INVIDIA . Lector In Invidia
Le buone intenzioni
In 13 Giugno 2019 da Attilia Patri DPCos’è il parlare di una notizia di attualità se non pura presunzione dal momento che la stessa notizia, di cui si parla, si legge o si scrive oggi, domani sarà già surclassata da qualcosa di diverso, di nuovo, che spinge altrove il sentire comune, e lascia indietro, come un atleta azzoppato, l’oggi diventato ieri. L’attualità, quindi, come illusione momentanea di fermare l’attimo che, puntualmente, poi dimentichiamo se non fosse per quelle notizie che costituiscono vere e proprie sacche di resistenza e, altrettanto puntualmente, si ripresentano letteralmente ogni due per tre. Lo dice anche l’Istat: in Italia, in media, avviene un femminicidio ogni due giorni, tre alla settimana, tremilacento dal 2000 a oggi. L’ultimo il 10 giugno.
Puntualmente simili anche le dinamiche e gli strascichi. Puntualmente attoniti nello smarrimento del vuoto i figli di madri uccise, di padri in galera, e la solita grancassa di “amore” sbandierato ad alibi.
Sono storie di devastazione dove possiamo entrare solo in punta di piedi.
Figli orfani, bambini testimoni passivi di delitti terribili. Bambini orfani della peggior specie, segnati a vita dalla tragedia e il cui avvenire ha perso ogni primitivo connotato di percorso affettivo e identitario chiaro e lineare.
Orfani particolari con una elaborazione del lutto complessa e controversa nella difficile, se non impossibile, comprensione del come sia potuto accadere, mentre attorno gira la giostra dei tribunali, dei servizi sociali, delle famiglie affidatarie o adottive.
Orfani svuotati, deprivati di tutto, da ricostruire psicologicamente mentre interiormente rileggono la loro storia di vita familiare, annaspano nel cercare una continuità affettiva mentre realizzano di non avere più radici ma solo brucianti lividi interiori difficili da condividere all’esterno con altri.
Orfani superstiti di un insieme perverso tra oppresse e carnefici, alle luci della ribalta, loro malgrado, fino alle esequie dei funerali, fino allo spegnersi dei microfoni delle interviste, protagonisti di un dramma a breve termine da Tg, che smette presto di essere cronaca e diventa carico privatissimo, testimonianza indelebile di un legame che, se da un lato ha dato loro la vita, dall’altro gliel’ha congelata per sempre in un giorno qualsiasi di ordinaria follia spalancando le porte dell’incertezza verso il proprio futuro.
Orfani di femminicidio, circa duemila dal 2007 a oggi, vittime collaterali di violenze, da incasellare in qualche statistica destinata a non restare stima rigida ma numero dinamico e progressivo mentre si attendono risposte da chi avrebbe dovuto difendere e tutelare situazioni spesso lampanti.
Orfani speciali che arrivano a pensare che, forse, alla vittima sia andata meglio in quanto ha dovuto soffrire una sola volta mentre loro continueranno per tutta la vita a convivere con quelle profonde cicatrici che solo certi scenari possono lasciare e che solo un adeguato contesto sociale può marginalmente assorbire. Orfani che vedono uccisa non solo la madre ma, con lei, anche la loro infanzia, le illusioni che ogni bambino ha il diritto di avere, la sacralità della famiglia come base di ogni ipotetico ulteriore futuro.
Orfani stigmatizzati specialmente nelle piccole realtà provinciali e chiuse dove verranno additati sempre come il figlio o la figlia di una “disgraziata” ma anche di un criminale.
Orfani spesso affetti da sindrome post traumatica da stress il cui destino è nelle mani di chi se ne prenderà cura in base alle decisioni di un tribunale, auspicando che ci sia sempre un giudice in grado di compiere, al riguardo, la miglior scelta possibile per la massima tutela del bambino stesso. Mani di nonni, o zii, o famiglie estranee adottive che devono garantire un clima familiare stabile, un equilibrio, un gancio di traino verso una normalità ancora lontana e precaria.
Orfani fantasma accuditi da mani che hanno bisogno anch’esse di essere aiutate con interventi mirati e funzionali ma che, fino al 2017, hanno annaspato in un vuoto normativo.
Spetta alla legge n.4 dell’11 gennaio 2018 (Modifiche al Codice Civile, al Codice Penale, al Codice di Procedura Penale e altre disposizioni in favore degli orfani per crimini domestici), entrata in vigore il 16 febbraio dello stesso anno, aver messo dei punti fermi tutelanti.
La normativa prevede: l’accesso al gratuito patrocinio, l’assistenza medico-psicologica, la sospensione della pensione di reversibilità all’omicida a favore del figlio/a, il sequestro conservativo dei beni dell’omicida, la possibilità di cambiare il cognome; sul fronte economico, il fondo per le vittime di mafia, usura e reati intenzionali violenti viene esteso agli orfani di crimini domestici con due milioni di euro in più l’anno per borse di studio, formazione, inserimento al lavoro e tre milioni a favore delle famiglie affidatarie.
L’Italia, e di questo ne siamo fieri, è il primo Paese in Europa ad aver promulgato una legge che cerca di ridurre i danni subiti dagli orfani speciali e cerca di facilitare il compito a tutte quelle famiglie affidatarie che si trovano spesso, di punto in bianco, a dover sostenere un ruolo al quale, il più delle volte, non sono economicamente preparate.
Meno fieri se pensiamo che il regolamento per accedere al fondo, che doveva essere emanato entro tre mesi dall’entrata in vigore della legge, non è stato, ad oggi, ancora deliberato e la legge, quindi, non può ancora produrre pienamente i suoi effetti. Anche sul piano delle strutture, o delle professionalità preparate a gestire queste emergenze, tutto sembra essere delegato alle associazioni di volontariato o ai privati, ai Comuni e alle Regioni più virtuose.
Per chi resta, dunque, i problemi sono ancora all’ordine del giorno e ancora troppe sono le incognite.
Siamo entrati in punta di piedi. Ne usciamo un po’ scalciando di fronte a una legge incompiuta che ha un po’ il sapore della trascuratezza o, peggio, dell’indifferenza e con la convinzione che la strada per l’inferno sia sempre la solita, quella lastricata di buone intenzioni abbandonate a dormire su qualche scrivania, e che possiamo adottare universalmente, anche se pronunciata per altri contesti, la frase della Senatrice Liliana Segre: “L’indifferenza è peggio della violenza. Dall’indifferenza non puoi difenderti”.
L’indifferenza è vuoto e buio trasversale. Occorrono, quanto prima, risposte.
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