DiarioXY . LUSSURIA
Lotte
In 22 Ottobre 2016 da Chiara MenardoCara, cara Madre, ora cosa posso fare?
Qui, divisa tra dovere e amore, come posso fare, ditemi Voi? Cosa avete fatto quando, tuffata tra le lenzuola tra il bianco e il grigio, dello stesso colore del vostro viso, nel freddo della stanza che avrebbe respirato il vostro ultimo destino, avete benedetto un Albert qualunque, legando il suo futuro al mio. Così rigidamente perfetto e perbene – avevate così ben calcolato Voi, cinica e cieca -, Albert avrebbe dato a me e ai miei fratelli tutto ciò di cui avremmo avuto bisogno, l’unica cosa che contasse, ai vostri occhi: la rispettabilità. E anche una rendita annuale, corposa e costante che a me, da sola, sarebbe stata altrimenti negata.
Werther è la follia ingenua del nulla è impossibile. È il volo profondo, il prato profumato di fiori di campo, la bellezza dell’amore al di là del dovere, dell’amore e basta, della scelta quotidiana del cuore dell’altro. Werther è il voler rimanere qui, accanto a me, solo perché noi siamo. Werther è ciò che dovrebbe essere se tu, cara Madre, non mi avessi messo un lucchetto al collo e, morendo, non avessi portato la chiave con te.
Tu, cara Madre, mi hai intrappolata con un contabile di campagna, freddo e devoto, pieno di sé e di doveri, che – oh, certo – , si prenderà cura di me: come potrebbe non farlo? È il suo Dovere. Che dice di amarmi di sempiterno amore, perché vincolato da un sempiterno contratto.
Mai, mai potrò essere libera: nel dovere di onorare la tua memoria, la tua promessa fatta solennemente in mia vece mentre impartivi la benedizione a un’unione che mai ho potuto scegliere e nel frattempo morivi negandomi ogni possibilità di diniego, mi hai obbligata alla tiepida e placida passione per salvare la convenzione che mi vuole donna per bene. Per salvaguardare la rendita.
Cara, cara Madre: mi hai insegnato il Dovere, mi hai insegnato l’ipocrisia. Obbedisco.
Werther è il mio posto. Colui che c’è senza nulla richiedere, che osserva con occhi lucidi e pieni di domande la convenienza rabbiosa della realtà, eppure mi ama. Werther è la disperazione di ciò che è giusto, nonostante tutto. Perché, cara Madre, Werther è la mia libertà: quella che Voi, benedicendo senza domande il mio matrimonio futuro con Albert mentre stavate morendo, avete stracciato e buttato nel fuoco.
Mento, mento a me stessa, ad Albert e al mio Werther. Nego e mi nego, rifiuto le parole che mi salgono alle labbra dal profondo dell’anima, le ingoio come le monete che getto in fondo al pozzo del cortile, nelle notti inquiete quando esprimo il mio unico desiderio: quello che Voi, cara Madre, avete reso irrealizzabile. Voi, che avete scelto per me l’uomo da amare. Che non potrò mai lasciare, nonostante sappia che è un’altra la persona che è nata per me.
Troppo grande sarebbe il senso di colpa verso di Voi, impossibile da cancellare perché avete avuto il pessimo gusto di schiattare, così da avvolgermi in spire e spire di doveri e certezze.
Quanto siete stata cattiva, rifugiandovi vigliacca dietro la scusa del Vostro amore per me, cara Madre. Stupida e cieca, malata e avvizzita come un’arancia dimenticata al fondo della dispensa. Nella vostra santità perbene mi avete rovinato la vita.
A me, a Werther, ad Albert che, ottuso e compreso nel suo ruolo di marito senza sentimenti né cura se non quella imposta dal ruolo – non sia mai che capiscano, sappiano, vedano: siamo troppo perbene, noi altri -, sconterà inconsapevole la condanna dell’unione con una donna che, ogni giorno, vorrebbe sfiorare il volto di un altro.
Che umiliazione, per i tre lati di questa figura geometrica così regolare e scontata, cara Madre. Avete umiliato me, e Albert, e Werther.
Complimenti, un capolavoro. Il dovere guida le mie azioni e ogni mia parola. Ma, dentro, maledico il dovere e i legacci, maledico la rendita annuale e la rispettabilità, maledico il contabile di campagna che, freddo e ligio, mi ama come potrebbe amare il suo cane da caccia. Mi amerà fino a quando sarò moglie devota e obbedirò ai suoi desideri, fino a quando chinerò il capo ai miei doveri. E, quando non mi amerà più (perché smetterà di amarmi, certo che smetterà: non ha il cuore abbastanza profondo per sapere cosa sia l’amore), in fondo non cambierà nulla. Il dovere, il mio e il suo, ci impedirà, un’altra volta, di fare ciò che dovremmo: seguire le nostre anime. Io almeno vorrei poter seguire la mia e farla volare via, insieme a Werther.
Il Vostro senso del Dovere, cara Madre, la Vostra benedizione, non è certo quel faro splendente che dovrebbe guidare la mia esistenza. Oh, no che non lo è, nonostante tutto ciò che avete voluto instillarmi dentro come un chiodo profondo conficcato nella mia coscienza. Quel Dovere, quello che Voi avete chiamato Dovere, altro non è che la putrescenza della palude nella quale mi avete fatto affondare, per sempre.
Werther mi ha baciato la mano, e il viso, e le labbra, e in quei baci c’era l’eternità. Werther mi ha baciata e nella sua pelle ho sentito di essere, per la prima volta nella mia breve e inutile vita, a casa.
Ma no, cara Madre, dalla mia casa sono dovuta uscire di fretta, sgattaiolando come volpe da un pollaio, perché Voi, solo Voi, avete sprangato la porta. La vostra benedizione su quello stupido letto di morte ha demolito la mia casa. Non la Vostra, la mia! Come avete potuto?
Cara Madre, mi avete lasciata padrona di una rendita, di una dimora, degli inchini rispettosi dei mezzadri e delle fanciulle felici, che possono permettersi di sorridere e amare senza mentire.
Mi avete trasformato nella peggiore delle bugiarde. Colei che mentirà tutta la vita nel nome del vostro senso del Dovere.
Cara Madre. Werther ha preso una pistola, l’ha usata. Ora sta lì, sotto il suo grande albero. Albert mi ha proibito di piangere, di vedere per l’ultima volta il suo corpo, di accompagnare le labbra che amavo, i suoi capelli, i suoi occhi spenti e bellissimi, verso l’ultima casa.
Grazie, Madre.
Il Dovere mi ha incatenata.
Il Dovere umilierà Albert, finché morte non ci separi.
Il Dovere ha premuto un grilletto, uccidendo il mio Werther.
Il libro…
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Titolo: I dolori del giovane Werther
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Titolo originale: Die Leiden des jungen Werthers
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Autore: Johann Wolfgang von Goethe
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Prima edizione: 1774
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