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Nirvana
In 10 Aprile 2017 da Debora BorgognoniNirvana (1997) - Vasca da bagno
Lo dico subito. Chi non ha ancora visto Nirvana deve rimediare al più presto. E non perché è un film di Gabriele Salvatores, o perché si è nostalgici della fu icona sexy Christopher Lambert, né per le eccellenti interpretazioni dei quattro italiani principali, Diego Abatantuono, Amanda Sandrelli, Stefania Rocca e Sergio Rubini (e non sto suggerendo di dimenticare quelle di Gigio Alberti, Paolo Rossi, Claudio Bisio). Non solo, almeno. Nirvana è un film del 1997 eppure ci mostra una società distopica sempre più attuale. Passano gli anni – e siamo a + 20 – e il mondo si allinea passo dopo passo a quella iperbolica realtà rappresentata da un universo compatto e per questo geograficamente composto da due sole aree politiche. Agglomerato del Nord sarebbe il nostro continente, perché si trova sopra la linea dell’Equatore. Ma chi se ne importa della realtà fisica se esiste quella virtuale? Salvo poi scoprire che quella virtuale è anche più corrotta, è anche più opportunista, è anche più intransigente.
L’uomo è più che mai uomo. È un uomo mortale. E in quella mortalità c’è la fine vera, c’è il cervello che si cuoce e si spappola in un liquido bianco, c’è la dissoluzione totale del corpo, c’è la memoria che viene incapsulata e funge da funerale dell’anima.
L’unica a essere vera è la donna assente, in un’insolita interpretazione di Emmanuelle Seigner, iperintellettuale e misteriosa. Vera perché onirica. Ma l’ho detto che il film ha un fil rouge iperbolico.
Sarebbe bello sciogliermi nell’acqua, sparire lentamente in questo tepore. Un giorno arriverai, troverai la vasca piena d’acqua, toglierai il tappo, l’acqua scorrerà via dal fondo, e io con lei.
Del resto Nirvana significa “fine ultimo della vita”, liberazione dal dolore terrestre. La vita non ha più importanza nella società del dolore per antonomasia, immersa nella tecnologia estrema ma sporca, misera, feroce. E povera, di una povertà che ti costringe a rubare e a vendere gli organi. Ti costringe a dimenticare con la droga più potente: il gioco virtuale.
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