LUSSURIA
Mi porto avanti col lavoro – III
In 25 Maggio 2019 da Alessandro LanucaraM’hanno incastrato
Mi trascino in questo circolo culturale, e mi ritrovo seduto a tavola con loro.
L’ubriaco per gioco mi vuole accanto a sé, a capotavola. L’apprendista stregone butta sulla sua vegetariana ben cotta una quasi conversione, e poi se la rimangia, e la ributta ancora, e va a pisciare, e poi ributta, e poi ripiscia, e ci rifà ancora. Di fronte ho il festeggiato, che ha appena venduto due o tre copie dei suoi a capo (quanto basta per decretarlo autore affermato) ed ha donato un ricciolo a testa a commari e vecchi marinai della pro loco. E accanto a lui c’è il suo amichetto, anche lui alfabetista provetto. E questa è la mezza tavolata con cui ho un qualche contatto visivolfattivo.
Più in là, nelle lontane savane, la capopopolo si sbraccia, inneggiando al genio di tutti noi, me compreso, con le comparse a pender dalle sue labbra.
E cominciano a fioccar nomi di poeti cerchiobottisti, filosofi nichilisti, scrittori alchimisti anonimi, tutti catturati tra fotogrammi intrippati di registi nuovi di zecca e che cazzo! Ed io d’una metà di quei tizi non ho letto né mai leggerò un rigo (dell’altra metà un rigo appena, per errore). E dovrei far scena muta, lasciandoli nel dubbio che io sia uno che la sa troppo, troppo lunga per aprir bocca! E invece arranco qualche sbavo di conversazione, palesando il mio stato di vergatore troppo, troppo incosciente! In mezzo a loro, vergatori coscienti del più e del meno, che è quanto occorre per dare un senso ad ogni portata e scoreggiare a turno sotto al tavolo.
Quanto, ma quanto vorrei fare un’altra cena tra poeti! E che nella nostra metà di pappatoia si parlasse solo di cosce di poetesse in calore, o stuzzicadenti colorati, o non so cos’altro. O, meglio, si facesse tutti quanti scena muta.
Luna d’oriente tu luna dormiente
per ogni pecorella che radente
il gregge destinato al suo macello
perde la strada e intona il ritornello
fa che un poeta ascolti il suo belare
e lo tramuti in carta da colmare
in canto che profumi di rugiada
intanto che percuote la sua strada
Chi me l’ha fatto fare?
L’ubriaco per gioco mi compiange, e mi chiama al cellulare. Mi dice che, per scrivere a modo, bisogna aver studiato come ossessi, ma a vent’anni! Quando il vulcano erutta e la sua lava impasta e cuoce tutto! Bisogna aver sezionato, binocolo alla mano, gli originali del buon Giacomo il timido, con le sue tinte strabilianti, su argini di ripensamenti che ti rivelino i segreti dell’endecasillabo sgorgato. E bisogna aver letto l’opera omnia di lui e d’altri quindici-uomini-quindici, che surfarono sulla cresta dell’onda lirica E chi te l’ha fatto fare di svegliarti dal tuo letargo sui cinquanta! E se io fossi un talent scout, credimi, punterei su te, che hai il fuoco dentro!
Ma non potrò eruttare la mia lava, perché l’ultimo treno è passato da un pezzo: questa è la sottaciuta verità dei fatti. Insomma, l’ubriaco per gioco lo dice e non lo dice che sono un fuori tempo massimo, e che ho letto i tizi sbagliati per troppi, troppi anni d’un secolo fumoso, buttato via! E ho letto poco e ho letto male! E non potrò mai esser cane da tartufi. Al massimo, uno scodinzolante bastardino, che c’allieti sui marciapiedi a mano manca, per pochi attimi, per una lisca d’osso in plastica, giusto il tempo d’un numeretto veloce, zampine all’aria e un tanto di lingua pendula, a metronomo.
Ma intanto io vado avanti – ostinatamente! – a stendermi in terra, socchiuder le palpebre, aprire il notes e rumoreggiare. Come un treppiedi sudicio e affamato sotto piogge battenti di città marcite, io canticchio alla luna. La luna orientale dei cani da pastore. Perché mi va e non so far altro.
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Canto notturno di un alticcio pastore errante della Magna Grecia.
Bello!
Grazie pilota, un complimento al mio pennino è sempre ben accetto!
Ma, se possibile, la prossima volta evita quell’aggettivo, mettici un “Bravo!” o qualcos’altro…quel “Bello!” mi ricorda troppo quel certo mio odiato rivale…