
DiarioXY . LUSSURIA
Giobbe e L’eterno
In 7 Aprile 2018 da Chiara MenardoGIOBBE
Chiedo solo perché.
Perché tutto mi hai dato e poi mi hai tolto come per scommessa, perché mi hai benedetto con salute e averi e figli e figlie e mandrie, hai posato su di me la mano e mi hai illuso, mi hai eletto giusto tra i tuoi, voce devota e saggia, perché mi hai fatto salire in alto sul palmo della tua mano, sicuro nel cantare la tua gloria e poi, d’un tratto, tutto hai tolto?
Cosa ho fatto? Ho osservato ogni precetto e confidavo eppure tu, d’un giorno all’altro, hai portato via ogni cosa al più giusto dei tuoi figli. Ora, dimmi: cosa ho fatto? Cosa vale la giustizia? Cosa vale la devozione del tuo servo, di colui che mai ha levato contro di te voce o pensiero? Quanto valgo, io, per te? Un singolo pezzo di bronzo, un calzare ormai rotto, un frutto da buttare alle capre, indegno della tavola del padrone? Dov’è che sono bacato, dimmi? Io parlo e grido immerso nel dolore della pelle che brucia, con l’anima annerita dalle perdite che hai voluto, che hai imposto nonostante la vita limpida come l’acqua della più pura delle pozze.
A che è servito servire te, se questo e nient’altro devo attendermi, se il mio destino non è altro che tenebra e dolore? Perché, ti sto solo chiedendo il perché di tutto questo.
E se creo scandalo tra coloro che sono qui a levare le mani al cielo e a battersi il petto, fai provare a quelli seduti attorno che mi guardano con occhi colmi di lacrime e pietà, mentre leggono diligenti i passi delle Scritture e controllano che quanto dico sia conforme, getta su di loro, con la medesima ferocia, tutto ciò che hai scagliato addosso come un dardo a questo sventurato figlio tuo.
Non tollero le grida di empietà che si alzano da chi non brucia come il fuoco, da chi questa sera, tornando a casa, potrà abbracciare i figli e dar loro una carezza mentre per un attimo pensano a me, che di figli non ne ho più perché, nella tua cieca volontà, tutto mi hai tolto; loro, che domani conteranno greggi e mandrie, guarderanno i campi e la casa integra e pulita mentre io, seduto sotto il sole, coperto di piaghe e di una tenda lacera, altro non potrò fare se non gridare con quel poco di voce che mi resta, “Signore mio, dimmi perché, perché tutto questo, perché a me!”
E levo le mie mani arse e rotte dalle piaghe, consumate dal dolore della perdita.
Le levo verso l’alto e verso il basso e ti cerco, Mio Signore. Ti cerco per sapere, ti cerco per riposare infine nella consapevolezza di un perché.
Ma tu non mi rispondi.
L’ETERNO
Cosa vuoi da me, uomo? Tu, che gridi e domandi, gridi e piangi, gridi e soffri.
Tu cerchi prove e promesse, prove e ragioni, prove e vittorie, prove e sconfitte.
Tu, seduto sotto il sole con la gola riarsa stai lì e urli, proprio tu, un volo di libellula tra la nascita e la morte.
Dare, togliere, costruire e distruggere, tu mi domandi le cause e le ragioni?
Tu, ma chi sei?
Tu, uomo giusto e pio, tu ricco e saggio, tu dai pensieri puri, tu paziente, tu, che hai goduto della vita che ti ho dato e che ora soffri per quello che ti ho tolto, tu non sai.
Non sai cosa vuol dire essere me, non puoi pensarlo, immaginarlo, non puoi neanche sognarlo. Tu non sai, non c’eri, non ci sei, non ci sarai.
E mentre tu non sai, io conosco ogni piega dell’Universo, ogni sasso e ogni goccia, li conosco perché li ho voluti uno per uno, tirando fuori terra e acqua da quel niente, dal tutto che era prima che decidessi, volessi, pensassi alle stelle e al sole, alle bestie e agli alberi, prima che pensassi… te.
Perché ho scelto di dare e togliere, mi chiedi? Perché ho scelto te, mi chiedi? Perché soffri mille e mille pene per mano mia, chiedi?
E tu, che altro non sei se non un nulla, più piccolo di un grano di senape, più minuscolo di un uovo di pidocchio, più infinitesimo di un ciottolo di sabbia, tu mi domandi spiegazione.
Giusto tra i giusti, ma pur sempre così piccolo di fronte a me, tu gridi al cielo.
Perché soffri, Uomo, nonostante gli inni che canti e il bestiame che sacrifichi, e lo shabbat e le devozioni e i digiuni: questo vuoi sapere.
Uomo. Io so, perché ti ho fatto, come ho fatto tutto il resto, stelle e pianeti e sole e vermi e sorgenti che si tuffano nel cuore caldo della Terra, e montagne così alte da toccare il cielo, che ho fatto io.
Quindi so, e ti guardo e non capiresti, se anche ti spiegassi. Nonostante le preghiere e le giovenche sugli altari, tu non capiresti.
Non puoi ridurre a una palla l’infinito. Non puoi modellare tra le mani, non puoi comprendere ogni spiegazione, la mia mente, la Volontà immensa di colui che tutto ha costruito. Non puoi chiedere, perché non c’è risposta che tu possa capire. Perché tu non c’eri, lì con me, quando ho deciso che un singolo mio Verbo avrebbe aperto le porte del tuo essere dividendo il buio dalla luce e i suoni dal silenzio.
Quindi vedi, Giobbe il giusto, Giobbe il pio, Giobbe il paziente, Giobbe il sofferente, che la risposta non ti è data. Perché potrei, forse, portarti tanto in alto da comprendere, se solo lo volessi, ma poi saresti me.
Soffri e credi, Giobbe, e se vuoi grida, finché l’ultimo suono ti uscirà da quella gola arsa. È tutto ciò che serve, e l’unica risposta.
L’immagine di copertina è un dipinto di Léon Bonnet, Giobbe, 1880
Post Views: 87
Navigazione
- HOME
- AltreStorie di Neó
- IO E IL DOTTOR ZETA, LA RAGAZZA ICS ED IO
- SOSTIENI SEVENBLOG!
- NEWS
- LETTERATURA&SOCIAL
- CRONACHE DA SOTTILIA
- CATTIVICONSIGLI
- LE STORIE DI MICHELANGELO
- EMPATICAMENTE
- I Podcast
- AudioRacconti
- SPECIALE QUARANTENA
- SEVEN BLOG
- AREA MANOSCRITTI
- CHI SIAMO
- CONTATTI
- Privacy Policy
- SOSTIENI SEVENBLOG!
Consigli
Articoli recenti
- I torreznos del bar La Muralla 12 Marzo 2025
- Certe donne 11 Marzo 2025
- L’alba ai vetri 4 Marzo 2025
- La Magia dell’Isola Elio 3 Marzo 2025
- Michel de Montaigne 28 Febbraio 2025
Lascia un commento