IRA . Lettere dall'Ira
Non chiamarmi stalker
In 17 Novembre 2017 da Chiara Menardo
Mia carissima.
Osservo da lontano ogni tuo passo, l’incedere imperfetto della tua linea morbida, la bellezza decadente che travolge l’aria e ti circonda. Ti osservo e penso, ti osservo e sento. Sento te, nella tua innocenza, in quell’ignoranza tutta tua: ti rende unica, inconsapevole, candida.
Piccola… come un agnello che ancora non sa dove lo porteranno le zampe tremanti, ti seguo con lo sguardo mentre raccogli i capelli: sono morbidi, i tuoi capelli. Morbidi e ribelli così come tu, mia cara, appari esile e impaurita mentre ti guardi intorno, indagando con gli occhi spalancati per capire.
Mia dolce, piccola bambina. Quali segreti nascondi nel cappotto, quali vergogne albergano nelle tue mani ruvide e segnate, quali misfatti coprono quelle guance arrossate dal freddo?
Mia dolce, mia bellissima. Io so cosa si cela in quella vita misera, ebbra di nobiltà fugace e di piaceri estorti con promesse di attimi dorati. Io so perché ti osservo ogni momento, lo so perché sei mia, tu mi appartieni. Tu, come le altre. Branchi di cerbiatte lucide di sudore, con la paura in una mano, e gli occhi pieni di offerte d’obbedienza. Io so, io vi ho guardate.
E tu come le altre, tu come lei prima, tu come tutte e una.
Ma intanto osservo, non perdo un passo, a debita distanza. Ti vedo la mattina quando esci, e fino a notte fonda sono lì, con te, non visto. Il caffè al bar, il verduriere e il pane, le ore in ufficio in cui attendo che tu esca, guardando di nascosto ogni tua mossa, poi il rientro e le sere con le amiche, con qualche lui che passa e poi va via, o quelle che preferisco, quando stai lì, accoccolata tra i cuscini con un libro in mano e una tisana, sola, davanti alla tv.
Ma non sei sola e non lo sai, perché ci sono io a tenerti compagnia mentre tu, inconsapevole, ti spogli delle maschere e diventi, davvero, quel che sei.
Tu, dolce e piccolo anatroccolo perduto, tu così sola che guardi nello schermo del telefono, che fissi il tuo computer, che ti volti per strada domandandoti chi sia quella presenza che senti intorno ma non vedi, che percepisci con lo spirito e con l’aura…
Sono io. Il tuo angelo custode, il tuo carnefice.
E mi presento, piccola volpe in fuga braccata in questo bosco di cemento. Mi presento perché in fondo è giusto che tu conosca colui che tu ossessioni.
Un poeta, un misero, un angolo buio di vergogna, potresti definirmi. Oppure no, sono solo un uomo che ti guarda, come ha guardato mille altre prima, e mi ossessioni.
Dalla mia parte stanno la poesia dell’anima e la rabbia, un grande grumo di impazienza e ira che, prima o poi, andranno liberati sul tuo corpo per permettermi di passare alla prossima, dolcissima ossessione. O forse no, resterai tu, per sempre. Io lo spero.
Ti ho vista un giorno e non mi hai più lasciato. É stata colpa tua, che mi hai guardato: un buongiorno, un sorriso distratto all’apparenza, ed ecco, avevi fatto. Mi sei entrata dentro, come la luce passa sotto lo spiraglio di una porta.
È stata colpa tua, ora capisci? Se non mi avessi preso alla sprovvista, ora sarei tranquillo qui a comporre versi su visi storti o sulle foglie d’autunno che si lasciano morire per bellezza, sulle luci accartocciate dei tramonti e su candele che si estinguono in un grido.
Invece, no: voi siete troppe, troppi occhi e profumi, voi e i vostri ammiccamenti maledetti che risvegliano la belva mentre dorme.
Mi hai spalancato un mondo. Sei un angolo di cielo senza nuvole, tu sei la mia salvezza: quando lo saprai, mi prenderai la mano? L’ho chiesto ad altre, mi hanno detto no.
Non capivano e in qualche modo hanno pagato, però non erano te, mia cucciola spaurita.
Non ci vuole mai molto, se lo sai fare.
Io lo so, come si fa a seguirti attraverso questa massa di occhi finti, spioncini in fibre e in cavi, di bollette. Tu mi hai guardato, eri bellissima. Quante promesse in quel tuo ‘scusi’, quando mi hai urtato in corridoio. Lo hai fatto apposta, confessa… lo hai fatto per legarmi e intrappolarmi, lo hai fatto senza sforzo. È inutile che neghi e guardi intorno.
E se invece, in realtà, tu mi cercassi? Se tu fossi lì, e stessi aspettando solo me? Mi guarderesti, mi diresti “eccoti qui!” e ce ne andremmo insieme.
Eppure no, lo so, io già la vedo, la delusione nei tuoi occhi. Ti metteresti a ridere, gireresti i tacchi e andresti via. Perché non sono io il Principe Azzurro: io non lo sono mai.
Stronza. Come tutte le altre, non sei meglio. Tu, stronza che non sei altro, uguale uguale a tutte loro, a tutte quelle che, prima di te, mi hanno guardato con compatimento e riso, e preso in giro, e mi hanno illuso per poi gettarmi via. Ecco perché ti seguo di nascosto. Ecco perché ti spio qui, da lontano. Forse dirai di sì, ti salverai.
Lo sai, vero, che sto arrivando, mia cara, mia piccola e adorata?
Io sto arrivando. Aspettami, tesoro…
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