Le storie superbe . SUPERBIA
Operazione plenilunio – II
In 9 Ottobre 2016 da Gianfranco MonacaII
(… continua dalla PARTE I)
«Come sai queste cose? E perché ne parli soltanto adesso?», disse Jakov, preoccupato e sospettoso.
«Ho i miei informatori. Con uno spazio istituzionale preciso, il nostro movimento acquisterebbe un ruolo di primo piano, e inoltre acquisiremmo le risorse necessarie per realizzare un progetto culturale a partire dalle necessità degli ultimi, come si è sempre detto, e per mettere in piedi un sistema che parta finalmente dalla ricostruzione delle coscienze! Se non ora, quando? A me tocca tenere i conti, e vedo che i soldi non bastano mai, la miseria è sempre più nera, profughi, orfani, ospedali che non funzionano, quello che noi possiamo fare è una goccia nel mare… Vi rendete conto di quanto potremmo fare con i fondi statali? Jeoshua, non dici niente?».
Jeoshua si era seduto a tavola, come avevano cominciato a fare anche gli altri. Si erano riuniti non solo per festeggiare la Pasqua, anche se in modo alquanto irrituale; dovevano anche provare una recente sceneggiatura sul tema dell’autorità. Jeoshua ascoltava per l’ennesima volta quei discorsi, anche se quella sera Jehudah sembrava molto più convinto e determinato. Degli altri, qualcuno era infastidito dal tono perentorio di quelle parole, altri pensavano che in fondo Jehudah aveva ragione e già si preoccupava dell’organigramma di un futuro partito. «Quando lo facciamo? – chiese ingenuamente Johanan. – Io ci sto, noi ci stiamo, vero Jakov? Siamo stati i primi a seguirti, con Shimon e Andrea, ed è giusto che ci prendiamo le nostre responsabilità al massimo livello…».
«Direi che non bisogna mettere il carro davanti ai buoi, ragazzi. Non è roba da ridere», interloquì l’altro Jakov.
Jeoshua taceva. Stava rendendosi conto che in quei tre anni non era riuscito a farsi capire, e che forse non avrebbero mai capito. Era irreale quell’atmosfera, con questa compagnia di attori e attrici che si spalmavano il cerone e si applicavano barbe finte, calcando il trucco e tracciando rughe spropositate.
«Adesso pensiamo alle cose serie», disse Jeoshua, indossando un vistoso camice, che aveva portato con sé.
Il suo personaggio era ormai caratterizzato da un travestimento inconfondibile, che variava soltanto per qualche particolare a seconda della esigenze del singolo copione, e la sua entrata in scena mozzava il fiato al pubblico. Aveva il carisma dell’attore di mestiere, e la naturalezza dell’uomo della strada.
«Ricapitoliamo: una voce fuori campo legge le notizie del giorno, il testo lo ha preparato Andrea. Dunque, l’ultima battuta dice: Il primo ministro ha chiesto i pieni poteri. Natanael batte il pugno sul tavolo e grida: Sì! Un uomo forte, uno che sappia comandare! A questo punto io mi metto il camice, dicendo: Il più importante è il servo di tutti. Non si tratta di saper comandare, ma di saper servire… I potenti della politica comandano, hanno sempre comandato, e il mondo è andato sempre peggio. Proviamo a cambiare sistema. Nessuno comanda, e il più importante è il lustrascarpe. Io tiro fuori la scatola con le spazzole e il lucido, e voi vi sedete in cerchio. Poi comincio a lustrare le scarpe a tutti…».
Provarono una volta o due. Jeoshua fece l’imitazione del primo ministro, che sembrava di vederlo spiccicato. La scena si costruiva man mano, la parte di Jehudah era drammatica, doveva dire che non sono i potenti a mandare avanti il mondo, ma i miserabili, i senza casa, gli immigrati senza documenti, i lavoratori in nero, le badanti senza contratto… Tutti quelli che fanno girare l’economia sommersa, che è il motore dell’arricchimento dei ricchi. Senza di loro il mondo si fermerebbe subito… Questa è la legge dell’Impero…
Arrivò la cena in tavola, ma nessuno osava incominciare. Era usanza leggere le formule dell’antico rituale di Pasqua, con la storia della liberazione dalla schiavitù, e l’elenco dei grandi doni fatti da Dio al suo popolo. Lontano un’esplosione e qualche raffica, poi le sirene della polizia e poi quella di un’ambulanza lacerarono il silenzio. Dalla strada salivano voci.
«Il potere, i soldi, i poveri…? Liberarsi dal Faraone per costruire un impero come il suo, che senso ha? La rivoluzione non sta nel prendere il potere, ma nel gestirlo in tutt’altro modo».
