Le opinioni superbe . SUPERBIA
I sette personaggi geniali sempre sconfitti dai loro avversari
In 17 Aprile 2022 da Fabio MuzzioQualche giorno prima di scrivere questo post osservavo quanto, talvolta, la genialità appartenga a personaggi negativi e che si trovano ad architettare piani straordinari destinati a fallire per quel senso di giustizia e forse di politicamente corretto. E così, partendo da Will Coyote, si sono aggiunti tutti gli altri, con un aspetto aggiuntivo di non poco conto: il pregiudizio. Non pensate che l’abbia presa alla larga, ammantandola pure di considerazioni alte, per ripescare dalla mia infanzia, però, oltre a qualche riflessione, troverete un pizzico di nostalgia mi auguro condivisa.
Will Coyote
Un coyote di nome Willy assolutamente geniale che si appoggia a un’azienda che per corrispondenza gli vende tecnologia: la ACME Corporation. E nel deserto disegna, costruisce, ipotizza, riflette, mette in atto i suoi piani per catturare chi? Una preda naturale, uno struzzo velocissimo, Beep Beep, che sventa qualsiasi agguato regalando pure una linguaccia quando il predatore finisce per soccombere. Alla fine Wile E. Coyote e Road Runner, questi i nomi in originale creati da Chuck Jones e da Michael Maltese per la Warner Bros., ci hanno deliziato a partire dal 1949 con 45 corti (e non solo) che non arrivano ai sette minuti. Il meccanismo tra predatore e preda diventa una sorta di chiodo fisso e restituisce un insegnamento non da poco: gli sforzi e la fatica, alla fine, non premiano e saper fare una sola cosa ma bene ti evita di soccombere.
L’avrete capito, a me lo struzzo non sta proprio simpatico, anzi… e Willy ci insegna a non arrenderci mai, anche se precipiti in un canyon, ti arriva un’incudine sulla testa o persino un satellite fallisce la missione, con Beep Beep che arriva, ti mangia l’esca e riparte alzando la polvere senza dimenticarsi di mostarti in modo irritante la lingua.
Dick Dastardly
Alto e ossuto, naso lungo adunco, baffi sottili che tende a rigirarsi tra le dita: è Dick Dastardly, scorretto e malvagio affiancato da Muttley, un cane dalla risata stridente e che, al massimo, pronuncia la frase “Medaglia, medaglia“. Dick è stato protagonista di due serie, di cui una particolarmente di culto: la prima di queste è il Wacky Races (La corsa più pazza del mondo), firmata da Hanna Barbera tra il 1968 e il 1969: in trentaquattro episodi si affrontano undici equipaggi, anche un po’ stereotipati (su tutti Penelope Pitstop) e che si contendono la vittoria finale.
Dick vorrebbe sempre vincere e organizza lungo il percorso diverse trappole per prevalere: gli andrà sempre male arrivando inesorabilmente ultimo con la solita risatina del cane, che pare soddisfatto seppur sia complice delle malefatte.
Terminate le corse per strada, Hanna e Barbera lo portano nell’aria per affrontare un piccione viaggiatore che porta messaggi importantissimi: Yankee Doodle. Si tratta di Dastardly e Muttley e le macchine volanti (Dastardly and Muttley in Their Flying Machines) che dal 1969 al 1970, sempre per trentaquattro episodi, vedono il nostro mettere in atto strategie che non andranno mai a buon fine, assistito da Muttley e da due improbabili aiutanti anche loro piloti: Zilly e Klunk.
Il piccione porta nella sacca informazioni preziose (un omaggio a quanto questi volatili siano stati importanti durante i due conflitti mondiali del Novecento) ed è quindi facile parteggiare per lui; nel Wacky Races, invece, la speranza almeno una volta, di veder trionfare la 00 l’ho cullato quando ero bambino: non che amassi la scorrettezza ma, forse, perché parteggiavo per quello che sapevo non avrebbe mai vinto. A dare la voce a Dick saranno Romano Ghini e Franco Odoardi.
