
DiarioXY . LUSSURIA Il libro…
Piccolo, pingue curato di campagna
In 28 Ottobre 2017 da Chiara MenardoCare anime, mio gregge di un tempo non ancora arrivato.
Un giorno qualcuno leggerà questa lettera, che ho nascosto tra la paglia del materasso sul quale riposo le mie membra pesanti prima di andare. Mi preparo per l’ultimo viaggio, anche se non vorrei. Nessuno vorrebbe, non stiamo qui a raccontarci fandonie.
Vi scrivo. Ne ho voglia, sento il bisogno di spiegare. Voi, i posteri, proprio voi, sì, che state ascoltando increduli guardandovi intorno e vi state di certo chiedendo “Ma che, sta parlando di me?”, voi mi avete nominato, eletto a pavido simbolo di codardia e sudditanza.
Io, un povero prevosto stupido, un omino pingue che non ha mai scelto alcunché, trascinato dalla vita e dai fatti, nato in campagna e lì sempre vissuto, all’ombra del lago scuro.
Carneade, chi era costui? Ma chi se ne importa di chi fosse Carneade: finché ho avuto la zuppa nel piatto, un tetto sopra la testa e una scodella calda di latte col pane al mattino, Carneade poteva restare tranquillo dov’è. Bastava che nessuno mi rompesse le uova nel cesto, a me era sufficiente camminare per le vie strette e guardare il lago e le stagioni, andare dai miei parrocchiani e benedire gli infermi, battezzare gli infanti e ascoltare i piccoli peccati dei miei contadini, che mandavo assolti dopo cinque Ave Maria e sei Pater Noster.
È un nido caldo, la mediocrità, sapete? Non sono nato per fare l’eroe. Mi sono preso tutti i miei compiti e me li sono baloccati felice tra le mani. Ho assolto felice i miei doveri, il lavoro banale pagato qualche moneta e un tetto, la vita che non ho scelto e che ho amato perché non mi ha chiesto nulla di più di quello che davo.
Non ho mai avuto ambizioni di sorta o aspirazioni, avevo le mie estreme unzioni e i matrimoni. Le confessioni, tutti i giovedì. La domestica era una rompiscatole ma spolverava e preparava una minestra calda e decente, sapeva tutto di tutti e parlava troppo, si imponeva sbraitando. Lo dico ora perché tanto non ci sono più ed è morta anche lei: avessi potuto, le avrei cacciato la testa in pozzo. Mi faceva comodo, però, e poi sapeva tutto di tutti: è bello, sapere tutto di tutti, dà quel sottile piacere di sbirciare dal buco della serratura.
Ma in fin dei conti io sapevo già tutto di tutti, ascoltavo i sospiri e i battiti al petto dei miei parrocchiani, i loro peccatucci da anime semplici e devote, le colpe dei cuori perbene e ingenui… come me.
Sono pingue, sono in pace, sono colui che non ha detto di no quando qualcuno, che avrebbe potuto crearmi problemi, mi ha chiesto un favore. Era solo un favore, non si nega mai un favore, non è cristiano rifiutare una richiesta. Ho solo rimandato una cosa, che volete che sia?
Quei due giovani, ecco… non mi sembrava che fossero fatti per stare insieme, c’erano tutti i segnali, il Signore di certo non lo avrebbe voluto. Ho solo fatto la Sua volontà, che si manifesta per Vie imperscrutabili, Sempre Sia Lodato. I sentieri sui quali ha condotto quei due, beh… non sono stati affar mio, dopo che ho obbedito alla Volontà di quell’uomo, di Nostro Signore, di… sì, insomma, dopo che ho fatto quello che dovevo fare.
Nessuno, nessuno in questo mondo o in quell’altro può chiedermi di andare oltre a quel poco che sono. I miei confini sono la quercia frondosa dopo la curva su a nord, la riva del lago a sud, il forno del paese appena oltre il pascolo a est e il muro sbrecciato del campo del Cinto a ovest.
Non ho voglia di uscire da questi confini, non ne ho bisogno. Qualsiasi cosa ci sia oltre al mio mondo, non vale la pena, la fatica, non vale la scodella di zuppa, non vale Perpetua che ordina e battibecca ogni volta perché le cose, qualsiasi cosa, sia fatta esattamente come lei vuole. Dopotutto, mi cucina la zuppa di fagioli e zampetti di porco, cosa voglio di più? Mi piace così tanto.
Così, semplicemente, tutto quello che avrebbe potuto scombiccherare la bellezza di questa vita monotona e piana, tutto ciò che avrebbe potuto anche solo lontanamente separarmi dalla mia scodella di latte e di pane al mattino beh, no… non ci ho voluto nemmeno pensare. Avevo troppo da fare, tra battesimi ed estreme unzioni, avevo troppo da perdere, non volevo nemmeno pensare alla rabbia e ai problemi, se avessi alzato la testa e detto di no.
Non ho voluto dire di no, avevo le mie belle responsabilità e non volevo problemi. Ecco, non sono stato pavido, non ero un codardo. Non ho sbagliato a sbagliare, come tutti voi, invece, credete. Avrei potuto ribellarmi ma, in fondo, perché? Più di tutto, per tutti noi è importante la nostra piccola e comoda vita. E se poi me l’avesse tolta, la mia piccola e comoda vita monotona, tra i confini minuscoli a nord, a ovest, a sud e a est? Che sarebbe successo? Nulla di buono, ve lo dico io.
Sapete cosa importa a chi vive bene nella sua piccola, stretta, stupida vita senza aspirazioni né sogni, se non una scodella di latte e di pane al mattino? Che nulla lo turbi, che niente gli faccia battere il cuore più forte, che non ci sia alcuna decisione da prendere perché altri hanno scelto, e allora va bene. Non ho mai deciso nulla, non ho mai avuto intenzione di farlo: quella volta, quell’unica volta che mi è stato richiesto, ho voltato la testa di lato, ho annuito, e non mi interessa che fosse giusto o sbagliato. Non sono stato codardo, io. Sono stato solo realista.
Il libro…

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Titolo: I promessi sposi
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Autore: Alessandro Manzoni
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Prima edizione: 1840
Post Views: 128
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