In una pausa di silenzio, le voci degli avventori nel negozio di sotto arrivavano più distinte.
«Chi è più importante, il padrone o lo schiavo che gli lustra le scarpe? Voi mi considerate il vostro leader, vero? Ebbene, allora io voglio lustrare le scarpe a tutti, e se diventerete importanti anche voi come me, farete lo stesso. Quando mai vi ho dato l’impressione di voler comandare, a voi o ad altri, come un padrone? Se gli schiavi vogliono fare la rivoluzione per diventare padroni, il mondo non cambierà mai. Il mondo cambierà quando non ci saranno padroni. Solo allora non ci saranno schiavi. La rivoluzione non è che i poveri diventino ricchi, ma che i ricchi diventino poveri… Solo allora non ci saranno poveri, perché nessuno è povero se lo sono tutti: e i poveri saranno sempre con voi, purché voi siate sempre con loro».
Il discorso di Jeoshua era caduto come una doccia fredda su quelle teste sudate e ben pettinate. Il caldo macchiava di sudore le camicie pulite. Qualcuno avrebbe preferito trovarsi altrove. Qualcun altro pensò che si stava facendo un po’ troppa ideologia. Consumarono la cena senza allegria, fecero le letture tradizionali, Jeoshua chiamò Jehudah e gli disse qualcosa che ai più vicini parve un invito a fare alla svelta, ma non avevano capito che cosa. Jehudah uscì senza salutare.
Una triste Pasqua.
Nelle strade la gente era quasi sparita, e nel silenzio il miagolio intermittente delle sirene lontane sembrava più vicino.
Quel gruppo di uomini sudati lasciò il circolo ma nessuna pattuglia li aspettava. Qualcuno si sentì meglio.
Non solo non aveva uno straccio di diploma in materia teatrale, né aveva frequentato corsi regolari presso alcuna scuola di teologia, ma da autodidatta si permetteva di fare le pulci ai predicatori autorizzati. Il tono arrogante con cui sembrava divertirsi a mettere alla berlina i maestri di dottrina più accreditati lo rendeva simpatico al popolo minuto, che lo considerava un dio, mentre i benpensanti erano convinti che il popolo è solito idolatrare ogni demagogo cabarettista da strapazzo. Aveva radunato attorno a sé una banda di cafoni perdigiorno, alcuni dei quali avevano abbandonato in Galilea un mestiere serio, moglie e figli, per diventare agitatori da fiera, e il peggio era che sapevano intrufolarsi in famiglie per bene mungendo soldi per sedicenti scopi benefici. Molte pie benefattrici della buona società avevano smesso di sostenere le opere di carità istituzionali – spesso coinvolte in scandali finanziari – per dirottare la loro generosità verso quel branco di bifolchi, per non parlare di alcune “escort” d’alto e qualche strozzino pentito che avevano messo in quell’ammucchiata i risultati di anni di attività professionale. Tra gli adepti di quell’uomo c’era di tutto un po’, compresi certi soggetti un tempo notoriamente simpatizzanti per l’estremismo terroristico, da cui non si capiva bene se avevano davvero preso le distanze in modo definitivo.
Che Jeoshua fosse un buon artigiano nessuno lo negava, e avrebbe potuto benissimo mantenersi da solo, lui e sua madre, senza bisogno di elemosine né di un secondo lavoro; anzi, se avesse perso meno tempo dietro a quelle deliranti baggianate sovversive, avrebbe potuto fare soldi in buona quantità, e avrebbe anche vinto fior di appalti pubblici se non avesse così ostentatamente sputato nel piatto in cui mangiava; e se i soldi proprio gli facevano schifo, nessuno gli avrebbe impedito di fare molte elemosine. Irritante e insopportabile come tutti i grilli-parlanti pacifisti, che pretendono di far vivere i popoli in un mondo impossibile, godeva anche buona fama come pranoterapista, e si sa che la gente in fatto di salute non bada a spese. Aveva anche doti di ipnotizzatore, il che faceva di lui un personaggio ancor più inquietante. Non aveva una donna sua, pur non essendo un monaco eremita (pare che nell’eremo ci fosse stato davvero per un paio d’anni, come discepolo del famoso santone Johanaan-ben-Zacharias, poi arrestato per vilipendio e morto in carcere in circostanze poco chiare). Questo finiva per rendere credibili certe voci su ambigui rapporti sentimentali all’interno del suo gruppo. A parte che tra la gente di teatro le cose non vanno come nel resto del mondo, o almeno così si crede.
… continua domenica prossima…
L’immagine di copertina è stata realizzata dalla agenzia © Air per il marchio di abbigliamento Marithé e François Gibaurd.
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