Autogatto
Le dinamiche della caccia del gatto al topo sono state ampiamente sfruttate, tanto che persino questo post le sottolinea in un vero culto: Mototopo e Autogatto (Motormouse and Autocat).
Il format consolidato da Hanna e Barbera di 34 episodi ritorna in una produzione del 1969 strutturata sui sette minuti a episodio. Un garage, la solita tana del topo, che sfreccia rincorso del meccanico Autogatto che si ritrova pure sul corpo, muso compreso, i segni dei copertoni della due ruote. La genialità del gatto è nelle macchine assemblate, con trappole incorporate, alte velocità, soluzioni aereodinamiche da far invidia a qualciasi scuderia affermata. Niente, anche qui ogni tentativo sarà vano e Mototopo sarà sempre salvo mentre Autogatto metterà a seria prova le proverbiali sette vite che vengono assegnate ai mici. Non so se ci fosse un messaggio che le due ruote fossero più agevoli rispetto alle quattro (o aggiunte), di sicuro non ci poneva problemi né di traffico né di inquinamento.
Mi piace sempre ricordare le voci che doppiavano in modo meraviglioso questi personaggi: Vittorio Stagni, doppiatore di lungo corso, che ha curiosamente prestato la voce italiana sia a George Takey che a Walter Koenig (Hikaru Sulu e Pavel Checov di Star Trek in differenti produzioni) è Autogatto; per i più curiosi Vittorio Stagni è il papà di Ilaria Stagni, che ha una carriera lunghissima di attrici doppiate ma vi segnalo Bart Simpson. Mototopo, invece, ha la voce di Flora Carosello, che in carriera ha avuto all’attivo una trentina di film e, tra gli altri doppiaggi, quello di Charlotte Rae, Edna Garrett, la governante di casa Drummond ne Il mio amico Arnold. E pure altri personaggi di cui vi parlerò tra poco.
Mildew
Al lupo… al lupo (It’s the Wolf) è una delle frasi comuni per indicare il pericolo o per indicarlo a sproposito, tanto che poi alla fine il lupo ti mangia per davvero. Qui il lupo è Mildew, magro, con bretelle che sostengono i pantaloni troppo larghi e abbastanza consunti. La preda? L’agnellino, (in originale è un’agnellina di nome Lambsy) che parla spesso in rima e dalla inguaribile curiosità infantile tanto da metterne in pericolo la propria sopravvivenza se non fosse per il cane pastore Bristle, che accorre quando sente il richiamo di pericolo, Al lupo… al lupo…, appunto. È ancora la vena artistica di William Hanna e Joseph Barbera nel 1969 a creare questa produzione strutturata su 25 episodi da circa 8 minuti. Mildew le proverà tutte ma davvero tutte con i suoi travestimenti: tuttavia non riuscirà a placare la sua fame, che verrà solo in parte soddisfatta da pasti vegetariani. Se fosse un messaggio contro i carnivori non lo so, certo è che, non vorrei però trovarmi contestazioni nei commenti, Lambsey è di un’antipatia rara.
Eppure, contento per lei, se la cava sempre guardando Bristle che uncina con il suo bastone il lupo e lo lancia nel bosco con voli che non si sa come lo hanno sempre risparmiato da fratture multiple. Rimane comunque la dinamica del predatore, della preda e del controllore con un solo vincitore. A proposito di doppiatori: Flora Carosello, di cui vi ho scritto poc’anzi, è l’agnellino mentre Sergio Fiorentini, attore al cinema e per la televisione, ne ricordo uno solo di personaggio, il Brigadiere Alfio Cacciapuoti ne Il Maresciallo Rocca, e favoloso doppiatore, da Mel Brooks a Laurence Olivier, da Ernest Borgnine a Gene Hackman (elenco molto riduttivo) è il cane pastore. E il lupo? Omaggio a un altro grande del cinema, del teatro, della radio, della tv e dello studio di doppiaggio: Elio Pandolfi. Anche qui elenco sterminato ma una sola citazione: Sorrell Booke, vale a dire Jefferson Davis “Boss” Hogg di Hazzard (in realtà, contrariamente alla versione originale in italiano la voce coincide con quella narrante, quindi per lui ruolo doppio).
