Le opinioni superbe . SUPERBIA
L’abisso, perché…
In 30 Aprile 2022 da Redazione Seven BlogL’abisso e le sue forme, l’abisso e i suoi abbandoni, l’abisso e l’umana imperfezione. Il tema di aprile 2022 è abisso: noi ne scriviamo raccontini superbi…
da Caterina
Astrid
Astrid era salita in superficie, una piccola scappatella come tante sul fare dell’alba. Il suo era un gioco innocente e malizioso: raggiungeva lo scoglio si pettinava e, mentre il suo profilo si stagliava a oriente, si specchiava spargendo sull’acqua riflessi di sole. Questa abitudine non era sfuggita ai pescatori che si chiedevano chi fosse quella donna bellissima e lussuriosa che si mostrava e fuggiva qualche attimo dopo.
L’abate era certo che fosse il richiamo del male e che quella malefica creatura dovesse essere catturata. L’aveva spiata per tanto tempo e si era follemente innamorato di lei, ma il suo cuore gretto e duro non poteva avere spazio per l’amore, perciò aveva deciso di odiare quel simbolo di profonda lussuria.
E fu così che Astrid quel giorno non fece più ritorno nei profondi abissi marini.
Si risvegliò rinchiusa in una gabbia accanto a una mezza botte di acqua in cui bagnarsi e alleviare la sua sete. L’abate la spiava da lontano, i suoi turgidi seni e suoi fianchi squamosi evocavano in lui desideri di un piacere profondo e insoddisfatto, così ogni notte malediceva la donna-pesce madre di ogni lussuria.
Per conto suo, Astrid era sempre più disperata e trascorreva le sue giornate tra dolore fisico, paura e rimpianto. Sapeva, però, che se anche una sola lacrima fosse uscita dai suoi occhi sarebbe stata la fine.
Una notte, in sogno, vide il mare più profondo, gli abissi bui dove i pesci sono ciechi, quel luogo ancestrale dove vivono e muoiono le sirene. Il suo pianto represso trovò sfogo tra lacrime che si trasformarono in perle sferiche e perfette che rimbalzavano sul pavimento spargendosi in ogni dove. Il suo carceriere, da uomo cupido qual era, capì che Astrid poteva diventare la sua fortuna.
La povera donna-sirena, invece, era allo stremo, anche perché l’abate, avendo superato ogni remora, tutte le notti entrava nella gabbia e l’accarezzava. Un contatto viscido e molle a cui la donna-pesce non poteva sfuggire.
Una mattina, il pescatore addetto a rassettare la scomoda prigione, trovò Astrid svenuta nella botte e colto da pietà la trasportò in riva al mare. Una volta immersa nell’acqua marina la sirena riprese i sensi e, con un colpo veloce di coda, si allontanò verso il largo, ma fece presto ritorno: il pescatore l’aveva salvata, ma lei gli stava regalando la morte. Astrid incise la vena di un suo polso e fece bere il suo sangue al giovane uomo che, nel giro di un nulla, si trasformò in uomo-pesce.
L’abate ora è ancora lì a contare le perle che son diventare sfere di sego.
da Giorgio
Solo un passo
Solo un passo, piccola mia, un passo e basta, le disse lui dall’altra parte dell’abisso. Lei, però, non ci riusciva. Gli prendeva la mano, si sporgeva, provava a muovere il piede, ma il terrore di precipitare prendeva il sopravvento. Allora lui si sedette sul bordo dell’abisso e cominciò a parlare. Per un giorno intero le raccontò di come le stagioni cambiano il colore delle foglie. Lei immaginò i colori e si fece coraggio. Si alzò, gli prese la mano, si sporse, mosse il piede, ma la paura prese di nuovo il sopravvento. Allora lui si sedette di nuovo sul bordo dell’abisso e ricominciò a parlare. Un giorno descrisse il volo dei gabbiani, quello successivo, le raccontò di come i conigli scavano le tane, poi di come si può gustare una melagrana, di come seguire le impronte di un leprotto, di come affidarsi al muschio per trovare una direzione… quando non ebbe più niente da dire, si alzò, tese la mano e le disse: ora tocca a te. Lei gli prese la mano, la strinse forte forte forte forte… sorrise per fermare una lacrima e gli disse che era tutto bello, e che le sembrava di averlo vissuto insieme a lui, ma che l’abisso le faceva troppa paura. Gli lasciò la mano, sospirò un addio e tornò sui suoi passi.
