DiarioXY . LUSSURIA
Madonna Portinari
In 27 Novembre 2016 da Chiara Menardo
Quale sguardo mi rivolgete, Messere.
Quale infiniti cieli si nascondono dietro le vostre palpebre segnate dal cruccio, dall’ardore delle Muse, dalla bianca passione pei destini della nostra amata Firenze?
Vi scorgo a convivi e banchetti, o mentre vagate per le strade e le piazze, compreso nel vostro tormento sanguigno tra la carne e gli alti cieli.
Siete ovunque io sia con quel naso vibrante e affilato, grande come la pala di un mulino, che vi precede da sempre, le orecchie cascanti nascoste da copricapi flosci, le mani agitate da movimenti improvvisi come la lingua di una lucertola.
Il mantello, i calzari, l’aria possente di chi sa, di chi viaggia ogni giorno con lo spirito nei regni iperborei, per tornare a intessere parole su pergamene lisciate da mani sapienti.
Siete ovunque, Messere, e mi fissate.
Mi dicono che entrai nel Vostro cuore che eravamo ancora bambini ma io, sinceramente non so, non ricordo. Perché poi dovrei ricordare? Abitavamo nella medesima via allora, quando l’incoscienza dell’infanzia riempiva le nostre giornate, non ricordo davvero cosa possa aver fatto per suscitare cotanta infantile passione. Tuttavia, Messere, il tempo è passato: crescete, orsù, è giunto il momento.
Quello che per voi fu un segno divino pare, mi è giunta la voce all’orecchio, che accadde un giorno lungo il ponte sull’Arno mentre passeggiavo accompagnandomi ad altre dame.
Mi dicono fu perché vi sorrisi. Non ricordo, Messere, davvero: forse mi rivolgeste un saluto e io, che conoscevo le vostre sembianze – Firenze è piccola, le buone famiglie si conoscono tutte, abitavamo nella medesima via, un tempo- forse chinai graziosamente il viso, abbassando modesta lo sguardo e rivolgendovi un lieve saluto, come d’uso a una donna perbene, maritata e felice del proprio destino come può esserlo una donna al pari mio. Non fu nulla di più, Vi assicuro, Messere.
Da quel momento, siete in ogni dove. Ad ogni incrocio tra le vie anguste avverto i Vostri occhi scuri, pozzi colmi di brace, che mi osservano ammantati di una patetica richiesta impossibile. Ai banchetti, alle feste, vi sento d’intorno a sfiorarmi le vesti.
Vi avvicinate per inchinarvi lascivo e sconvolto dall’esaltazione priva di qualsiasi speranza o costrutto. Financo nella casa di Dio mi spiate sotto le palpebre oblique, mascherando con la preghiera i vostri pensieri impuri dissimulati con fine sapienza.
Messere, io vi prego dal profondo del cuore: componete poesie su altre dame.
Io sono una donna di carne e di sangue, maritata, prona al proprio destino. Amo danzare sola nella mia stanza mentre la brezza muove le tende di lino leggero, amo guardare lo scorrere del fiume quando è placido e lento, amo la carne ben cotta e le rape fresche di campo, amo accarezzare il mio gatto che mi porta in dono la mattina le prede notturne e mi accosta alle coltri un bel sorcio, amo le giornate di primavere e la bellezza dei fiori e del cielo sereno.
Mentre Voi.., Voi… siete brutto, e triste, e avete un orribile carattere, arcigno e severo, compreso nella vostra parte di uomo importante e collerico. Vi trascinate quel naso in Lungarno con l’arroganza del Vate, tra risse, compagnie di poeti e furfanti, frequentate senza vergogna miserabili donnacce e altre donne maritate.
E parlate di me, mi fissate di sottecchi, mi seguite sbavando come un cane randagio e, dicono, componete carmi e poemi sulla mia persona. Il mio nobile marito mi guarda con occhi colmi di rimprovero perché le Vostre azioni indesiderate sono la mia colpa innocente.
Compatisco con sincera simpatia colei che le Vostre famiglie hanno deciso fosse Vostra moglie: quale sorte avversa nel dover dividere la vita con un uomo che non solo non l’ama, ma spende i suoi giorni tra risse, taverne e momenti in cui, infilato in un anfratto come un misero sorcio, viene ritrovato a spiare ogni movimento di una dama perbene.
Lo zimbello delle Madonne di Firenze, ecco cosa sono diventata. Oggetto di celie e di scherzi, arrossisco ogni volta che, incrociandovi sul sagrato del Duomo sono forzata al saluto. Il mio viso si tinge di porpora non per virtù, voglio che lo sappiate, ma per il sommo imbarazzo che mi causate.
Oh, se solo fossi uomo, Messere! Un uomo forte e possente, così da potervi attendere fuori da uno dei vostri giri raminghi nei postriboli di Firenze, afferrarvi e insegnarvi la creanza accorciando a dovere la protuberanza che vi sporge tra gli occhi!
Allora la smettereste di importunarmi con la vostra idolatria blasfema, travestita da angelico amore.
Forse diventerete un grande poeta, condurrete la vostra santa rivoluzione, o forse vi ridurrete al pari di un beone incallito: solo a Nostro Signore è dato saperlo.
Qualunque sia il Vostro fato di una cosa Vi prego, tenendo il mio cuore sul palmo della mano, davanti al Vostro viso crucciato, adorante e arcigno.
Vi prego, Messer Alighieri, Vi supplico e imploro: una volta per tutte, smettetela di saltellarmi intorno come un randagio in cerca di briciole. Siete, innegabilmente, molesto.
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