Gatto Silvestro
Credo sia difficile trovare un gatto nero con almeno pancia bianca che non si chiami Silvestro. Il nostro Sylvester J. Pussycat Sr. nasce dalla matita di Friz Freleng e debutta nel marzo 1945. Freleng, inventore di diversi personaggi della Loneey Tunes, è pure l’autore de La Pantera rosa in versione animata. Il nostro gatto di bianco ha pure le guance, la punta della coda e delle zampe ed è un cacciatore nato. Nella sua storia ha avuto tre grandi avversari, in realtà soprattutto due, perché il canguro Hippety Hopper lo si vedrà poco. I piccini (facciam finta che i grandi, invece, non lo guardassero o lo guardano) lo vedono alle prese con un canarino, Titty, e un topo, Speedy Gonzales. La coabitazione tra un canarino tutto giallo in gabbia e un gatto non è mai facile e questo lo sanno bene il pennuto in costante pericolo e la nonna, la padrona di casa, che deve sventare i tentativi raffinati, intelligenti e infruttuosi del felino di casa. Tweety, in originale, vive spensierato soprattutto nella sua gabbietta e non manca mai di esclamare la frase “Mi è semblato di vedele un gatto“. Credo sia risaputo che tra le tante voci che lo hanno visto parlare nei cartoni, la più ricordata sia quella di Loretta Goggi (che poi ha lasciato il testimone ancora a Flora Carosello).
Inutile dire che i piani di cattura saltano tutti, con conseguenti cerotti, stampelle, delusioni e qualche baruffa talvolta con il cane boxer dei vicini. Stessa sorte con il canguro, abilissimo con i guantoni ma soprattutto inutili sono i tentativi in Messico dove Silvestro si dedica ai topi locali ma ha un nemico imbattibile che salva il parentado e beffa l’avversario con le vibrisse: Speedy Gonzales che non può che indossare il caratteritistico sombrero. Non so oggi come sarebbe vista una netta prevalenza messicana sullo yankee (o almeno in anni recenti presidenziali) tuttavia anche all’epoca il cartone non fu esente da polemiche per il ritratto di lentezza e festaiolo dei messicani ai quali, invece, piaceva molto il rivalersi sui vicini a stelle e strisce: emblematico il cugino di Speedy, Posapiano Rodriguez, che canta La cucaracha con un ritmo talmente lento da risultare esasperante. Anche qui la genialità non paga e la natura che chiama contro prede naturali da catturare vedono soccombere il predatore: in fondo il tenero canarino ha la finta ingenuità che si mescola a quella punta di antipatia mentre Speedy Gonzales ripropone l’nsegnamento che se sai far bene una cosa, te la cavi sempre.
Le prime voci di Silvestro sono state Michael Tor, Franco Latini e anche Gigi Proietti. Per quanto riguarda Speedy Gonzales, la famosa frase che anticipava le corse insuperabili Yepa, Yepa, Yepa! Andale, Andale! Arriba, Arriba! Yepa, Yepa! è stata pronunciata ancora da Flora Carosello, Franco Latini e Isa di Marzio (che ha doppiato, tra gli altri, il picchio Woody Woodpecker e Louise “Wizzy” Jefferson nella serie I Jefferson).