Solo un passo, pensò lui mentre la vedeva allontanarsi, un passo e tutto avrebbe avuto un senso nuovo. Solo un passo, pensò, ma a lui ne bastò mezzo.
da Claudia
Nudi abissi
Ti ho visto, sai? Ti è proprio piaciuto. L’Oceano ha mostrato e nascosto tutto quanto. Mi ha lasciato fare, ti ha lasciato fare. Barriere di giochi di luci e sapore di sale intorno a noi. Per la prima volta non mi son nascosta dietro il rumore dell’acqua e ti ho chiamato. Un timido accenno al tuo nome per scaldare la voce. Colpo di tosse, lo dico a voce alta.
Se dovessi dare un nome alla gioia provata nel pronunciarlo, sarebbe una parola non ancora inventata. Un sostantivo grande, come lo scoglio che premuroso mi sorregge la mano.
Ti giri, mi guardi curiosa, ma poi udito e vista sembrano distratti. Ti chiamo ancora.
D’un tratto, una ragazza senza vestiti compare tra le acque e senza chiedere o chiamarti, ti bacia. L’ho riconosciuta! Era la tua amica… “Le amiche”.
I corpi si uniscono e solo l’acqua ne impedisce la combustione. Di due ormai ne vedo uno solo e spingono entrambi con forza. Giochi di mani, di graffi, forbici di cosce. Non posso più chiamarti. Il tuo nome si è trasformato in un nome comune di cosa, una cosa comune che non voglio pronunciare.
Mi manca l’aria e voglio vomitare. Chiudo gli occhi, ma vedo ancora tutto: ci sei tu, lei e non smettete mai di muovervi.
Sembra un porno e il porno mi piace, ma io il tuo porno non lo volevo vedere! E non c’è l’uscita da questo show a luci rosse. Il sipario non cala e la scena si sposta: divento lo spettatore di un video postato per ostentare gli affari vostri.
E parte in loop. Non ci sono flash news, né pubblicità, né pop-up.
E se non potrò spegnerlo, dovrò vomitare il dolore dalle budella e sputare lacrime di sudore, perché negli occhi lacrime non ne ho più.
E non mi piace, no, ma non so come uscire da questo video pericoloso e ora lo guarderò tutto, fino a quando non sarete voi a fermarvi. Finché il desiderio di chiamare forte il tuo nome si esaurirà, come l’incessante lotta di anguille vive lasciate morire sotto sale.
E ora noto che avete finito… Vi guardate maliziose e i corpi nudi lentamente si allineano dentro una vasca da bagno. Due calici sono pronti per voi. Non sono bollicine chic, quello è il mio sangue, il liquido vischioso che hanno perso tutte le ferite fatte stasera. Godetevelo!
Condanna a morte definitiva.
Pena massima, quella di avervi viste senza potermi fermare, senza potervi fermare, senza potermi fermare. Siete diventate video postato.
“Incompletamente complete”, è la firma finale nella descrizione del vostro post sui social.
E io continuo a non poter uscire nemmeno dal finale, di un qualcosa che ho dovuto guardare, ma giuro che intendevo bloccare.
Perciò cerco per l’ennesima volta di uscire, ma riparte in loop.
Tradimento di tradimenti. Corpi struscianti e gementi. Calici di brindisi taglienti.
E se stessi dormendo? Beh, svegliatemi, svegliatemi voi se non ci riuscissi, non ce la farei ad andare avanti così.
E con la voglia di scappare, sono risucchiato dentro una spirale nera con tante voci che rimbombano in testa e raschio le mani in una superficie stranamente morbida… Noto schiudersi raggi solari neonati.
Cerco con la mano l’iPhone e il bicchiere mezzo pieno cade dal comodino. “05h30”, mattina. I loro corpi non si sono sfiorati. Non ho ancora vomitato dolore, il sangue non è uscito da quelle tremende ferite.
Mi chiedo per quanto ancora e guardo la tua foto sul comodino sbiadita sempre di più.
Stiamo progettando una rivista letteraria per aiutare le nuove voci a emergere. Abbiamo sempre la stessa vision: diffondere cultura e talento.
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