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Una storia tra le dita
In 6 Febbraio 2022 da Debora BorgognoniSono una comunicatrice, e ho avuto un maestro che mi diceva che sul palco dell’Ariston passa l’Italia. Osservo il fenomeno di sociologia del prodotto e del consumo culturale (anche) attraverso i Social Media, che fanno un po’ letteratura da instant-book, in questo frangente. Perché anche lo scrittore-intellettuale, su Facebook o Twitter, va insieme alla diretta. Non è che sta lì a spiegarti il contesto. Non è che ti scrive: “ehi, per chi non sta guardando il Festival, questa è la serata delle cover e ora c’è sul palco Irama che ha scelto di cantare una canzone di Grignani proprio insieme a Grignani”. È molto più plausibile che tu veda scritto cose tipo: “fantastici!”, e ti pare uno slogan, una sorta di teaser irresistibile, e tu molli ciò che stai facendo e ti colleghi a mamma Rai. Se lo fanno gli scrittori, figurarsi gli utenti comuni.
Venerdì sera, verso le ventitré e trenta, Irama sceglie Una storia tra le dita e la vuole cantare con l’autore, Gianluca Grignani. Che sale sul palco portando i suoi quasi cinquant’anni sul volto e sul corpo, un cappello con un fiore, un trucco marcato sugli occhi, una voce che non è stata compromessa dai trent’anni trascorsi dalla sua prima esibizione in Sanremo Giovani. Nel frattempo, su Facebook, il pubblico si scatena con post di derisione e di insulto. Perché?
Anche questo è un instant-post, e lo accetto come tale. Non spiego gli insulti, né la performance del duo. Ma il giorno dopo, quando la tempesta finisce, rimangono le macerie da raccogliere, e le riflessioni da contare, incamerare, metabolizzare.
Il giorno dopo, lo scrittore Demetrio Paolin scrive un lungo post che dedica “all’anomalia”.
le cose che ho letto su Grignani sono state vergognose, ma non penso, almeno io non ci ho letto, che il fulcro sia il desiderio di superiorità dei mediocri che godono nel vedere il talento – perché, signori miei, Grignani ha scritto almeno due album, Fabbrica di plastica e Campi di pop corn, che contengono canzoni veramente belle e che, se non si fosse perduto, ne avrebbero fatto uno dei nostri cantanti più prolifici, ma così non è stato – di uno che va a farsi fottere; io penso che il problema non sia questo. Il problema – temo – è l’avvenuto cambiamento di paradigma. Da qualche anno l’arista deve essere un esempio inclusivo, e in questo senso i Maneskin sono perfetti: bravi ragazzi, con le giuste battaglie, con tutte le etichette al posto giusto, con tutte le cose giuste dette con giustezza, senza mai produrre uno sgarbo, un fuori pista, qualcosa che stoni – pensate solo a Damiano che dice la droga è una schifezza, pensate solo a Lou Reed, Clapton, Cobain, e ne vedrete la distanza abissale; pensate ai discorsi sul sociale e paragonateli con quelli di Giovanni Lindo Ferretti e via di abisso.
Gianluca Grignani ha accompagnato gli anni Novanta, le ragazze di allora, come me, di una generazione proiettata sull’immensità di Internet eppure ancora lungamente traballante dentro la calda coperta genitoriale delle certezze del boom economico. L’ho amato, lo abbiamo amato tutte, l’ho conosciuto più tardi (personalmente, intendo), quando eravamo entrambi persone che si avviavano a fatica verso la mezza età e che avevano in faccia quella orribile – o verissima? – maschera di fragile inconsistenza che sembrava dire: ma sono davvero io? cosa c’è di vero in quelle rughe? sono figlia di un’epoca di mezzo, che mi ingloba e mi rifiuta, continuamente.
E ora Paolin mi dice che siamo così più umanamente vicini all’artista non politically correct, o meglio, quello che il mostro non se l’è mangiato, perché fa ancora fatica a non farsi divorare lui stesso.
C’è sempre quella mano nera che ti conduce negli abissi, e salta fuori la notte, quando la tua Destinazione paradiso è lì a un soffio, e tu non soffi perché hai ancora un po’ di sete rimasta nella gola, e forse a qualcuno questa sete potrebbe ancora servire.
questa educazione e tensione alla lindezza e alla limpidezza morale mi spaventa, non perché l’arte non debba essere etica, l’arte è etica, perché produce comportamenti e sguardi sul mondo, ma perché deve muoversi all’interno di quell’etica, quel modo, quella ipotesi […] del vedere l’artista come un esempio, come modello, come norma.
Ora la parola norma e tutti i suoi derivati sono uno degli insiemi concettuali più complicati da tenere assieme: cosa vuol dire essere nella norma? Vuol dire essere ciò che la maggioranza si aspetta, desidera, vuole, agogna e idealizza; norma quindi diventa qualcosa in cui tutti sono uguali, in cui non desta nessun tipo di sorpresa. Lauro che si battezza da solo è norma, non scandalizza nessuno […] poi arriva uno che rappresenta l’anomalia, che non è comprensibile in un contesto che vuole produrre la nuova norma – e ci sta, perché Sanremo produce norme -. questa anomalia esplode e mostra un’altra cosa, qualcosa che non è per nulla accettabile e quindi viene attaccata in nome di quella norma, che dovrebbe includerlo all’interno, e che invece lo espelle, lo dileggia, lo addita; eppure, dovremmo ricordarci che l’arte è sempre una rottura dei parametri normali, la poesia nasce come rottura del linguaggio, e che quindi dovremmo coltivare l’anomalo, ma temo che invece la nuova episteme pensi che l’arte è adeguamento.
Grignani ha semplicemente mostrato l’anomalia, e spero che nessuno pretenda da lui delle scuse, o cose del genere, si è mostrato per ciò che è: un autore di canzoni molto dotato che ha deciso di autodistruggersi, e chi sono io per dirgli che non deve farlo? In base a quale legge lo giudico?, in base a quale moralità lo giudico?, cosa mi porta a sentirmi superiore nel giudicarlo?, che ne so io della sua vita intima?, della sua vita privata?, di ciò che gli accade la mattina quando si alza? o la notte quando si corica?; perché l’essere fragili è vista come una debolezza? Perché l’estrema cura che crediamo di dare agli altri è solo il riconoscimento narcisistico di ciò che riconosciamo simile a noi?
È già dopodomani, e il Festival non è ancora terminato. Il vincitore non si conosce ancora, e Gianluca Grignani è già prodotto culturale di due passati: quello degli anni Novanta e quello dettato dal tempo reale dei Social Media, in queste serate tutte italiane, con questa voglia tutta italiana di creare e dissacrare miti.
Stiamo progettando una rivista letteraria per aiutare le nuove voci a emergere. Abbiamo sempre la stessa vision: diffondere cultura e talento.
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