Bosch dipinta in occasione del carnevale, momento dell’anno in cui ogni licenziosità è concessa, essa è molto probabilmente un frammento appartenente a un trittico in cui erano rappresentati i sette vizi capitali.
A bordo della nave, sono affastellati dieci personaggi che incarnano i vizi della lussuria e della gola. Le ciliegie, poste al centro della tavola, e il liuto sono simboli della carnalità; la brocca e l’otre richiamano, rispettivamente, la sessualità femminile e quella maschile. Diversi personaggi, con la bocca spalancata, cercano di addentare una focaccia appesa all’albero della cuccagna; tutti, vivono un momento di sfrenata esultanza e vanno felicemente alla deriva.
Tra le figure, si distingue quella del gobbo, che, posto in posizione riparata, sulla destra del quadro, incarna il vero folle (di cui ha tutti gli attributi), egli non partecipa alla goliardia dei suoi compagni di viaggio, ma appare in atto di meditazione. Ed è proprio il gobbo, così distaccato e posto di spalle rispetto alla bella combriccola, che ci permette di capire che il dipinto riprende il tema più caro del carnevale, e cioè quello della critica alla società corrotta, costituita dalla “grassa” borghesia e dal clero, entrambi viziosi e senza scrupoli; sono proprio essi che escludono dal tessuto sociale chi conserva il diritto alla parola senza censura che, solo un folle, o chi è presunto tale, può avere il diritto di esercitare.
Di barche, di traghettatori e di traghettati, è piena la Commedia; tutti ricordiamo Caronte che traghetta sull’Acheronte le anime dannate; meno noto, ma non meno affascinante, è il vascello guidato dall’Angelo Nocchiero verso la spiaggetta del Purgatorio. Per non parlare di Ulisse. che nel c. XXVI dell’Inferno, affronta, con i suoi più fedeli compagni, un periglioso e fatale viaggio con una “picciola imbarcazione”; superate le colonne d’Ercole, per sua stessa ammissione, Ulisse dichiara che, “volta nostra poppa nel mattino, / de’ remi facemmo ali al folle volo”. Dunque, un viaggio che Dante giudica “folle”.
Di tutte le navi “immaginarie”, che transitano nel Medio Evo, secondo il filosofo e storico della cultura M. Foucault, la nave dei folli, o Narrenschiff, è l’unica imbarcazione che ha un riscontro reale. Essa recupera l’usanza di allontanare i folli dalle città, o, quanto meno, di spostarli verso altri luoghi; di fatto, nei loro confronti spesso si compiva una nuova forma di ostracismo, che giungeva ad attuare la pratica della deportazione via fiume o via mare; in altri casi, erano gli stessi folli che decidevano di imbarcarsi e di affidare la loro stessa vita al destino o alla sorte. Purtroppo, non sempre giungevano al porto a cui erano destinati; a volte, i marinai buttavano in mare il loro ‘carico’ oppure, lo ‘scaricavano’ in luoghi desolati, dove, evidentemente, la morte era in agguato.
Nell’immaginario collettivo il folle era visto o come possessore di un sapere oscuro, capace di nascondere segreti e misteri o, al contrario, come detentore di conoscenze illuminanti che lo portavano a compiere prodigiose rivelazioni, tanto da divenire un ‘indesiderato’ proprio perché risvegliava le angosce più profonde.
La nave dei folli, con il suo allontanarsi dalla comunità, per raggiungere un altrove distante, appariva come la soluzione più efficace per esorcizzare timori e paure. Inoltre, essa permetteva anche al folle, qualora lo desiderasse, di allontanarsi da una situazione difficile o spiacevole da sopportare o, quanto meno, non gradita.
Al giorno d’oggi, cosa altro non sono, se non immagini di stultifere navis, quei barconi carichi di ‘indesiderati’, che si affidano alle acque del Mediterraneo per cercare nuove sponde e nuovi porti, dove coltivare la speranza di costruire vite migliori? Eppure, l’uomo contemporaneo continua a discriminare gli odierni “folli” (o diversi); continuando ad escludere dalla propria comunità il diverso da sé, vietandone l’approdo, e dando così la stura a comportamenti che rasentano la più pura e animalità.
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Il terrore di perdere qualcosa dell’AVERE da parte di chi non ha nulla dell’ESSERE.
Ottimo intervento, Caterina.
Grazie Giovanni
Follia non è paura della diversità?
Interessante articolo che suscita profonde riflessioni…
Complimenti Caterina
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