INVIDIA . Lector In Invidia
Apriamo il libro: Parte Seconda – Storie – Azzurro costoso
In 14 Maggio 2020 da Attilia Patri DP“Per una di quelle coincidenze che da ragazzi piace attribuire al destino, sono cresciuto sopra un negozio di belle arti dove potevo scendere ogni volta che mi servissero un foglio o una matita colorata. Quando ho avuto l’età per passare dai pennarelli ai colori da adulto, la prima cosa che mi ha disorientato sono stati i nomi, davvero inconsueti: terra di Siena, bruno Van Dyck, giallo di cadmio, blu oltremare. Parole difficili rispetto al lessico a cui ero abituato; parole che lasciavano intuire un mondo esoterico che seduceva e metteva soggezione.
Quei nomi non erano solo stravaganti, ma troppi. Per esempio esistevano ben tre tipi di bianco: di zinco, di titanio, di piombo, che a vederli parevano tutti uguali e non era quindi chiaro quale si dovesse scegliere, o perché.
Abituato alle confezioni scolastiche in cui le tinte non hanno nomi particolari ma vengono chiamate con quelli comuni, per me il colore era fino ad allora una questione meramente percettiva: il ‘come appare’. Blu, giallo, rosso erano sensazioni. Non cose concrete.
I nomi delle belle arti evocavano invece non le sembianze cromatiche quanto la loro origine. Terra di Siena, dalla località dove un tempo abbondava quel terriccio ferroso; bruno Van Dyck, in omaggio al pittore che usò al meglio quel tono scuro; giallo di cadmio perché realizzato partendo dal solfuro di cadmio. Non semplici tinte, appunto, ma certificati di provenienza; e per un bambino cresciuto nel mondo industrializzato era una logica difficile da capire. La prima e più grande differenza coi colori del passato è tutta qui: prima della chimica il colore è stato anzitutto una materia preziosa. […]
Nel mondo antico ciascun colore ha un suo prezzo preciso e caratterizzante. Il nerofumo che si ottiene dal carbone, facilissimo da procurarsi, lo si trova a buon mercato; il rosso di porpora e il blu di lapislazzulo, sostanze di importazione insolite e preziose, hanno al contrario prezzi proibitivi e svettano nella piramide economica. La tavolozza non è quindi composta di tinte paritetiche ma sempre di gerarchie, e la differenza di quotazioni continua a parlare anche negli artefatti finiti, come dipinti, vesti e vasellame. […]
Oggi nelle colorerie un tubetto di tempera nerofumo e uno di blu oltremare hanno più o meno lo stesso prezzo; nel Rinascimento invece tra nerofumo e oltremare c’è la differenza che passa tra una patata e un tartufo bianco. Cioè per lo sguardo antico il blu vale più del nero, immediatamente, a colpo d’occhio, senza ragionarci su.
Il blu oltremare non è però solo più costoso, è prima di tutto mitico, tanto da essere annoverato da Marco Polo tra le meraviglie dei suoi viaggi. Si tratta della riduzione in polvere di una pietra semipreziosa, il lapislazzulo, che arriva in Europa portata da navi provenienti da Paesi lontani, ‘oltre’ il Mediterraneo. ‘Ultramarino’, così lo chiamano nel Rinascimento, si riferisce in parole povere a come arriva sul mercato, cioè da un posto imprecisato al di là del mare. Oggi sappiamo che nel mondo antico l’unica fonte di questo minerale era l’attuale Afghanistan, da cui giungeva in Italia tramite la via della seta fino alla piazza più importante in Europa che – come per tutte le spezie e i beni esotici – era Venezia.
Tuttavia, per quanto fosse noto fin dall’antichità, l’oltremare è sul piano dell’immaginario il blu del Rinascimento: quell’azzurro intenso che troviamo nella Cappella degli Scrovegni di Giotto, nel Cenacolo di Leonardo, nella Sistina di Michelangelo o nei cieli di tanti quadri di Bellini e Tiziano, per citare solo i più famosi”.
Chiudiamo il libro su queste poche frasi tratte da un capitolo di diciannove pagine che si snoda attraverso la complessa lavorazione del lapislazzulo per ottenere una polvere finissima di un azzurro brillante priva di qualsiasi minima impurità, le complesse dinamiche sociali tra committenti del Quattrocento fiorentino, per lo più mercanti e banchieri con immense fortune fondate anche sull’usura, e il loro riscatto dalla condanna della Chiesa e dall’isolamento dalle persone perbene con l’investimento in opere d’arte pittoriche e scultoree, il sostegno ai vari cenacoli e agli studi umanistici. Si racconta di cognomi importanti come Medici e Rucellai, di rapporti tra committenti dal nome altisonante e artisti del calibro di Botticelli trattati alla stregua di semplici muratori esecutori; di arte che appartiene alla politica, di scelta di materiali di pregio e di fini esecutori per raggiungere quell’obiettivo preciso secondo il quale l’Arte deve certamente mostrare talento e abilità ma si deve vedere anche quanto è costata. L’azzurro costoso del lapislazzulo come punto centrale tra le trattative finanziarie e i significati simbolici attraverso il dipinto del Sassetta: ‘San Francesco dona il mantello al soldato povero’. Il mantello è naturalmente blu, quello più prezioso possibile a simboleggiare la spontanea rinuncia e l’offerta in dono. Lo stesso blu usato per dipingere il manto della Madonna. Un blu che diventa criterio di valore anche nelle distinzioni teologiche, al punto che la sua scelta assurge a rappresentazione stessa di tutte le virtù attribuite alla Vergine Maria. Per il Rinascimento è una novità assoluta dal momento che, fino ad allora, i mantelli della Madre di Gesù erano stati dipinti in nero come segno di lutto e destino ineluttabile.
