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Lucifer – Chi vuole andare all’inferno?
In 20 Giugno 2016 da Francesca ChiarelloAzazel, Belzebù, Mefistofele, Satana, Lilith. Che nome si dovrebbe dare al Re degli Inferi?
Le madri quando sono arrabbiate potrebbero dargli il nome dei figli – lo dico per esperienza personale, una volta ho rotto un’anfora giocando con il cane in casa con una palla tutto fuorché leggera e mia madre mi ha paragonata proprio a lui – oppure gli diamo i nomi dei nostri ex. In questo caso preferirei chiamarlo Lucifero e basta; anzi Lucifer, all’inglese.
Lucifer è anche il titolo di una delle nuove serie televisive che hanno fatto da protagonista nella scorsa stagione del palinsesto seriale americano. È stata ideata dalla Fox ma, come ogni serie sul sovrannaturale che si rispetti, prende spunto dall’omonimo fumetto di Mike Carey pubblicato per la Vertigo.
La serie è di una noia infernale, da sentire le fiamme del fuoco eterno sotto il divano mentre la guardi. Cottura lenta, duecento gradi, leggermente ustionato il culatello e affumicata la coscia. Una punizione che fortunatamente per questa stagione è durata solo per tredici episodi. Il più interessante è sicuramente stato il tredicesimo, o gli ultimi cinque minuti del tredicesimo che hanno cercato di dare un senso a tutto e che hanno creato, purtroppo, quel senso di suspense che ti fa capire che ci sarà anche un rinnovo.
Lucifer, stanco di regnare sugli inferi, decide di trasferirsi ed aprire un locale – il Lux, originale vero? – a Los Angeles, la città del peccato per eccellenza. Il pub è il classico luogo che si colloca generalmente tra il depravato e lo sconcio, dovrebbe essere un po’ l’incarnazione del diavolo come bene immobiliare ma ci riesce poco. Non è altro che un night a cui non viene data la giusta importanza essendo la casa terrena di Lucifero.
Sembra più un luogo dove occasionalmente si trovano i personaggi.
Ora una cosa che non vi aspettereste mai, dopo gli italiani Don Matteo e Suor Angela (Che Dio ci aiuti!), anche il rosso diavoletto cornuto diventa una sorta di detective che collabora con la polizia. Non bastavano i preti e le suore, c’è chi ha voluto strafare. La lancia da spezzare a favore di questa serie è che Lucifer aiuta solo per un suo tornaconto personale.
Il Diavolo, interpretato dal gallese Tom Ellis – e, lasciatemelo dire, mai scelta fu più azzeccata per tentare noi donne a seguire la serie – si innamora della detective Chloe Decker e si ostina ad aiutarla in qualsiasi caso le si presenti tra le mani per cercare di capire qualcosa in più sui sentimenti umani, finendo anche da una terapista.
Lucifer è interpretato magistralmente ed il personaggio è sicuramene quello riuscito meglio perché riprende tutte le qualità demoniache rendendole, a modo loro, umane. Forse rendere umani tutti i peggiori difetti delle persone o i desideri più traviati era proprio lo scopo della serie. I produttori sono stati capaci di dare al diavolo quella caratterizzazione del bambino ingenuo che non sa distinguere il bene dal male e che sta ancora imparando a farlo. È sicuramente un modo nuovo di far conoscere un personaggio biblico e connotare in modo positivo ciò che ci hanno sempre insegnato a temere.
Peccato per il personaggio femminile. La bella poliziotta è anche brava. Brava nel lavoro, brava come madre, decisamente una buona amica, ma una coprotagonista insipida. Lei o un’altra non avrebbe fatto differenza. Sembra essere stata messa lì solo perché serviva la storia d’amore – o meglio, serviva la storia in cui sperare, perché di fatto non c’è trippa per gatti.
Molto meglio invece la figura dell’analista: Linda Martin. Per lo meno serve allo scopo e ha un ruolo preciso nella vita di Lucifero, facendogli da coscienza. O quella di Maze, l’angelo custode demoniaco di Lucifero, sviluppata poco ma che è l’emblema di tutte quelle donne che tendono a dimostrarsi forti pur essendo fragili.
Lucifer è una serie che sicuramente potrebbe andare all’Inferno portandosi dietro quasi tutti i personaggi. È una serie fantastica, ma anche poliziesca. Parla del male ma che sfocia in bene. I personaggi cattivi sono quelli buoni…
No, niente Inferi, forse sarebbe meglio il Purgatorio: almeno i personaggi e i produttori avrebbero tutto il tempo per decidere chi essere realmente.
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