Yoghi
Un parco immaginario, Jellystone, ispirato a quello di Yellowstone, il più antico del mondo compreso tra lo Stato dell’Idaho e il Montana, un orso sempre affamato ma gentile, magari un po’ ingenuo con un amico saggio e riflessivo. Sto parlando dell’Orso Yoghi (Yogi Bear), l’orso forse più amato dei cartoni animati e del suo amico inseparabile Bubu, che in originale è Boo-Boo con tanto di elegantissimo papillon. I visitatori del parco, oltre a godersi la natura, si godono il relax di un buon pic-nic e per farlo cosa serve? Il cestino della merenda, che per un orso sempre affamato e molto goloso diventano l’obiettivo. Ma c’è chi protegge i turisti e deve arginare i furti: il Ranger John Francis Smith. Una vera lotta tra i due, tra stratagemmi e canne da pesca per prelavare le leccornie. Come non si fa a non amare Yoghi con il suo cravattino e, in fondo, a non parteggiare per lui. La sua storia è davvero lunga, dopo il suo esordio come personaggio all’interno del Braccobaldo Bau Show (un altro fantastico personaggio) nel 1958. Hanna e Barbera gli assegnano una serie tutta sua che per trent’anni terrà compagnia a partire dal 1960. E, perché no, lo fanno fidanzare con Cindy, un’orsetta in minigonna e l’ombrellino per ripararsi dal sole.
E i doppiatori? Per Yoghi si sono succedute più voci, ma vi segnalo il primo e quello storico: Francesco Mulè attore della commedia italiana e protagonista anche di spot di Carosello. Bubu, invece, che ha parlato in italiano anche grazie a Oreste Lionello, ha avuto in Sandro Pellegrini il primo doppiatore (voce che ha prestato anche a Daisuke Jigen, uno dei due aiutanti storici di Lupin III). Per Cindy, invece, si sono succedute Flamina Jandolo, Isa di Marzio, di cui vi ho scritto prima e Giorgia Lepore.
L’Orso Yoghi è stato protagonista anche di due lungometraggi: in quello omonimo del 2010 la voce originale è stata di Dan Aykroyd.
Lupo de’ Lupis
Lupo de’ Lupis (Loopy de Loop) rappresenta il perdente che non si arrende mai, che lotta contro il pregiudizio di chi, in fondo, non vuol andare oltre i propri consolidati convincimenti. Questa serie è stata costruita su 48 episodi con la solita durata intorno ai sette minuti, con la differenza che è stata distribuita su sei stagioni dopo il debutto del 1965. Il nostro Lupo, aristocratico, gentile, premuroso, in cerca di amicizia e affetto, parla con l’accento francese, del Quebec in originale, cercando sempre di mostrare charme all’interlocutore che finisce inesorabilmente per trattarlo con la paura e il pericolo dovuto alla reputazione della sua razza. L’empatia si crea con lo spettatore che è naturalmente portato ad apprezzarne l’atteggiamento e quanto finisca per assomigliare più a un cane fedele che a un predatore selvatico che, comunque, obbedisce alla propria natura; le narrazioni ci hanno però abituato a considerarlo in un certo modo, per cui non c’è possibilità per lui, malgrado la frase “Sono Lupo de’ Lupis, un lupo tanto buonino“.
E i doppiatori? Il cartone animato ha vissuto tre edizioni, quindi è finito per tre volte in sala: la voce storica è quella di Antonio Guidi, doppiatore storico, da Peter Ustinov a Walter Matthau, da Fred Astaire a Peter Falk, ma, e qui è una chicca, pure Gigi Ballista, che non ha mantenuto la sua voce particolare sentita in vari film commedia anni Settanta ma si è avvalso della sua per il ruolo del Conte Dallara ne Febbre da cavallo. Il secondo doppiatore è stato Oreste Lionello che, in realtà, lo aveva doppiato nel 1962 per un lungometraggio nato dall’unione di più episodi con il titolo di Le eroiche battaglie di Palmiro, lupo crumiro. L’ultima tornata di doppiaggio della serie negli anni Ottanta è con la voce di Roberto del Giudice che, gli appassionati sanno essere quella di Lupin III nella versione italiana.
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