E poi gli esempi proseguono, curiosi e interessanti, con l’impressione di entrare in una stanza di museo muniti di audio guida e perdersi in dettagli che diversamente magari non si noterebbero. Solo che, in periodi di quarantena, da una parte hai un libro e davanti uno schermo con una immagine tratta da Google. Tempi di semi immobilità.
Tutto sommato ci si poteva fermare anche solo al titolo: Azzurro prezioso, dove per prezioso intendiamo il prezzo incalcolabile della libertà personale e per azzurro il cielo delle vacanze (di qualunque colore o luogo esso sia) o del mare, se non, addirittura, dell’oltremare.
Vero è che parlare di vacanze in un periodo in cui tante famiglie versano in difficoltà e si parla di ‘buono vacanze per le famiglie’ può sembrare fuori luogo ma è altrettanto vero che il capitolo vacanze mare tra chilometri di costa, pari a un quarto del totale di quelle europee, isole e isolette, albergatori, ristorazione su più livelli, lidi balneari, affitti estivi, trasporti, abbigliamento e cosmetica, lavoro stagionale, e tante altre voci, costituisce quella fetta di economia che va inclusa nel termine più generale di Industria Turistica sulla quale, è innegabile, si poteva fare, fino a qualche mese fa, un certo affidamento per il ‘sostegno Paese’.
Solo per fare un esempio, nei dati dell’Osservatorio Federalberghi, che monitora mensilmente un campione di circa duemila alberghi, si parla già, in generale, di una perdita di oltre 305 milioni di presenze, e di un calo nel fatturato preoccupante tra chi spera di riaprire presto e chi si vedrà costretto a chiudere l’attività. Altri interrogativi, non meno importanti, agitano i detentori delle 50.000 concessioni demaniali marittime, di cui 11.000 sono per gli stabilimenti balneari. E così via nella filiera che produce e sostiene il turismo.
Tempi di semi immobilità dove dovremo tener conto di quanto saranno virtuose le singole Regioni per consentire aperture e ricezioni. Tempi di nuove regole imposte da un nuovo e diverso committente, quel Covid19, direttore d’orchestra inaspettato, con quei suoi ordini di prevenzione mentre si devono perfezionare e approvare tutti quei provvedimenti volti all’adozione di specifiche misure di contenimento per attività a rischio di aggregazione medio-alto quali quelle svolte dagli stabilimenti balneari sulle nostre spiagge, presentati dall’Inail e dall’Istituto Superiore di Sanità, e approvati dal Comitato Tecnico Scientifico, nella seduta del 10 maggio.
Tempi all’insegna del protocollo in spiagge libere che dovranno essere affidate ad enti o soggetti qualificati per accertarne la corretta fruizione. Angoli di vacanza da regolamentare tra accessi contingentati con prenotazioni, pagamenti elettronici, disinfezione lettini, turni a tempo, metrature di sabbia rigorosamente porzionate, limiti invalicabili, uscite ed entrate in sicurezza, mascherine fino all’ombrellone, spazio da condividere in pochi e solo se congiunti, e spiagge attrezzate da regolamentare ulteriormente, da monitorare scrupolosamente, battigia compresa, tra movimenti e stazionamenti, un stai lontano da me imperante anche in acqua, docce all’aperto da disinfettare ad ogni fruizione, eventuali piscine chiuse così come le aree gioco, chiacchiere tra ‘vicini di ombrellone’ impossibili a diversi metri di distanza, così come devono essere ben distanziate le file, dispenser per l’igiene delle mani diffusi in aree facilmente accessibili, sanificazione regolare e frequente di tutte le attrezzature messe a disposizione.
Distanziamento sociale, mascherina in entrata ed uscita, gel disinfettante le cose a corredo nella borsa mare tra asciugamano, prodotto solare, un libro da leggere e l’immancabile bottiglia di acqua.
E mentre leggiamo tutte le nuove disposizioni ci troviamo già persi tra le parole di una vecchia canzone e un titolo, altrettanto vecchio, di un film. Ci perdiamo in un Azzurro diverso, in quel “Cerco l’estate tutto l’anno e all’improvviso eccola qua” consapevoli però di essere “Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto”.
Ciao! Ci vediamo, si fa per dire, al prossimo colore.
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